[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 206 / FEBBRAIO 2025 (CCXXXVII)


contemporanea

Venezia D'INIZIO ottocento
sul governo austriaco della città

di Ruggero Dittadi

 

In un precedente articolo apparso su questa rivista ormai oltre due anni orsono il dr. Malo ricordava come si sia ormai diffusa una nuova interpretazione dell’occupazione austriaca di Venezia, per troppo tempo legata all’orientamento risorgimentale che la vedeva solo come un dominio straniero oppressivo e illiberale. Si riprende ora quell’argomento con l’intento di rivederne alcuni aspetti.

 

Riepilogando per sommi capi le vicende precedenti, nel 1797, sotto la spinta della campagna d’Italia di Napoleone, la Repubblica di Venezia era caduta, e al suo posto si era costituita una Municipalità Provvisoria, controllata dai francesi, che, dopo aver saccheggiato molti dei tesori della città, la cedeva col resto del Veneto all’Austria al posto della Lombardia (trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797). Gli austriaci sarebbero rimasti fino al trattato di Presburgo (26 dicembre 1805), grazie al quale Venezia tornava ai francesi, che governarono fino alla caduta di Napoleone nel 1814. Erano stati anni travagliati dalla guerra quasi costante fra la Francia e le altre potenze europee, e i governi che si succedettero, di per sé poco inclini a trattare con particolare riguardo i territori di recente e incerta conquista, avevano avuto anche poco margine di manovra dal punto di vista economico. La popolazione non poteva quindi che essere scontenta della situazione.

 

L’avvento dell’occupazione austriaca ebbe quindi il vantaggio di arrivare, ambedue le volte, dopo un dominio francese, prima dopo i pochi mesi di pura rapina nel 1797, poi dopo gli 8 anni del Regno Italico, anch’esso complessivamente fallimentare. Dopo il 1806 infatti, Napoleone mostrò in qualche modo l’intenzione di dare sviluppo alla città e alle sue attività, soprattutto il porto, ma le iniziative furono contraddittorie. In particolare, il blocco navale contro l’Inghilterra e i pesanti prelievi fiscali non permettevano all’economia della città di decollare. Inoltre, la coscrizione obbligatoria metteva in crisi, sia economicamente che socialmente, le famiglie. Venezia veniva subordinata a Milano, divenuta capitale del Regno Italico sotto controllo francese. Con la soppressione delle corporazioni religiose veniva anche sottratta una parte del patrimonio artistico, indirizzato in alcuni casi a Milano, quando non semplicemente portato in Francia.

 

Alla fine del dominio francese la città era prostrata economicamente, socialmente e moralmente. Il ritorno degli austriaci fu accolto con soddisfazione, ma era abbastanza naturale che il cambio di regime fosse visto con favore, se non altro per lesperanze che la situazione migliorasse.

 

Dopo la caduta del napoleonico Regno d’Italia, si potevano prospettare, almeno in teoria, quattro possibili scenari per Venezia: il ripristino come capitale di uno stato sovrano (nell’ottica del principio di legittimità deciso nel Congresso di Vienna) che era l’ipotesi nel complesso più desiderata; il ruolo di guida di uno stato sotto tutela austriaca; l’assorbimento come provincia dell’Impero austriaco; oppure l’unione alla Lombardia in un unico stato sotto controllo austriaco.

 

Alla fine il Congresso optò per quest’ultima soluzione, in fondo la meno gradita ai veneziani, e il 7 aprile 1815 fu istituito il Regno Lombardo-Veneto. Anche a uno sguardo più equilibrato rispetto a quello di stampo “risorgimentale”, non può sfuggire che il regno si configuri quasi subito come uno stato inconsistente e senza una reale autonomia, che restò sostanzialmente formale. Venezia torna sede di governo, come co-capitale del Regno, ma si tratterà di un privilegio con poca sostanza, restando essa una capitale periferica come molte altre città dell’impero.

 

Il Vicerè non era abilitato a governare e il potere effettivo era delegato ai due Governatori, uno per ciascuna delle due capitali, e ai propri Consigli di Governo. Questi erano nominati e dipendenti da Vienna e comunicavano direttamente con la cancelleria di stato. Le Congregazioni Centrali (organismi amministrativi elettivi) di Milano e Venezia e quelle provinciali erano fondamentalmente organi consultivi relativamente alle spese locali. Inoltre rispecchiavano le esigenze dei grandi possidenti, visto che l’eleggibilità era basata sul censo.

