SUL VALORE ETICO DEL
CRISTIANESIMO
E POI GIUNSE IL MESSIA
di Emilio
Vaccaro
Nel presente articolo l’obiettivo è
quello di soffermarsi sul
significato storico e sui riflessi
sul tessuto sociale che la venuta
del Messia provoca in tutto il mondo
allora conosciuto. Non è tanto
l’aspetto prettamente teologico a
essere sottolineato quanto il valore
etico del Cristianesimo nel senso
più ampio del termine: dando spazio
ai poveri, agli umili e infelici e
provocando le ire dei ricchi, per i
quali i concetti di parità di
diritti sociali non erano
concepibili. Si vuol evidenziare
anche il coraggio delle prime
comunità cristiane, che non si
arresero davanti alle continue
persecuzioni romane, pur quando ciò
significava sacrificare la vita in
nome di un’incrollabile fede. Alla
fine i sacrifici dei professanti
delle due religioni monoteiste
(Ebraismo da una parte e
Cristianesimo dall’altra) verranno
premiati. Il paganesimo sarà
accantonato: tale avvenimento darà
inizio a una tormentatissima vita
per la Chiesa, non certo incentrata
sui concetti di caritas e amore, ma
sembra impegnata a ricercare e
conservare il proprio potere.
Correva all'incirca l’anno 747-750
dalla fondazione di Roma: durante
l’Impero di Cesare Ottaviano
Augusto, e a Betlemme in Giudea
(secondo fonti alessandrine, greche,
ebraiche) nasce Gesù, detto poi il
Cristo, l’unto, l’eletto del
Signore. La sua comparsa cadeva in
un’età di profonda crisi spirituale
(che anticipava quella politica ed
economica), nella quale gli spiriti
si volgevano ansiosamente verso
nuove credenze religiose, altre
certezze che dessero un preciso
significato alla vita e alla morte.
Si diffondevano in ogni parte del
mondo antico le religioni
misteriosofiche, come i misteri
dionisiaci, orfici, eleusini in
Grecia, di Osiride in Egitto, di
Adone in Siria, di Cibele in Asia
Minore, di Mitra in Persia.
Caratterizzati da riti iniziatori
tenuti occulti ai profani e da nuove
dottrine di salvazione, tali misteri
mirano a soddisfare certi prepotenti
bisogni dell’anima individuale;
conducono a una maggior
purificazione dell’individuo;
offrono al singolo una consolante
garanzia di vita felice al di là
della tomba. I misteri non cadono,
come le religioni tradizionali,
sotto il controllo dello Stato, né
si aprono alla massa dei cittadini;
al contrario, sono riservati a pochi
eletti, stretti in confraternite, ma
hanno il vantaggio di accogliere
adepti da ogni parte, senza
preconcetti di razza, casta,
nazione. Questi culti si diffusero
con sorprendente rapidità
dall’Oriente all’Occidente nel I-II
sec. d.C. I misteri di Mitra
soprattutto ebbero una forza di
espansione che sarà superata solo
dalla propagazione dell’Evangelo.
Dovunque siano dislocate le legioni
romane, ivi troviamo diffuso questo
culto, specialmente grazie agli
Asiatici chiamati a occupare i posti
militari sul Danubio, Reno o sul
vallo di Adriano nella lontana
Britannia.
In questo clima di ansiosa ricerca
di salvazione individuale fa la sua
apparizione il Cristianesimo che
all'inizio non sembra altro che una
setta dell’Ebraismo. Gli antichi
profeti avevano preannunziato da
tempo la venuta di un Messia che
avrebbe realizzato un mondo giusto.
Leggiamo nella Bibbia: “Non voglio
sentire i suoni delle vostre arpe,
ma l’equità scorra come l’acqua e la
giustizia come perenne torrente”.
“Ora, poiché voi spogliate il povero
e gli estorcete gravosi tributi sul
grano, le case di pietra squadrate
che avete fabbricato non le
abiterete” (Profeti, Amos, Cap. V).
