.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]

RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

MODERNA


N. 5 - Maggio 2008 (XXXVI)

VALMY, 20 settembre 1792
Il primo successo della Rivoluzione francese

di Cristiano Zepponi

 

La presa della Bastiglia e gli avvenimenti che seguirono quella giornata di metà luglio del 1789, tra cui la pubblicazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino – fortemente influenzata dall’esempio americano – ed i dibattiti vertenti sul futuro ruolo della monarchia – che si proponeva di rendere costituzionale, e non più assoluta - scatenarono come previsto la reazione del sovrano, re Luigi XVI.

 

Nella notte tra il 20 ed il 21 giugno del 1791, infatti, questi tentò la carta della fuga dalla Francia, in cerca di forze amiche che ne potessero restaurare l’autorità nelle corti del Continente con cui manteneva da tempo, segretamente, contatti.

 

Tuttavia, la sua mossa si rivelò particolarmente erronea, allorché fu riconosciuto e bloccato all’altezza di Varennes, per poi essere scortato durante il pietoso ritorno alle Tuileries.

All’interno dell’Assemblea, però, prevalsero i deputati favorevoli al mantenimento dei reali sul trono, a patto che questi accettassero la Costituzione: una formalità espiata da Luigi il 13 settembre successivo.

 

Contemporaneamente, la politica estera si impose visibilmente sulla scena nazionale; il 27 agosto 1791 l’imperatore d’Austria, il re di Prussia e l’elettore di Sassonia proclamarono a Pillnitz che la situazione rivoluzionaria della Francia, che prima del tentativo di fuga dei reali era considerata fondamentalmente come un affare interno, era “di comune interesse per tutti i sovrani d’Europa”.

 

I patrioti europei guardavano alla Francia, e le loro voci si moltiplicarono nella celebrazione del cosmopolitismo rivoluzionario, specie dopo i fallimenti degli anni ’80.

Questi gruppi, organizzati in club e dotati di organi di stampa, s’affiancarono alle posizioni belliciste di larga parte dell’universo giacobino, e dei seguaci di Jacques-Pierre-Brissot – che la definiva crociata di libertà universale - in particolare, per sostenere l’opportunità di esportare la rivoluzione.

 

Per ragioni opposte, anche la corte ed i gruppi monarchici inneggiarono alla guerra. Ritenevano, infatti, non senza cinismo, che un’eventuale sconfitta, indebolendo il Paese, avrebbe rafforzato il loro ruolo, permettendogli di tornare in auge. Volevano dunque, sostanzialmente, importare la monarchia.

 

Robespierre, il secondo giorno dell’anno 1792, pronunciò una veemente orazione contraria, mostrando di intuire i rischi connessi ad un conflitto. Ma gli eventi avevano preso un altro corso, e la coalizione degli avversari era così solida da poter ignorare i già evidenti segni di malcontento e tensione presenti nell’esercito, e tra le file degli ufficiali nobili – almeno tra quelli rimasti, dopo la diaspora all’estero di 6.000 di loro – che seguitavano a guidare la macchina da guerra francese.

Di conseguenza, l’ammutinamento di Nancy dell’agosto 1790 non ebbe seguito.

 

Il 15 marzo 1792, anzi, il re formò un ministero brissottino; e questo, come naturale, accelerò la corsa verso lo scontro. Già un mese dopo, ovvero il 20 aprile, l’Assemblea legislativa votò la guerra al nuovo re di Boemia e Ungheria, succeduto a Leopoldo II (deceduto il primo marzo) ed in attesa di essere nominato imperatore col nome di Francesco II.

Ai primi di luglio, la Prussia scese in campo al fianco dell’alleata Austria.

 

In breve, gli insuccessi militari e le denuncie di complotto (cui partecipava in effetti la regina Maria Antonietta d’Asburgo, che passava ai connazionali i piani di guerra francesi) favorirono l’inasprimento delle misure contro emigrati e preti refrattari e la sostituzione dei brissottini con i foglianti (il 12 giugno). Otto giorni dopo il re, dopo l’invasione delle Tuileries ad opera della folla – formata in gran parte da operai del fauburg Saint-Antoine e dei sobborghi, armati in modo eterogeneo - fu costretto a scegliere tra la coccarda bianca dell’Ancièn Regime e quella tricolore della Rivoluzione. Scelse, come ovvio, quella bianca, rossa e blu: “Che coglione! Che follia! Come hanno potuto consentire a quella plebaglia di entrare? Perché non ne spazzano via quattro o cinquecento con il cannone? Poi il resto se la squaglierebbe in gran fretta!”, si lasciò allora scappare un giovane ufficiale di passaggio, che aveva assistito alla scena e di cognome faceva Bonaparte.

