[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

182 / FEBBRAIO 2023 (CCXIII)


attualità

VIKTOR BOUT REDIVIVO

IL RITORNO DEL “TRAFFICANTE DI MORTE”

di Gian Marco Boellisi

 

Ci sono alcune personalità che avranno attorno a sé sempre un alone di mistero, indipendentemente da quante indagini si possano fare a riguardo o da quante supposizioni o rumors fuoriescano negli anni. Un esempio lampante è Viktor Bout, noto trafficante di armi recentemente tornato in libertà.

 

Ai più questo nome non dirà niente, tuttavia egli rimane uno dei personaggi che indirettamente ha contribuito a plasmare il mondo in cui viviamo oggi. I pochi che invece conoscono questo nome sanno anche che sulla sua figura è stato ispirato il noto film con Nicolas Cage Lord of War, nome appunto attribuitogli durante i suoi anni di attività. Essendo ora Bout tornato in libertà a seguito di uno scambio di prigionieri tra Russia e Stati Uniti, è estremanente interessante cercare di comprendere chi sia questo personaggio e di cosa potrebbe accadere se tornasse in attività.

 

Partiamo da un quadro generale. A oggi le informazioni che abbiamo su Viktor Bout sono come i tasselli di un puzzle di dimensioni variabili che cambiano forma o colore in funzione di chi li prenda in mano. Per quanto si sia tentato, ancora oggi non si ha un’idea a quanto ammontino le fortune accumulate dal trafficante negli anni. Con tutta probabilità si parla di centinaia di milioni di dollari, ma non se ne può essere certi.

 

Se anche solo metà delle accuse e delle voci sul suo conto fossero fondate, Bout avrebbe rifornito de facto tutti i conflitti armati avvenuti tra i primi anni ‘90 e la fine degli anni 2000 nel globo, questo considerando ovviamente che la sua attività abbia smesso di esistere a seguito del suo arresto nel 2008.

 

Possessore secondo lo UN Security Council Committee per la Liberia di almeno quattro passaporti, Bout è diventato famoso per aver esportato un numero pachidermico di AK-47 in giro per tutto il mondo, tanto da conferirgli soprannomi come il “Signore della Guerra” o il “Mercante di Morte”.

 

A seguito della presenza del Kalashnikov nei maggiori teatri di conflitto, è maturata negli anni la convinzione che le vittime di AK-47 dal 1945 in poi superino di gran lunga i morti provocati da tutte le pestilenze, le carestie, le guerre e i cataclismi naturali avvenuti nella storia dell’umanità. Una tale stima è impossibile da verificare naturalmente, ma se quanto scritto sopra fosse anche lontanamente verosimile è molto probabile che Viktor Bout abbia sulla propria coscienza un numero cospicuo di queste vittime.

 

Viktor Anatolyevich Bout nasce nel 1967 a Dushanbe, la capitale del Tagikistan, da madre contabile e padre meccanico. Secondo l’intelligence inglese e sudafricana la famiglia era di etnia ucraina, tuttavia non si è mai riusciti a stabilirlo con certezza. Cresce con il fratello Sergei in una famiglia atea, il che risultava normale durante i tempi dell’Unione Sovietica sebbene i Bout si trovassero in un paese a maggioranza musulmana. Gli anni della gioventù sono praticamente sconosciuti e da quel poco che si sa, Bout, appassionato sin da tenera età di lingue, decide di frequentare l’Istituto Militare di Lingue Straniere a Mosca.

 

Questa sua passione lo porta già da giovanissimo a sapere un numero elevato di idiomi, tra cui portoghese, inglese, arabo, farsi, francese, esperanto, uzbeko e alcune lingue africane. Proprio grazie a questa sua profonda conoscenza delle lingue, negli ’80 svolge attività di interprete in Angola e Mozambico per alcuni mesi a supporto delle forze filo-sovietiche in loco. Si dice che fu in questa occasione che conobbe Igor’ Sečin, all’epoca agente del KGB e oggi uno dei maggiori consiglieri di Putin nonché CEO di Rosneft, una tra le principali, se non la principale, compagnia petrolifera russa. Nel corso degli anni infatti Sečin avrebbe coperto e aiutato fortemente Bout nei suoi traffici sponsorizzandolo con i suoi contatti africani. Per quanto questa ipotesi possa sembrare verosimile, ancora oggi i due affermano di non conoscersi e ovviamente è impossibile provare un legame diretto.