Una voce contro le diseguaglianze
dunque, la superbia e la ricchezza,
a favore degli umili e degli
oppressi che riudiremo con più
chiari enunciati nella predicazione
di Gesù. Nato dal seno della cultura
e tradizione ebraica, il Cristo
proclamò di essere venuto non a
infrangere, ma ad adempiere l’antica
legge. All'osservanza esteriore
della legge senza attenzione allo
spirito della norma, i cosiddetti
Farisei: “Ma guai a voi, che pagate
la decima della menta, della ruta e
di tutti i legumi e non date peso
alla carità e alla giustizia di Dio”
(Luca, XI, 42). La venuta del Messia
era fervidamente attesa dal popolo
ebraico, ma esso si attendeva,
conformemente alle prevalenti
istanze nazionalistiche, la
liberazione di Israele dalla
soggezione dei Romani, mentre Cristo
proclamava di essere venuto a
liberare gli uomini dal peccato,
dalla potenza di Satana e a
edificare il regno di Dio. Non fu
perciò difficile ai sacerdoti del
Sinedrio, agli scribi e ai Farisei
denunziarlo al popolo come impostore
e al governatore romano, Ponzio
Pilato, come ribelle all’autorità di
Roma, ottenendone la condanna a
morte e la crocifissione.
La predicazione di Cristo fu
preceduta dalla diffusione nel
territorio della Palestina di una
setta religiosa (dalla maggior parte
degli studiosi identificata con
quella degli Esseni) che ha lasciato
precisa notizia di sé nei cosiddetti
Rotoli o Manoscritti del Mar Morto,
scoperti di recente, fortuitamente,
in profonde grotte palestinesi; una
setta staccatasi dal giudaismo
ufficiale e professante dottrine che
presentano singolari somiglianze con
quelle cristiane. Essa parla di un
Maestro di Giustizia che avrebbe
rivelato il vero significato delle
Scritture e sarebbe stato
perseguitato. Tali Rotoli del Mar
Morto rappresentano una
preziosissima scoperta, in quanto
consentono di meglio inquadrare,
nell’ambiente del tempo, la figura e
l’opera di Giovanni Battista e Gesù,
come degli apostoli. Essi confermano
eloquentemente come fosse già in
atto in Palestina una profonda
trasformazione religiosa, per cui si
può ben dire che la comparsa di
Cristo, anche a volerla considerare
solo storicamente, cadde nella
pienezza dei tempi.
I principi fondamentali del
Cristianesimo sono enunciati nel
Discorso della Montagna, detto anche
delle Beatitudini, pronunziato da
Gesù, secondo la tradizione
evangelica, dinanzi alla folla nel
primo anno della sua predicazione
pubblica: “Beati i poveri di
spirito, i miti, quelli che
piangono, i misericordiosi, puri di
cuore, i pacifici” (Matteo V, 3-10),
in sostanza, sono beati tutti coloro
che il mondo aveva fin qui giudicati
infelici o inetti. Queste
enunciazioni rappresentano un vero e
proprio capovolgimento di valori, la
cui accettazione comporta un
radicale rinnovamento interiore (metànoia,
l’ha chiamata San Paolo). Il dolore
stesso è valutato come mezzo di
affinamento spirituale e riscatto
dal male. Non v’è perciò da stupirsi
se la parola di Cristo si propagò
rapidamente, specie tra le classi
più umili, tra i reietti della
società, che avevano fame e sete di
giustizia, sperando nell’avvento di
un nuovo regno fondato sull’amore,
sull'equità, sull'uguaglianza, sulla
pace, nel quale gli uomini si
sarebbero riconosciuti come
fratelli. Né la morte di Cristo
sulla croce arrestò la diffusione
della sua parola, perché gli
apostoli sparsero l’Evangelo (la
Buona Novella) in ogni parte del
mondo allora conosciuto.
Ma la diffusione dell’Evangelo tra i
pagani (“gentili”) avvenne
soprattutto per opera di Paolo di
Tarso, prima fanatico persecutore
dei Cristiani per conto del
Sinedrio, poi prodigioso seminatore
della “parola”. A lui si devono i
fondamenti della dottrina
cristologica e di quella
soteriologica (la prima riguardante
Cristo e la sua missione, la seconda
il problema della salvezza).
L’universalismo cristiano ha
esplicito inizio con San Paolo; con
lui il sacrificio di Cristo diviene
operante non solo nei riguardi degli
Ebrei, ma di tutti gli uomini
indistintamente, qualunque sia la
loro razza, lingua e/o condizione
sociale. Perciò Paolo è passato alla
storia col nome di “apostolo delle
genti”. “Siete tutti figli di Dio”
scrive ai Galati, “per la fede in
Cristo Gesù. Quanti siete stati
battezzati in Cristo, vi siete
rivestiti di Cristo. Non c’è più
Giudeo né Greco, non c'è schiavo né
libero, non c'è maschio e femmina,
poiché tutti voi siete uno in Cristo
Gesù” (Lettera ai Galati, III,
26-28).