 

L’11 luglio, l’avanzata degli eserciti avversari portò alla proclamazione della “patria in pericolo”, mentre battaglioni di volontari s’organizzavano in tutto il Paese; la “Marsigliese”, composta dall’ufficiale del genio Rouget de Lisle per l’Armata del Nord, ne accompagnava la marcia. Nel frattempo, la connivenza di re Luigi con lo straniero, a dispetto di coccarde e berretti frigi, fu poi provata dalle minacce del comandante delle truppe coalizzate – Carlo Guglielmo Ferdinando, duca di Brunswick – che minacciò di distruggere Parigi in caso di oltraggi alla famiglia reale.

 

Il 10 agosto, la sollevazione popolare – parigina e provinciale – portò alfine alla deposizione ed all’arresto del re, ed alla creazione di una nuova municipalità (la Comune insurrezionale).

Ma il clima di paura, alimentato dalle notizie dal fronte (dove il 23 agosto si registrò la caduta della fortezza di Longwy, ed una settimana dopo di Verdun) continuò ad influenzare gli eventi, ed accelerò la promulgazione di provvedimenti straordinari (requisizione dei grani, soppressione degli ultimi residui feudali, legge dei sospetti, espulsione dei preti refrattari, istituzione di un Tribunale straordinario), mentre una nuova esplosione di violenza prendeva forma nelle carceri, dove folle di sanculotti si riversarono per massacrare i detenuti (in gran parte rinchiusi per reati comuni).

A Parigi, l’anarchia era alle porte, come i prussiani.

 

A causa della defezione degli ufficiali nobili di cui abbiamo detto, gran parte dei sottufficiali anziani salirono di grado, e si prepararono a guidare un esercito assai più vasto di quello reale, ma al contempo più entusiasta che capace.

Durante tutta l’estate, i reiterati attacchi francesi nei Paesi bassi austriaci si conclusero sempre con una fuga precipitosa; e questo, forse, convinse gli avversari che un’invasione – contrastata soltanto da una folla di pittoreschi principianti, com’essi pensavano – sarebbe stata impresa facile.

 

Approfittando della lentezza degli invasori, costretti a marciare per soli dieci chilometri al giorno insieme alle salmerie, permise alle armate francesi – l’Armèe du Nord, comandata dal generale Charles-François Dumouriez, e l’Armèe du Centre del generale François-Cristophe Kellerman – di guadagnare giorni preziosi.

I francesi muovevano più velocemente, potendosi sostenere con le risorse locali; Dumouriez, allora, marciò a sud, nella foresta delle Argonne, e riuscì a posizionarsi tra questa ed i prussiani, per poi ritirarsi nei boschi a difesa delle cinque strade della zona.

 

I francesi furono costretti poi ad abbandonare una forte posizione difensiva sulla Grandprè, la strada centrale, e si mossero verso sud, nella città di Ste. Menehoud, alla confluenza dei fiumi Aisne ed Auve.

Qui, però, si fermarono, ed attesero i rinforzi; il 19 settembre, infatti, giunsero il marchese de Beurnonville da Châlons ed il generale Kellerman, alla testa di 18.000 uomini dell’Armèe du Centre, che portarono il totale delle forze rivoluzionarie nella zona a 58.000.

 

I francesi occupavano dunque un quadrato delimitato dai fiumi Aisne ad est, Auve a sud e Bionne a nord, al centro del quale si trovava la città di Valmy, circondata su tre lati dalle alture.

All’alba del 20, nonostante la volontà francese di riposizionarsi sulla riva sud dell’Auve, le forze prussiane marciarono verso sud della città di Somme-Bionne, per accerchiare gli avversari e bloccare la strada per Châlons.

 

La resistenza di un presidio avanzato rallentò la marcia dei coalizzati il tempo sufficiente a riposizionare l’esercito francese verso ovest, sulle alture fuori Valmy. Una fitta nebbia, contemporaneamente, celò la manovra – a dire il vero, nelle fasi iniziali, abbastanza confusa - di Kellerman.

