[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

177 / SETTEMBRE 2022 (CCVIII)


attualità

VeNEZIA: non solo glamour
LA Mostra E LA solidarietà per TUTTI i registi perseguitati

di Leila Tavi

 

Questa edizione della Mostra del Cinema di Venezia sarà ricordata non soltanto per l’eccellente selezione di film e cortometraggi, ma anche per la solidarietà nei confronti di registi di tutto il mondo perseguitati o, addirittura, incarcerati nei loro Paesi, come l’iraniano Jafar Panahi, l’egiziano Motaz Atowab e la turca Çiğdem Mater.

 

I primi a prendere posizione nei confronti delle violazioni dei diritti umani a cui i registi sono sottoposti sono stati il direttore della Mostra Alberto Barbera, Vanja Kaludjercic (Croazia, direttrice del Festival di Rotterdam), Sinem Sakaoglu (Turchia, regista), Orwa Nyrabia (direttrice dell’Amsterdam Documentary Film Festival), Mike Downey (presidente della European Film Academy) e Kaveh Farnam (Iran, produttore), che hanno preso parte a una tavola rotonda sul tema, che si è svolta nell’ambito della 79. edizione della Mostra del Cinema di Venezia, in cooperazione con l’International Coalition for Filmmakers at Risk (ICFR).

 

Vania Kaludjercic ha illustrato il contesto in cui è stata fondata nel 2019 l’ICRF per iniziativa dell’International Documentary Filmfestival Amsterdam (IDFA), nell’ambito dell’International Film Festival Rotterdam (IFFR), in collaborazione con la European Film Academy (EFA). La coalizione è nata da una preoccupazione comune nei confronti dei filmmaker indipendenti, la cui vita e i cui mezzi di sostentamento sono a rischio in Paesi dove sono i regimi a governare. In questi due anni, l’ICFR ha aiutato registi dall’Afghanistan all’Egitto, dal Myanmar all’Iran e, negli ultimi tempi, dall’Ucraina. La direttrice del Festival di Rotterdam ha spiegato come l’ICFR abbia mobilitato la comunità cinematografica internazionale per raccogliere 420.000 euro, somma che è stata devoluta in favore di quattrocento registi ucraini, in modo che potessero lasciare il loro Paese in guerra, ottenere visti, trovare un alloggio e provvedere al loro sostentamento.

 

Orwa Nyrabia ha, invece, mostrato al pubblico intervenuto alla tavola rotonda come la campagna dell’ICFR per i registi in Afghanistan sia stata un successo: su ottocento registi e le loro famiglie, il 60% è stato trasferito in Paesi democratici in cui possono vivere e lavorare al sicuro. La direttrice dell’Amsterdam Documentary Film Festival ha, però, rimarcato che bisogna sempre tenere la guardia alta contro le violazioni dei diritti umani in ambito artistico e non bisogna assuefarsi a uccisioni e torture, come nel tragico caso di Mantas Kvedaravičius, un regista lituano ucciso in Ucraina nell’aprile scorso, mentre tentava di lasciare Mariupol assediata dai Russi. Secondo alcune fonti ucraine Kvedaravičius stava filmando le truppe russe in azione nella zona, per testimoniare le atrocità commesse nei confronti di civili inermi.

 

Vanja Kaludjercic ha lanciato un’azione volta ad accrescere la sensibilizzazione dell’opinione pubblica per aumentare le donazioni per un fondo dell’ICFR da devolvere in favore dei registi coinvolti nella guerra in Ucraina. L’iniziativa prevede sovvenzioni da 500 a 1.500 euro per aiutare a sostenere costi quali le spese di trasferimento e le spese legali e amministrative, compresi i visti.

 

il produttore iraniano Kaveh Farnam ha denunciato, poi, la critica situazione dei suoi colleghi nel suo Paese, che subiscono pesanti persecuzioni, facendo riferimento ai recenti arresti dei registi Jafar Panahi, Mohammad Rasoulof e Mostafa Aleahmad.

 

In particolar modo, Jafar Panahi, già arrestato e condannato in passato, non ha potuto prendere parte alla Mostra del Cinema di Venezia, perché lo scorso luglio è stato nuovamente privato della libertà personale per aver protestato insieme a numerosi suoi colleghi contro l’arresto degli altri due registi, Mohammad Rasoulof e Mostafa Aleahmad, avvenuto in seguito alle proteste contro la violenza sui civili in Iran. Panahi è stato condannato a sei anni di carcere a giugno, dopo essere stato arrestato per aver criticato il governo in merito all’arresto dei suoi colleghi registi iraniani sopracitati. Il regista è al momento detenuto in un carcere di Teheran, in custodia dal 12 luglio scorso, dopo essersi recato presso l’ufficio del procuratore di Teheran per accertarsi delle condizioni in cui versavano i suoi due colleghi registi arrestati qualche giorno prima. In seguito è emerso che le autorità iraniane avevano deciso di riattivare una condanna sospesa a sei anni, originariamente comminata a Panahi nel 2010 per aver girato un film senza permesso. La pena per questo reato è stata poi commutata in arresti domiciliari, grazie alle pressioni internazionali. Al regista è vietato lasciare il Paese per venti anni.