 

Fin dall’inizio, quasi la metà del personale di vertice dell’amministrazione, sia civile che giudiziaria, proveniva da altre regioni della monarchia. Questo per la volontà sorta in quegli anni di trasformare l’Impero in uno stato più centralizzato e omogeneo, senza però che l’idea di Stato ancora esistesse dal punto di vista costituzionale.

 

Detto questo, va certo affermato che la Restaurazione nel Lombardo-Veneto era stata relativamente moderata. La transizione verso la nuova gestione venne attuata in modo graduale, per evitare una opposizione popolare eccessiva. Non vennero restituiti i privilegi al clero e alla nobiltà, fu incoraggiato l’insegnamento primario e secondario e si cercò di rendere la presenza austriaca il meno invadente possibile. Venne inoltre evitato il tentativo di omologare l’elemento etnico e culturale italiano a quello austriaco, lasciando l’italiano come lingua ufficiale.
Tuttavia, fin dai primi anni, le stesse relazioni dei Governatori evidenziarono le difficoltà di assimilazione delle province italiane.

 

L’Austria, contrariamente alle iniziali promesse, mantenne la coscrizione obbligatoria, portandola anzi fino a 8 anni. I coscritti italiani prestavano inoltre servizio in altre zone dell’impero, mentre c’era un significativo corpo di spedizione straniero (specie in Lombardia).

 

Dal punto di vista politico, l’Austria puntò soprattutto suaccentramento e controllo. La burocrazia, molto precisa e puntigliosa, si mostrò però lenta e farraginosa, a causa della mancanza di responsabilizzazione decentrata. Il lavoro burocratico era ingente ma sproporzionato rispetto agli effettivi risultati.

 

Il sistema poliziesco, che agiva alle dirette dipendenze di Vienna, era stato dipinto a tinte eccessivamente fosche da una certa storiografia,ma era comunque piuttosto pervasivo. Sul piano penale e politicodivenne particolarmente rigido, specie dopo i moti del 1821, sebbene poi le sentenze venissero spesso attenuate in fase esecutiva. Anche sul piano civile, la polizia manteneva un controllo ossessivo, estendendo la propria sorveglianza ad altre strutture amministrative per prevenire qualsiasi rischio di politicizzazione della società civile.

 

Dal punto di vista fiscale, il Lombardo-Veneto fu sfruttato a vantaggio della monarchia, con l’obiettivo di ridurre il cronico deficit dell’Impero. Tuttavia, sebbene la pressione fiscale fosse significativamente più alta rispetto ad altri distretti, sia in termini assoluti che, soprattutto, in rapporto a superficie e popolazione, va anche detto che, considerando la spesa pubblica più elevata destinata a questa regione, il bilancio risulta più equilibrato. La tassazione era però squilibrata a danno delle classi popolari, vista la prevalenza (2/3 del gettito) delle imposte indirette su quelle dirette.

 

Dal punto di vista delle attività economiche, mentre agli imprenditori milanesi si concesse di sviluppare un’economia industriale, il Veneto venne visto prevalentemente come un centro di produzione agricola per il rifornimento del mercato austriaco. Industrialmente i forti dazi che lo separavano dal resto dell’impero favorivano soprattutto i centri manufatturieri boemi, moravi e viennesi.

 

Per quanto riguarda più specificamente Venezia, l’attività portuale aveva subito un tracollo dal quale sarebbe stato difficile riprendersi, soprattutto considerando la preferenza di Vienna per Trieste come porto principale dell’Impero. In questo contesto, anche le buone reti di comunicazione, tra cui il ponte ferroviario inaugurato nel 1846, ebbero un’utilità non così significativa nel rilancio dell’attività economica.

 

Nel 1830 l’istituzione del porto franco fu estesa a tutta la città, favorendo una certa ripresa delle attività mercantili. Tuttavia, il valore complessivo del traffico commerciale rimase pari a non più di un quarto di quello registrato a Trieste. Inoltre, si trattava per lo più di traffico in entrata, rendendo Venezia soprattutto un porto di transito, una condizione che, persino nell’ultimo periodo di decadenza della Repubblica, si era sempre cercato di evitare.