 

Il duca di Brunswick schierò le truppe parallelamente a quelle rivoluzionarie, e attese. A mezzogiorno, con la nebbia ormai diradata, la visuale permetteva di stimare le forze.

Fiaccati dalla dissenteria e dai disagi, le truppe coalizzate assommavano a circa 30.000-34.000 uomini regolari, Di fronte, Kellerman guidava intorno a 36.000 francesi, mentre altri 18.000 formavano la retroguardia agli ordini di Dumouriez.

 

I francesi godevano del vantaggio della posizione; per ovviare al problema i prussiani – seguendo il consiglio di re Federico Guglielmo – avviarono un intenso bombardamento con 54 pezzi d’artiglieria, subito rintuzzato dalla reazione dei 36 cannoni di Kellerman.

 

I francesi eccellevano nell’uso dell’artiglieria, e godevano dei vantaggi derivanti da tipi perfezionati di pezzi a lunga gittata; ovviarono così alla differente preparazione e capacità combattiva tra i due eserciti, nonostante l’ingente distanza tra gli schieramenti - valutabile in 2.300 metri circa – ed il terreno bagnato, che assorbiva buona parte del potenziale d’impatto dei proiettili d’artiglieria.

 

Gli ufficiali prussiani rimasero stupiti dall’inattesa resistenza dei soldati francesi, che sembravano divenuti abbastanza esperti da far dimenticare l’atteggiamento delle reclute disorganizzate d’inizio estate. E dovettero nutrire seri dubbi sull’opportunità di marciare per due chilometri e mezzo allo scoperto, sotto il tiro nemico, per poi venire a contatto con avversari all’altezza, tutto sommato disciplinati ed ordinati come fin’allora la levee en masse non aveva mai sfornato, oltre che arroccati in una solida posizione difensiva.

 

Re Federico Guglielmo di Prussia, comunque, interruppe questi ragionamenti, ed ordinò l’avanzata prussiana, mentre Kellerman cavalcava tra i suoi giovani coscritti, incoraggiandoli a resistere, in un tripudio di urla “Vive la nation!”.

 

L’armata coalizzata percorse solo duecento metri, prima che il duca di Brunswick ordinasse l’alt; solo le artiglierie continuarono allora lo scontro a distanza. Alle due di pomeriggio un proiettile prussiano colpì una cassa di polvere da sparo francese, ed il duca, memore del disordine che questo avvenimento avrebbe potuto creare alcuni mesi prima, riprese l’avanzata. Ma i francesi restarono immobili, senza dar mostra di cedimento, ed il comandante prussiano, di nuovo, portò gli uomini al fronte di partenza. Alle 4, temendo una disfatta in caso d’attacco, abbandonò il campo.

 

I morti da entrambe le parti ammontarono a qualche centinaio, e la successiva ritirata in patria dell’esercito prussiano – demoralizzato dalla sconfitta e indebolito dalle malattie – spense i sogni di re Federico Guglielmo di entrare a Parigi entro l’anno.

Ma Valmy, più per che per le manovre o i risultati militari, rimane un episodio fondamentale perché chiude un’epoca – apertasi dopo la guerra dei Trent’anni – di scontri limitati e quasi incruenti, basati sulla capacità manovriera degli eserciti. Dopo Valmy, a condurre la guerra non furono più solo i soldati di professione, ma interi popoli spinti a battersi per il proprio Paese, e non per la paga o il re.

Dopo quel giorno l’artiglieria divenne più mobile, e l’attacco in linea cedette il passo a quello in colonna; le armate arrivarono ad assommare 100.000 uomini o più, accese di spirito patriottico ed armate dalle manifatture del Paese. Il nazionalismo bellico, in effetti, emise a Valmy i primi vagìti.

 

Se ne accorse anche Johann Wolfgang von Goethe, che si trovava a Valmy in qualità di osservatore, e commentò: “In questo luogo e in questo giorno comincia una nuova era nella storia del mondo, e tutti voi potrete dire di essere stati presenti alla sua nascita”.

Il nuovo governo rivoluzionario, assetato di vittoria per legittimare il proprio potere, trovò solide basi su cui svilupparsi; lo stesso giorno dello scontro si riunì nella sala del Maneggio la nuova rappresentanza nazionale, chiamata Convenzione sul modello dei costituenti americani.

Il giorno seguente, il 21 settembre dell’anno 1792, la monarchia fu formalmente abolita.

La Francia divenne così repubblicana.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]

.

.