 

La sua detenzione si inserisce nel contesto di un giro di vite sulla libertà d’espressione in Iran, mentre il governo tiene sotto controllo un’ondata di proteste popolari su una serie di questioni, tra cui la crisi del costo della vita, la gestione da parte del governo di un crollo edilizio mortale e codici di abbigliamento più severi per le donne.

 

Panahi, che si è fatto apprezzare a livello internazionale nel 1995, grazie alla sua opera prima Badkonake sefid (Il palloncino bianco), vincendo la Caméra d’Or di Cannes, ha trascorso gran parte della sua carriera cinematografica nel mirino delle autorità iraniane, trascorrendo gli ultimi dodici anni alternando brevi periodi di libertà a lunghi arresti domiciliari.

 

È stato arrestato per la prima volta nel luglio 2009, dopo aver partecipato al funerale di Neda Agha-Soltan, una studentessa di filosofia uccisa a Teheran da miliziani sostenuti dal governo, mentre partecipava alle proteste della Rivoluzione Verde.

 

Panahi è stato arrestato una seconda volta nel marzo 2010, mentre girava un film ambientato sullo sfondo della Rivoluzione Verde. Nel dicembre dello stesso anno gli è stata inflitta una condanna a sei anni di carcere con la condizionale, che finora non ha scontato. Durante tutti questi anni Panahi è stato costretto a produrre i suoi film in totale clandestinità. Tra i suoi film noti al grande pubblico ricordiamo il docu-comedy-drama Taksojuht (Taxi Teheran), vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino nel 2015 e In film nist (This Is Not A Film) del 2011, che è stato realizzato mentre era agli arresti domiciliari e poi fatto uscire in modo clandestino dall’Iran.

 

Il suo nuovo film Khers NIst (No Bears), in concorso a Venezia, ha vinto il premio speciale della giuria. Panahi racconta due storie d’amore che si svolgono in parallelo, i cui protagonisti devono affrontare ostacoli che sembrano insormontabili. La storia del film è ambientata in un villaggio al confine con l’Azerbaigian, dove una coppia cerca di partire per Parigi con passaporti rubati, con una troupe cinematografica che li segue, mentre una seconda giovane coppia cerca di sfuggire da un matrimonio forzato e da un villaggio pieno di pettegolezzi e maldicenze. 

 

Dalla finzione alla realtà, con Panahi costretto a dirigere il suo film da una stanza in affitto via Zoom. La scelta di girare in un anonimo villaggio di confine è stata strategica, per evitare gli oppressivi controlli che avrebbe subito a Teheran, come per il suo penultimo film del 2018, il road-movie Se rokh (Tre volti). Durante le riprese di No Bears il regista usciva a passeggiare soltanto dopo il tramonto, in una zona montuosa dove, come il titolo del suo nuovo film ci annuncia, non ci sono orsi, ma uomini sciacallo, come contrabbandieri di merci e di persone, approfittatori e poliziotti corrotti.  

 

A Venezia sono stati presentati altri tre lungometraggi iraniani: Beyond The Wall di Vahid Jalilvand, sempre in Concorso, World War III di Houman Seydei, nella sezione Orizzonti, e il thriller Without Her di Arian Vazirdaftari, in Orizzonti Extra.

 

Il 9 settembre pomeriggio, in occasione della proiezione del film di Panahi, è stato organizzato un flash mob sul red carpet, a cui ha preso parte anche la Presidente della giuria del festival, Julianne Moore. Insieme a lei si sono uniti alla protesta molti artisti e addetti ai lavori del cinema, tra i quali Audrey Diwan, membro della giuria, la regista Sally Potter, la Presidente della giuria della sezione Orizzonti, Isabel Coixet, e il Direttore del festival, Antonio Barbera.

 

Critica è anche la condizione di Motaz Atowab, detenuto in Egitto per oltre un anno e mezzo. Çiğdem Mater, invece, è una produttrice turca condannata a diciotto anni di detenzione che è stata arrestata durante un’irruzione sul set del suo ultimo film. La sua collega Sakaoglu ha letto alla fine del suo intervento durante la conferenza di Venezia una nota scritta a mano da Çiğdem Mater:

 

“Cara comunità di cineasti - Anche se non sembrava, ci siamo imbarcati in un compito difficile in tempi difficili. La solidarietà e il sostegno globale mi rassicurano continuamente che siamo sulla strada giusta e che stiamo facendo ciò che è giusto. Con la speranza di essere di nuovo liberi e di poterci incontrare presto ai festival”.

 

La produttrice turca è stata condannata a diciotto anni di carcere dopo che, insieme ad alcuni colleghi, è stata accusata di aver cercato di rovesciare il governo turco in relazione alle proteste anti governative di Gezi Park del 2013.

 

Uno dei maggiori sostenitori della causa è Mike Downey, produttore cinematografico irlandese-britannico cofondatore e amministratore delegato di Film and Music Entertainment e dal 2020 Presidente della European Film Academy. Downey ha concluso la conferenza di Venezia citando le parole di Panahi, pronunciate dal regista iraniano in occasione della sua nomina ad ambasciatore dell’ICFR: “Il sostegno incondizionato dei registi è il miglior supporto che un regista a rischio possa ricevere”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]