 

Con la caduta dell’Unione Sovietica, Bout viene congedato nel 1991, verosimilmente con il grado di tenente colonnello. Sulla carriera militare di Bout vi sono varie teorie. Infatti c’è chi afferma che il suddetto grado sia stato ottenuto nell’esercito, chi invece asserisce che fosse diventato un maggiore nel GRU, altri ancora che sia diventato un ufficiale nel KGB o nell’aviazione. Tra le varie ipotesi, la più verosimile è quella che ricondurrebbe Bout ad aver militato nelle forze aeree sovietiche, specie per la profonda conoscenza di aerei che poi avrebbe messo a frutto da imprenditore del traffico di armi mondiale.

 

Nei primi anni ’90 i paesi che avevano fatto parte dell’Unione Sovietica erano completamente allo sbando da un punto di vista amministrativo e militare, e Bout sfrutta proprio questo fattore a suo vantaggio. Centinaia di aerei rimasero inutilizzati sulle piste di atterraggio, senza uno stato centrale a mandarli in missione o banalmente anche solo a progammarne la manutenzione. Bout decide così di comprarne diversi modelli a prezzi stracciati, anche grazie ai suoi contatti nelle sfere militari, arrivando addirittura ad aggiudicarsi tre vecchi Antonov per meno di 40.000 dollari ad aereo.

 

Se ha facilità nel trovare aerei, è ancora più facile trovare i piloti. Con gli stipendi in arretrato di diversi mesi, Bout riesce a ingaggiare un discreto numero di piloti per condurre la sua nuova costituita flotta di aeromobili. Si ritiene che, all’apice della sua carriera, Bout possiede tra i 40 e i 60 aerei disponibili in varie parti del globo. Per evitare occhi indiscreti, i velivoli vengono registrati spesso in paesi dalle normative lascive in fatto di certificati di provenienza e origine, come la Repubblica Centrafricana e la Guinea Equatoriale. In tutti i suoi anni di attività, l’unica società che sarà riconducibile a Bout è la Air Cess, registrata in Liberia nel 1995.

 

Oltre agli aerei, l’altra cosa che Bout riesce a trovare completamente sguarnita sono gli arsenali sovietici. Interi depositi volti a una guerra con gli Stati Uniti che non è mai arrivata rimangono praticamente incustoditi, alla mercè di chi può offrire di più per riscattarli. Questa diverrà la base di partenza del Bout trafficante: milioni di proiettili, pistole, granate, razzi, ma anche missili guidati, elicotteri d’assalto e visori notturni. L’offerta così è pronta a essere distribuita, ora c’è bisogno solo della domanda.

 

Tramite i suoi piloti e alle dritte dei suoi clienti, Bout riesce a tracciare rotte aeree misteriose che lo portano a fornire armi a tutti i maggiori conflitti degli anni ’90 in Africa. Si parla di rifornimenti a entrambi gli schieramenti in Nigeria, al conflitto in Angola o in maniera più estesa anche alle guerre in Sudan e in Congo o al regime di Gheddafi in Libia. È passato alla storia lo stretto rapporto che Bout ha intrattenuto per anni con il dittatore liberiano Charles Taylor, comprando addirittura una villa vicino alla residenza presidenziale. Taylor ha sempre pagato profumatamente il conto delle sue armi in diamanti trafugati illegalmente dalla Sierra Leone, in quegli anni sotto stretto embargo.