 

Nonostante queste difficoltà, a Venezia si sviluppò ugualmente un certo fermento imprenditoriale, che tentò di adattarsi ai processi industriali dell’epoca. Il vetro di Murano si affermò come il principale prodotto della città, trovando mercato in tutta Europa. Anche il numero di lavoratori impiegati nelle manifatture rimase significativo, sebbene molti settori, come quello tessile, subissero un drastico declino: dai 7.000 lavoratori tessili attivi nel 1783, si era scesi a soli 600 nel 1845.

 

Come sede del sistema burocratico e amministrativo del Veneto, Venezia cominciò progressivamente a trasformarsi in una “città del terziario”. Inoltre, lo sviluppo del turismo, sebbene ancora limitato a un’élite, offrì un contributo positivo all’economia cittadina, con afflussi annuali pari alla popolazione totale della città.

 

Tra il 1845 e il 1846 si verificò una grave crisi economica, causata da raccolti disastrosi. Questa difficile congiuntura si intrecciò con il contesto politico, caratterizzato da continue tensioni tra la popolazione e le truppe di occupazione, contribuendo a creare un clima di crescente malcontento, preludio ai moti del 1848. Tra questi spicca la rivoluzione veneziana, che portò alla proclamazione di una nuova Repubblica. Quest’ultima, pur nella sua breve esistenza, avviò iniziative diplomatiche internazionali e,curiosamente,fu riconosciuta dagli Stati Uniti d’America. La rivoluzione veneziana, spesso trascurata dalla storiografia non locale, garantì la libertà della città per quasi un anno e mezzo, rendendo Venezia, fra le molte città europee in rivolta, l’ultima a capitolare.

 

L’eroica resistenza era costata molto, anche dal punto di vista economico, e le condizioni vennero aggravate dai provvedimenti punitivi dei primi anni della nuova occupazione austriaca. Solo dopo il 1854, con la nomina a governatore generale del Lombardo-Veneto del fratello dell’imperatore Arciduca Massimiliano, la situazione migliorò, e la condizione economica della città divenne, se non florida, accettabile. Massimiliano tuttavia fallì nella sua ricerca di maggiore autonomia, e nel 1859 rinunciò all’incarico. Nello stesso anno scoppiò la guerra contro i franco-piemontesi e l’Austria perse la Lombardia e il controllo che ancora manteneva sulla penisola.

 

Gli ultimi anni degli austriaci nel Veneto videro qualche iniziativa amministrativa a sostegno della Congregazione Centrale, peraltro del tutto vana vistal’unione anche di questa regione all’Italia nel 1866.

 

Come si vede, il governo austriaco emerge da questa analisi in modo variegato e con toni chiaroscurali. Dal punto di vista amministrativo, le autorità imperiali non governarono male, e va respinta, come già ricordato, la “leggenda nera” nata dalla storiografia risorgimentale. Tuttavia, restò pur sempre un “governo straniero”, accentratore e per alcuni aspetti repressivo, solo in parte disposto a sostenere popolazioni che si sentivano esse stesse un corpo estraneo all’Impero. Al di là di qualche entusiasmo momentaneo, dovuto soprattutto al ricordo di amministrazioni ancora peggiori, non si può dire che ci sia stata un’ampia adesione allo Stato austriaco, quanto piuttosto una forma di adattamento passivo.

 

Questo non significa che fin dall’inizio fossero diffusi valori “patriottici” e unitari, che almeno a Venezia furono comunque presenti in modo significativo, ma sicuramente era sempre stato relativamente comune il desiderio di staccarsi dall’Impero.

  

 

Riferimenti bibliografici

 

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M. Meriggi, Reichstrotters e il regno Lombardo Veneto. Mobilità transregionale e funzionari pubblici nello spazio “globale” dell’impero asburgico, Storia e Regione 2021, 30(1), pp. 181-199.

F.B. Soramio, Il Regno Lombardo-Veneto: amministrazione e problematiche sociali, in F.B. Soramio, La Questione Veneta. Da Campoformio all’annessione al Regno d’Italia, Catania, 2013.

S.J. Woolf, La storia politica e sociale, in Storia d’Italia. III. Dal primo Settecento all’Unità, Einaudi, Torino 1973.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]