[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

179 / NOVEMBRE 2022 (CCX)


contemporanea

LA VERONA OTTOCENTESCA

PERNO DEL SISTEMA DIFENSIVO IMPERIALE AUSTRIACO

di Raffaele Pisani

 

La sua posizione geografica, nel punto in cui la Valle dell’Adige si apre nella pianura padano-veneta all’incrocio di importanti vie di comunicazione tra nord e sud come tra est e ovest, ha sempre conferito alla città una notevole rilevanza strategica. Se ne erano già accorti i Romani, che ancora in età repubblicana nel loro moto di espansione verso il Settentrione ne avevano fatto un avamposto fortificato con un sistema di mura difensive. Poi nei secoli della stabilità imperiale queste si riveleranno superflue, saranno le incursioni barbariche che renderanno necessario il ripristino del perimetro difensivo,nel 265 d.C., con nuove e più ampie mura che portano il nome dell’imperatore Gallieno. Nell’Alto Medioevo il sovrano ostrogoto Teodorico fece di Verona una seconda capitale e si distinse per le sue iniziative edilizie sia in campo militare sia in quello civile.

 

Dalla seconda metà del Duecento grande rilevanza assunse la signoria scaligera nell’unificazione della cittadinanza. Se nel momento della crisi dell’istituzione comunale Verona era punteggiata di torri-fortezze di potenti famiglie in perenne reciproco contrasto, la costruzione di imponenti cinta murarie, con torrioni e superbi castelli, a opera dei signori scaligeri risulterà determinante nell’opera di unificazione del tessuto urbano, oltre che di presidio del territorio circostante.

 

Quando si parla dei signori della Scala nessuno mette in dubbio la priorità di Cangrande, ed è principalmente a lui che si deve questa importante realizzazione. In una lapide, proveniente dalla Porta del Calzaro, che si trova ora nel Museo di Castelvecchio, si dice che nel gennaio del 1325 il magnificus dominus Canisgrandis de la Scala ha portato a termine le nuove mura di Verona.

 

Dal 1405 fino alla fine del Settecento, salvo il breve periodo (1509-1516) di occupazione da parte degli imperiali, Verona fece parte dei territori veneziani di terraferma; è di quest’epoca la costruzione di robusti terrapieni murati con baluardi poligonali che si protendono verso l’esterno, di torri massicce con aperture per le artiglierie e di nuove e funzionali porte per l’accesso alla città. L’architetto veronese Michele Sanmicheli è stato il principale artefice di tali opere, nelle quali l’aspetto militare si coniuga felicemente con quello estetico e urbanistico.

 

Il periodo napoleonico che interessò Verona, dal 1796 al 1814, vide grandi sconvolgimenti e, per quel che riguarda il sistema murario difensivo, grandi demolizioni. Anche se le tecniche militari erano cambiate, l’imponente sistema di terrapieni e bastioni era ancora considerato dai Francesi, memori delle Pasque Veronesi, come una limitazione al controllo della città nel caso di una rivolta; furono perciò aperte delle significative brecce per renderla opportunamente permeabile. Inoltre dal 1805 Verona venne a trovarsi al centro del Regno d’Italia, satellite della Francia, e non c’erano oggettivi pericoli di invasioni dall’esterno.

 

L’epilogo napoleonico portò a ridisegnare la geografia politica europea. Le disposizioni del Congresso di Vienna videro l’unificazione della Lombardia, già austriaca nel Settecento, con i territori veneto-friulani dell’ex Repubblica di Venezia. In tale situazione Verona nel nuovo Regno Lombardo-Veneto assunse una rilevante importanza militare, peraltro destinata ad aumentare nei decenni successivi.

 

Le decisioni venivano prese a Vienna, a livello locale si poteva intervenire con proposte di raggio molto limitato. In ogni caso gli studiosi italiani sono abbastanza d’accordo nel ritenere che l’intervento austriaco, certamente rilevante, sulla cinta muraria e sull’edificazione di importanti strutture militari, sia stato eseguito valorizzando con cura l’esistente e con un occhio di riguardo nell’accostare il nuovo con il vecchio.

 

Nei primi anni della Restaurazione il dominio austriaco nel Lombardo-Veneto era ben saldo e la stessa popolazione era abbastanza soddisfatta della situazione di pace di cui poteva godere. I moti del biennio 1820-1821 non riguardarono Verona e comunque non riuscirono a sconvolgere l’assetto europeo, a parte la questione spagnola. I successivi congressi internazionali di Troppau, Lubuiana e infine quello decisivo di Verona del 1822, parvero in grado di stabilizzare l’ordinamento già scaturito nel 1815 a Vienna, intervenendo nella Spagna per eliminare la Costituzione di Cadice e ripristinare l’assolutismo.

 

Appena otto anni dopo, la rivoluzione liberale del 1830 che in tre giornate: Les trois glorieuses, sostituì al trono di Francia il sovrano reazionario Carlo X con il liberale Luigi Filippo d’Orléans, il tentativo di costituirsi come stato indipendente, riuscito in Belgio e soffocato in Polonia, come il progressivo affrancamento della Grecia dal dominio ottomano, scardinavano il vecchio ordine europeo.

 

L’Austria ancora legata a un sistema che conservava caratteri medievali si sentiva minacciata da queste novità che cercava di frenare. Il Quarantotto e le due guerre per l’indipendenza italiana diedero ulteriore motivazione al procedere delle opere. Per difendere il Lombardo-Veneto, che costituiva una delle zone più ricche e produttive del vasto e multiforme impero, mise in atto un’imponente struttura difensiva che costituirà il Quadrilatero (Verona, Peschiera, Mantova, Legnago) oltre a una serie di fortificazioni su posizioni strategiche nella Val dell’Adige e a Nord di Bressanone con il grande sbarramento di Fortezza (Franzenfeste).