 

Famosa è l’immagine di bambini soldato ebbri di sostanze stupefacenti e con in mano un AK-47 agli ordini delle forze di Taylor. In questi anni molti dei paesi coinvolti in conflitti sono ancora oggi zone prolifiche di estrazione mineraria, motivo per cui Bout si ritiene essere stato spinto da potenze straniere e occidentali a rifornire questa piuttosto che quella parte nel conflitto, così da poter trarre vantaggi a lungo termine dall’estrazione delle risorse nei relativi paesi.

 

Con il tempo Bout diventò un esperto nel violare gli embarghi delle Nazioni Unite sul traffico di armi. Tra i suoi viaggi si ritiene ve ne siano stati diversi anche in Afghanistan, anche se a detta di Bout stesso egli non avrebbe mai intrattenuto rapporti con Al-Qaeda o Osama bin Laden. È abbastanza verosimile invece che abbia fornito armi al governo immediatamente precedente a quello talebano, andando così a rifornire anche quella che sarebbe diventata l’Alleanza del Nord comandata da Ahmad Shah Massoud, ricevendo in questo senso un possibile benestare da parte di Washington. Un altro teatro in cui si ritiene che Bout sia stato coinvolto è quello delle guerre Jugoslave, dove avrebbe fornito armi alle forze bosniache, anche se la cosa è praticamente impossibile da provare.

 

L’apice della carriera criminale di Bout si ha alla fine degli anni ’90 e nei primi anni 2000. Qui lo si vede coinvolto ancora una volta in Congo, così come con Hezbollah in Libano, nuovamente con Gheddafi e anche nelle guerre al terrore americane avviate in Medio Oriente. In questi anni Bout vede un incremento decisivo nelle sue spedizioni e allo stesso tempo un aumento dell’attenzione nei suoi confronti da parte delle Nazioni Unite e delle autorità americane. Nel 2000 infatti il nome Viktor Bout viene menzionato per la prima volta presso il Consiglio delle Nazioni Unite con l’accusa di traffico illegale di armi. La connessione con gli armamenti proviene dal fatto che svariati suoi aerei, o comunque riconducibili a lui per vie traverse, sarebbero stati visti numerose volte atterrare in zone di guerra e scaricare armamenti.

 

Dal 2001 in poi le sue attività sarebbero state ancor più tenute sotto controllo, con un monitoraggio continuo e con spedizioni più difficili da tenere al sicuro. Bout si rifugia così in Russia, dove sa che il governo difficilmente concederebbe l’estradizione in caso di cattura. Tuttavia, per quanto le indagini su di lui continuino, i vari governi e istituzioni internazionli non riescono (o non vogliono) formalizzare capi d’accusa rilevanti nei suoi confronti, portando così a un mero mandato per riciclaggio di denaro sporco.

 

Per ironia della sorte, proprio quando presso la Nazioni Unite e l’Interpol il suo nome inizia a essere tra le priorità, Bout inizia a collaborare con il governo degli Stati Uniti per portare armi a sostegno della guerra in Iraq. Si stima che tra il 2003 e il 2004 Viktor Bout abbia effettuato più di mille voli su Baghdad portandovi qualsiasi genere di armi. Nel 2007 un inchiesta del Los Angeles Times riporta come Bout sia stato pagato 60 milioni di dollari dalle autorità americane per i suoi trasporti in Iraq a supporto delle forze della coalizione.

 

Nel 2005 però si ha un cambio di rotta, infatti Viktor Bout viene inserito nella lista nera dal governo americano, il quale inizia a cercarlo attivamente per arrestarlo e fermarne i traffici. Che questo sia stato un tentativo di sbarazzarsi di una personalità scomoda a fine lavoro o che sia stata l’avidità di Bout a renderlo troppo visibile sullo scenario internazionale, non lo sapremo mai. È simbolico però il fatto che per un certo periodo della sua carriera, Bout sia stato sia defense contrastor per la Casa Bianca sia ricercato numero 1 dalle autorità federali. Ed è proprio dal 2005 che Bout non si fa vedere più fuori dalla Russia, ma solamente nei ristoranti e negli hotel più rinomati di Mosca.

