[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 213 / SETTEMBRE 2025 (CCXLIV)


filosofia & religione

Friedrich August von Hayek

le radici filosofiche del neoliberismo
di Riccardo Renzi

 

Friedrich August von Hayek (1899-1992) è stato una delle figure più influenti del pensiero politico, economico e filosofico del Novecento. Premio Nobel per l’economia nel 1974, critico intransigente dell’economia pianificata, amico di Karl Popper e ispiratore delle politiche economiche di Thatcher e Reagan, Hayek è divenuto il simbolo della rinascita del pensiero liberale classico in chiave neoliberista.

 

Questo articolo esplora in profondità il suo sistema teorico, muovendosi attraverso le sue opere principali come The Road to Serfdom (1944), The Constitution of Liberty (1960) e Law, Legislation and Liberty (1973-1979). Al centro del suo pensiero troviamo l’idea che solo un ordine spontaneo fondato sulla libertà individuale e sulla proprietà privata possa garantire una società prospera, stabile e giusta. Attraverso un confronto serrato con il keynesismo, il socialismo e le derive del welfare state, Hayek ridefinisce il ruolo dello Stato come garante delle regole, non come ingegnere sociale. L’articolo affronta anche il suo contributo al dibattito sul calcolo economico, la sua visione della democrazia come “demarchia”, la distinzione tra legge e legislazione, e il concetto di catallassi come fondamento dell’ordine sociale. Ne risulta un pensatore tutt’altro che dogmatico, difficilmente incasellabile nelle categorie canoniche del liberalismo o del conservatorismo, capace di offrire ancora oggi spunti essenziali nel dibattito sulla libertà, l’economia e la complessità sociale.

 

Friedrich August von Hayek è stato, nel corso del XX secolo, una voce dissonante nel coro del pensiero economico e politico occidentale. Austriaco di nascita, ma cosmopolita per vocazione, Hayek ha percorso un itinerario intellettuale che lo ha portato dalle aule della Scuola austriaca di economia, alla London School of Economics, fino all’Università di Chicago e poi all’Università di Friburgo. In un secolo dominato prima dalla pianificazione socialista, poi dal compromesso keynesiano, Hayek ha tenacemente difeso l’idea che la libertà individuale e il mercato siano gli unici strumenti attraverso cui gli esseri umani possano realizzare un ordine sociale sostenibile.

 

Nel suo pensiero, filosofia, economia e diritto si intrecciano in modo indissolubile, al punto da rendere impossibile una lettura univoca: Hayek è economista, certo, ma anche filosofo politico, teorico del diritto e critico delle ideologie. Questo articolo intende proporre una lettura d’insieme della sua opera, per comprendere non solo l’architettura concettuale del suo pensiero, ma anche il suo significato storico e filosofico.

 

Al cuore della visione di Hayek si trova una concezione negativa della libertà: essa è, fondamentalmente, assenza di coercizione arbitraria da parte di altri uomini. Come notato da Norberto Bobbio, la sua idea di libertà riprende la tradizione inglese del liberalismo classico — da Locke a Mill — e si oppone alla visione continentale, in particolare a quella kantiana, dove la libertà coincide con l’autonomia morale e la razionalità. Per Hayek, l’individuo è libero quando può agire secondo un proprio piano di vita, all’interno di un quadro di regole generali che delimitano ciò che è lecito e ciò che non lo è. La libertà non consiste nel poter partecipare alle decisioni politiche (la cosiddetta freedom to), bensì nell’essere protetti contro interferenze arbitrarie (freedom from). In questo senso, Hayek è un difensore dell’individuo, non della collettività.

 

Una delle distinzioni più significative del pensiero hayekiano è quella tra legge e legislazione. La prima è il prodotto spontaneo dell’evoluzione sociale, una regola generale, impersonale e astratta che consente agli individui di prevedere l’azione degli altri e di orientare la propria condotta. La seconda, invece, è frutto dell’attività politica, spesso piegata agli interessi di gruppi organizzati, ed è potenzialmente fonte di arbitrio. Hayek insiste sul fatto che lo Stato deve essere soggetto alla legge, non creatore sovrano di essa. È questa la vera essenza dello Stato di diritto (rule of law): un sistema nel quale il potere politico è vincolato da norme predeterminate, non uno in cui la maggioranza può decidere tutto. Quando il potere legislativo diventa strumento di coercizione in mano a una maggioranza elettorale, la democrazia degenera in tirannide.

 

Nel suo celebre saggio The Use of Knowledge in Society (1945), Hayek affronta il problema centrale dell’economia pianificata: l’impossibilità di centralizzare l’informazione. L’economia, sostiene, non è un problema di ottimizzazione astratta, ma un processo in cui milioni di individui utilizzano conoscenze locali, tacite e disperse per prendere decisioni. Il mercato è il meccanismo che permette il coordinamento di queste conoscenze attraverso il sistema dei prezzi, che funge da linguaggio decentralizzato. A differenza del modello proposto da Oskar Lange, che immaginava un calcolo socialista basato su un centro di controllo, Hayek dimostra che nessun pianificatore centrale può possedere tutte le informazioni necessarie per allocare razionalmente le risorse in una società complessa. Solo il mercato, inteso come ordine spontaneo, è in grado di raggiungere questo obiettivo.

 

La visione di Hayek dell’economia e della società si fonda sul concetto di ordine spontaneo (spontaneous order), mutuato da pensatori come Bernard Mandeville e Adam Ferguson. La società, secondo Hayek, non è un progetto artificiale, bensì un ordine che emerge dalle interazioni tra individui liberi, ciascuno dei quali persegue i propri fini all’interno di un quadro normativo stabile. Per descrivere questo ordine, Hayek conia il termine “catallassi”, dal greco katallattein, che significa “scambiare” ma anche “trasformare un nemico in amico”. Questo termine serve a sottolineare che il mercato è molto più di una macchina economica: è una rete di relazioni umane che genera cooperazione pacifica e prosperità senza bisogno di un disegno centrale.

 

Uno degli aspetti più originali del pensiero hayekiano è la sua critica alla democrazia intesa come potere illimitato della maggioranza. Hayek ritiene che, in assenza di limiti istituzionali chiari, la democrazia parlamentare moderna sia diventata un meccanismo per redistribuire privilegi, favorire interessi particolari e perpetuare clientele politiche.

 

Per questo, propone un’alternativa: la “demarchia”, un sistema basato su due assemblee: un’assemblea legislativa formata da individui maturi, con incarico lungo e stabile, incaricata di definire regole generali e di proteggere la libertà individuale; un’assemblea governativa, espressione degli interessi contingenti, soggetta a elezione.

 

Questa proposta mostra la tensione di Hayek tra liberalismo classico e innovazione istituzionale, tra la fiducia nel mercato e la sfiducia nella politica.

Nonostante la sua avversione per il welfare state, Hayek non è un anarco-capitalista. Egli riconosce alcune funzioni essenziali dello Stato, come la protezione dai rischi naturali, l’erogazione di informazioni, la costruzione di infrastrutture, e persino un’assistenza minima ai bisognosi, che non alteri le regole del mercato. Egli sostiene che una rete di sicurezza sociale è compatibile con una società libera, purché non si trasformi in uno strumento per manipolare i risultati del mercato. Lo Stato deve garantire un reddito minimo, ma non deve intervenire nella distribuzione della ricchezza o nella pianificazione economica.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]