[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 211 / LUGLIO 2025 (CCXLII)


medievale

SVALCHIRIE E SKJALDMÆR
L’immagine della donna guerriera nella mitologia nordica

di Matteo Liberti

 

Nel 1979 l’elenco dei capolavori del cinema bellico si arricchì con l’uscita di Apocalypse Now, film di Francis Ford Coppola in cui venivano messi in mostra gli orrori e le contraddizioni della guerra, nella fattispecie quella del Vietnam (1955-1975). La pellicola in oggetto, ispirata al romanzo Cuore di tenebra, di Joseph Conrad (1899), è ricordata soprattutto per una sequenza, nella quale si vede un nugolo di elicotteri statunitensi bombardare le postazioni vietnamite mentre come colonna sonora impazza la Cavalcata delle Valchirie, celeberrimo brano composto dal tedesco Richard Wagner per il dramma musicale La Valchiria (Die Walküre, messo in scena per la prima volta nel 1870) e associato da molti al concetto stesso di guerra.

E proprio come gli elicotteri statunitensi sorvolarono per molti anni il lacerato territorio vietnamita, le valchirie a cui si riferisce il brano di Wagner (creature semidivine protagoniste della mitologia norrena, o scandinava che dir si voglia), erano solite perlustrare dall’alto del cielo i luoghi in cui si tenevano i più cruenti scontri bellici, cavalcando, tra nuvole e lampi, in sella a velocissimi cavalli volanti, con indosso robuste quanto “scollacciate” armature, in testa vistosi elmi e in mano possenti scudi e lunghe lance.

Entrando nello specifico, il compito di queste figure femminili, al servizio del potente dio Odino (di cui erano sostanzialmente figlie adottive), era sia quello di stabilire quali eroi fossero destinati alla morte, coprendosi di gloria, sia quello, ancor più importante, di accompagnarli fino al Valhalla, il luogo divino deputato ai più valorosi tra tutti i combattenti caduti in azione, descritto alla stregua di un paradiso dei guerrieri.

Vista la diretta attinenza col mondo bellico (e dato che, talvolta, usavano condizionare l’andamento degli scontri), l’immagine delle valchirie, appellativo oggi utilizzato in modo generico per riferirsi ad avvenenti donne dall’aspetto vigoroso, possibilmente di origine nordica, è peraltro molto spesso confusa con quella delle skjaldmær, guerriere in carne e ossa – quindi non divinità – che, sempre in base alle saghe della mitologia scandinava, calcarono in prima persona i campi di battaglia. Le due figure, in talune occasioni, risultano tuttavia sovrapponibili, come nel caso di Brunilde, o Brunhild, tra le protagoniste della citata opera La Valchiria.

Per fare un po’ di ordine e comprendere meglio il “senso” rivestito nel mito dalle valchirie e dalle skjaldmær è utile, come prima cosa, analizzare l’etimologia dei due termini in questione. Quanto alla parola “valchiria”, deriva dall’unione delle espressioni norrene valr e kjósa, ossia “caduto” e “scegliere”, e designa appunto il ruolo rivestito da queste divinità, alle quali spettava come visto la scelta dei morti in battaglia e il successivo trasporto delle loro anime. Non per nulla, le valchirie sono associate in molti resoconti a figure di animali avvezzi a perlustrare i teatri di guerra in cerca di cadaveri di cui cibarsi, come corvi e lupi (questi ultimi in certe versioni del mito vengono persino cavalcati al posto dei cavalli). Il termine “skjaldmær” è invece traducibile come “scudiere” (o meglio, “fanciulle con lo scudo”; shieldmaiden nel mondo anglosassone) ed è utilizzato, come già detto, per indicare in modo specifico quelle donne che alla vita domestica preferirono l’esperienza bellica, non interagendo però direttamente con le sfere divine (a meno che, a calarsi nei loro panni, non fosse una valchiria).