 

Negli anni successivi Bout vede il cerchio stringersi sempre più attorno a lui, fino a quando nel 2007 la DEA (Drug Enforcement Administration, agenzia anti-droga statunitense) cerca di mettere in trappola il trafficante a Bucarest, attirandolo per una presunta fornitura da 20 milioni di dollari alle FARC colombiane. Bout annusa la trappola e non si presenta all’incontro. Nel 2008 viene contattato per lo stesso affare e in questo caso invece si dimostra interessato e si sposta dalla Russia. Atterra a Bangkok in Thailandia dove effettua la trattativa con i compratori, i quali tuttavia si rivelano agenti sotto copertura della DEA e delle autorità tailandesi che non perdono tempo ad arrestarlo. In prima istanza viene messo in carcere con i peggiori criminali tailandesi, dove però resiste alle provocazioni e alle condizioni ambientali orribili dove si trova. Dopo pochi mesi viene spostato in una cella singola di pochi metri quadri e qui rimane fino al 2010.

 

Alla notizia dell’arresto di Bout, le diplomazie statali si sono mosse sin da subito per ottenerne l’estradizione. Se da un lato il Ministro degli Esteri russo Lavrov ha additato l’arresto di Bout come “motivato politicamente”, dall’altro lato le autorità americane hanno mantenuto un riserbo maggiore, ma operando comunque attivamente per estradarlo negli Stati Uniti. Durante le trattative si dice che i russi fossero pronti addirittura di tagliare il prezzo del petrolio in cambio di un suo rilascio, mentre gli americani dal loro canto avrebbero rilanciato con un accordo sugli armamenti. Si temeva inoltre che Bout potesse essere rilasciato improvvisamente a causa della presenza di elementi corrotti, sia all’interno delle autorità tailandesi sia all’interno della DEA stessa, timori avvalorati in parte da alcuni file pubblicati da Wikileaks nel 2010.

 

Dopo numerose trattative, il 6 novembre del 2010, Viktor Bout viene scortato da 50 agenti per essere estradato negli Stati Uniti senza che la controparte russa venisse avvisata. All’epoca molti analisti pensarono che le pressioni di Washington per avere Bout fossero principalmente legate alla sua grande conoscenza della macchina di approvigionamento militare russa e che quindi volessero cercare di estorcergli quante più informazioni possibili. D’altra parte vi è anche la teoria secondo la quale gli Stati Uniti avessero solo paura dei segreti americani in possesso di Bout e che quindi volessero essere sicuri che questi non andassero nelle mani sbagliate.

 

Una volta arrivato a New York inizia subito il processo al più famoso trafficante d’armi della storia. La pubblica accusa chiede per Bout l’ergastolo, imputandogli accuse di cospirazione con l’intento di uccidere cittadini statunitensi, terrorismo e traffico di armi a favore delle FARC. Un importante aspetto è che nessuno dei reati sopra citati è stato virtualmente commesso in territorio americano, motivo per cui la difesa chiede il proscioglimento da tutte le accuse per insufficienza di prove.

 

Dopo 2 anni di processo Viktor Bout viene condannato dalla corte di Manhattan a 25 anni di reclusione, la pena minima rispetto ai crimini imputatigli. All’indomani del processo, si dice che Vikor Bout abbia affermato «se i criteri di giudizio che sono stati applicati sul mio caso venissero applicati a tutti i rivenditori e negozianti statunitensi che commerciano in armi, ognuno di essi dovrebbe essere accusato dell’intento di uccidere cittadini americani».

 

Nonostante la faccenda sembrasse ormai chiusa, il Cremlino ha continuato a far richiesta negli anni per ottenere l’estradizione di Bout in Russia, fallendo a ogni tentativo. A 10 anni esatti della condanna però è avvenuto un evento inaspettato, inatteso, che ha permesso al Cremlino di liberare Bout: la guerra in Ucraina.