 

Venne incaricato della complessa realizzazione il maggiore generale Franz von Scholl, che per ciò che riguarda Verona mantenne le vecchie mura veneziane e scaligere restaurando e aggiungendo qualche nuovo elemento difensivo come le mura Carnot. Del resto con le nuove tecniche di combattimento i vecchi terrapieni pur rinforzati non sarebbero stati sufficienti. La difesa si doveva attuare nell’anello circostante la città, con zone libere da vegetazione arborea e senza costruzioni; un eventuale aggressore doveva essere rallentato su queste spianate e bersagliato dal fuoco dell’artiglieria e della fucileria per neutralizzarlo prima che arrivasse nei pressi delle mura.

 

A tale scopo fu costruita extra moenia una serie di forti disposti via via più distanti in modo da definire una fascia difensiva di 5-6 chilometri; collegati con un sistema ottico per trasmettere ordini e informazioni, costituivano un insieme ben strutturato. Le vicende storiche ci dicono che funzionò come deterrente evitando scontri di truppe intorno alla città.

 

Nella parte collinare la disposizione delle fortificazioni doveva tener conto dell’orografia; anche il fiume Adige e le principali strade influivano nella scelta della relativa collocazione. In generale le costruzioni erano poco emergenti dal piano del terreno e munite di spesse pareti capaci di attutire eventuali colpi d’artiglieria nemica.

 

Una città piazzaforte richiede anche altre strutture, le caserme in primo luogo ma non solo. Degno di particolare attenzione è l’arsenale, costruito nel territorio a quel tempo extra-urbano della Campagnola. Era il secondo dell’impero, dopo quello di Vienna, edificato in uno stile che ben si adatta al contesto architettonico della città.

 

All’interno delle mura nei pressi di Porta Palio venne costruito l’imponente ospedale militare di Santo Spirito, Garnisons Spital: aveva una capienza di 1.400 posti, 2.000 in situazioni di emergenza. Nella zona di Veronetta nella caserma Santa Marta funzionava la provianda: un panificio e gallettificio che produceva giornalmente 52.000 razioni di pane e 20 quintali di gallette, servendo per la sussistenza delle truppe di un comprensorio molto vasto.

 

Anche l’attuale sede municipale cittadina: Palazzo Barbieri, era stata progettata negli anni Trenta dell’Ottocento come caserma, denominata Gran Guardia Nuova, sede dell’I.R. Comando di Città e Fortezza. Di notevole mole, posta a fianco dell’anfiteatro, chiudeva l’ultimo lato ancora mancante di Piazza Bra, l’attuale salotto cittadino.

 

Il sistema di città fortezza, con all’interno o nelle immediate vicinanze un numero di soldati che in certi periodi arrivava a 35.000 su una popolazione di poco meno di 70.000 abitanti, condizionava fortemente l’economia. Se conferiva un certo benessere economico a chi lavorava nell’ambito dei rifornimenti e dei servizi, le servitù sui terreni e tante altre limitazioni comprimevano quelle attività che non erano strettamente legate all’aspetto militare.

 

Le imponenti opere costruttive davano lavoro ai cavatori e ai trasportatori di pietre, perlopiù reperite nei dintorni collinari, e anche ad artigiani come falegnami e carpentieri. L’annessione al Regno d’Italia, nel 1866, creò sul principio problemi di esubero di manodopera e un conseguente malcontento. Alcuni cittadini illuminati capirono l’urgenza di una trasformazione radicale, Verona restava una città militarizzata, era pur sempre posta al confine con l’Impero d’Austria, Austro-Ungarico dal 1867, ma non più nella misura di prima. Con il tempo vennero meno i vincoli militari e nella periferia si poté procedere alla escavazione di canali che sarebbero serviti per l’agricoltura e per la nascente industria.

 

Ora ciò che resta delle fortificazioni austriache, ma anche veneziane e scaligere, rimane un prezioso patrimonio per la città e la provincia; i vecchi bastioni costituiscono ancora un anello verde che avvolge il centro storico. Abbiamo già detto del municipio; l’arsenale è diventato un luogo di mostre d’arte e manifestazioni varie, la caserma Santa Marta fa ora parte del Dipartimento di Economia dell’Università. Castel San Pietro, conosciuto anche come Castello di Teodorico, era una caserma austriaca, recentemente è stato restaurato per una destinazione museale. Infine, Forte San Leonardo, sulla collina a nord-ovest della città, è divenuto un santuario mariano.

 

Dei forti posti fuori dell’area urbana pochi si sono salvati, ma alcuni sapientemente restaurati e aperti al pubblico hanno trovato modo di funzionare, naturalmente con scopi ben diversi rispetto ai quali erano stati edificati.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Conforti Calcagni, Le mura di Verona. La città e le sue difese dalla fondazione romana all’unità d’Italia, Cierre Edizioni, Verona 1999.

A. Da Lisca, La fortificazione di Verona dai tempi romani al 1866, Tipografia cooperativa, Verona 1916.

G. Perbellini, L.V. Bozzetto, Verona. La piazzaforte ottocentesca nella cultura europea, Architetti Verona 1990.

G.P. Romagnani, Storia di Verona. Dall’antichità all’età contemporanea, Cierre Edizioni, Verona 2021.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]