 

Nel contesto delle relazioni tesissime tra Stati Uniti e Russia, all’indomani dell’invasione, Washington ha continuato a lavorare per la liberazione di Brittney Griner, cestista americana arrestata nel febbraio 2022 con l’accusa di utilizzo e detenzione di stupefacenti. Ad agosto dello stesso anno la Griner è stata condannata a 9 anni di reclusione, con pochissime speranze di rilascio anticipato. Ed è stato proprio in questo frangente che l’amministrazione Biden è entrata in trattativa con il Cremlino per il rilascio della propria concittadina. La richiesta russa è stata semplice: la liberazione di Viktor Bout. Ed è stato così che l’8 dicembre 2022 Bout è tornato in libertà con un volo verso Mosca. A detta di alcuni analisti, dopo questo scambio gli Stati Uniti sarebbero diventati più ricattabili.

 

A oggi il destino di Bout è ignoto e difficilmente se ne sentirà parlare nei prossimi anni. Tuttavia è importante sottolineare come, per quanto possa sembrare ininfluente oggi, per decenni potenze di tutto il mondo hanno provato a guadagnarsi i suoi favori, i suoi servizi e le sue informazioni. Con grande probabilità ancora oggi parte della rete da lui costituita negli anni ’90 è ancora in piedi e parzialmente operativa, cosa che ogni Stato che ha interessi geopolitici a carattere globale non può ignorare. Da qui a ritenere che Viktor Bout possa tornare in attività vi è un abisso enorme, tuttavia è importante considerare che uomini come lui difficilmente vanno in pensione a tempo pieno. Come la sua attività potrà influenzare le dinamiche dei conflitti di domani, questo è ancora da vedere.

 

Se si vuole inquadrare la figura di Bout con una maggiore prospettiva, egli può essere visto come la quintessenza del capitalismo moderno. Lasciando da parte per un istante la merce da lui trattata, ha fornito servizi in tutto il mondo non distinguendo i propri clienti per schieramento politico, etnia di provenienza, religione o nazione di origine. I suoi aerei hanno raggiunto dittatori, combattenti per la libertà, ribelli antigovernativi e forze gorvernative, dall’Angola all’Afghanistan, dalla Sierra Leone al Guatemala, con un rate di soddisfazione rasente il 100% nell’arco di 20 anni.

 

Per quanto le attività di Bout siano ormai abbastanza note, trovare delle prove a suo carico ancora oggi non risulta essere un compito semplice. Questo sia per una sua quasi maniacale attenzione ai dettagli sia poiché, con quantitativi di armi così grandi in giro per il mondo, è illusorio pensare che non vi sia stata una protezione ad altissimi livelli che abbia permesso a Bout di operare per decenni senza che venisse mai toccato. E per protezione non si intende il magnate X piuttosto che l’oligarca Y, ma parliamo di veri e propri Stati. Val la pena ricordare che le cinque nazioni che commerciano legalmente e trafficano illegalmente armi di più di tutti gli altri stati al mondo fanno parte tutte e cinque del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Una profittevole fatalità direbbero alcuni.

 

In conclusione, figure come quelle di Viktor Bout rimarranno sempre avvolte da una coltre spessa di nebbia oltre la quale i contorni delle immagini non saranno mai chiare. Bout ha subìto nel corso degli anni anche una certa romanticizzazione, visto come l’esponente di quella innominabile cerchia di trafficanti di armi che segretamente domina il mondo.

 

In verità, come già accennato sopra, il traffico di armi è controllato tra l’80% e il 90% del suo totale direttamente dagli Stati sovrani. Vi è poi il rimanente 10% che vede questi terzisti, o trafficanti che dir si voglia, comprare o ricettare armi dagli stessi Stati per poi rivenderle dove gli Stati non potrebbero per posizioni politiche consolidate. Vi è quindi un’enorme contraddizione in questo mondo, e Viktor Bout le rappresenta tutte. Rimane il fatto che il commercio di armi rimane una delle piaghe che affligge questo globo e causa un numero incalcolabile di morti ogni anno.

 

Finchè tuttavia ci saranno nel mondo persone come Bout e Stati disposti a finanziarlo, il sangue nelle strade non potrà che continuare a scorrere.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]