Le suddette due terminologie evidenziano dunque come le valchirie fossero sì connesse al mondo della guerra, ma in modo tendenzialmente indiretto. La loro immagine, sia nella letteratura sia nelle arti figurative, è stata comunque quasi sempre trasmessa come quella di guerriere tout court, i cui tratti peculiari – a parte la capacità di volare – risultano simili, in moltissimi aspetti, a quelli delle amazzoni della mitologia greca. Nel caso particolare, i miti nordici, legati al mondo dei vichinghi, traggono spunto dal fatto che fra tali genti, famigerate per le scorribande piratesche, le donne erano di frequente addestrate a combattere al pari degli uomini.

Nel dettaglio, a tratteggiare il mito delle valchirie fu una manciata di poemi medievali tramandati a lungo per via orale, prima di essere riportati in vari manoscritti (i più importanti dei quali redatti in Islanda nel xiii secolo e catalogati col nome di Codex Regius) raccolti in epoca moderna in un testo noto come Edda (esistono peraltro due opere con questo titolo, dai contenuti affini: l’Edda in prosa e l’Edda poetica). Tali trascrizioni costituiscono tuttora la principale fonte d’informazioni circa la mitologia norrena, e nei vari brani in esse contenuti si narra appunto di come al servizio di Odino, massima divinità del cosmo nordico, agisse un piccolo stuolo di fedeli valchirie. «Alte sotto gli elmi / sul campo del paradiso; / [...] / E dalle loro lance / scintille volavano via», riporta in proposito l’Edda poetica. In alcuni casi, le fonti primarie riguardanti le valchirie, oltre che letterarie, sono anche di tipo visivo. Nella cosiddetta “pietra di Tjängvide”, opera medievale ritrovata in Svezia e databile all’incirca tra l’VIII e il X secolo d.C., è per esempio visibile, tra i vari disegni che la decorano, una figura femminile identificata dagli studiosi come una valchiria, intenta ad attendere Odino mentre questi si avvicina in sella al suo straordinario cavallo Sleipnir (dotato di otto zampe e capace di galoppare in cielo e sull’acqua, come d’altro canto quelli a quattro zampe cavalcati dalle stesse valchirie).

Le varie saghe forniscono anche i nomi specifici di molteplici valchirie, tra i quali spicca senza dubbio quello della già citata Brunilde, figura che in epoca recente, oltre a essere rievocata da Wagner, ha ispirato (così come altre divinità norrene, tra cui lo stesso Odino e suo figlio Thor, il dio del tuono) anche un noto personaggio dei fumetti della Marvel Comics. Ideata nel 1970, l’eroina in oggetto è conosciuta semplicemente come “Valchiria”, alter ego di “Brunilde”, e proprio come avviene nelle saghe nordiche, essa è descritta come una valorosa combattente incaricata da Odino di far da guida alle altre valchirie, fra le quali primeggia per forza e doti belliche. Lasciando i fumetti per tornare ai racconti del mito, è da evidenziare come accanto al nome di Brunilde compaia ripetutamente quello di Sigfrido, indomito eroe noto per aver ucciso il terribile drago Fafnir, al quale la donna si sarebbe legata e con cui avrebbe messo al mondo una figlia, Aslaug.

Un’ennesima annotazione linguistica: il nome “Sigfrido” è composto dai termini germanici sig e frithu, “vittoria” e “pace”, il primo dei quali si ritrova anche in uno degli ulteriori nomi con cui è conosciuta Brunilde, ovverosia “Sigrdrífa” (personaggio che in certe saghe è però distinto), la cui traduzione è “colei che conduce alla vittoria”. Lo stesso nome “Brunilde”, a ben vedere, rimanda in modo esplicito al mondo bellico, essendo composto dalle parole “armatura” (brunia) e “battaglia” (hiltia). A elementi analoghi alludono inoltre i nomi di molte altre valchirie presenti nelle saghe (in alcuni casi riportati anche su delle pietre runiche risalenti al IX e X secolo), come per esempio Hildr (epiteto analogo a hiltia), Sigrún (da sig), Herja (“la devastatrice”) e Þrúðr (“forza”), solo per citare alcune di loro.

La connessione semantica con concetti bellici ha fatto appunto sì che le valchirie (tra i cui poteri vi era quello di tramutarsi in bianchi cigni, immagine opposta a quella della guerra) siano molto spesso state confuse con delle semplici guerriere, dimenticando il loro ruolo di trasportatrici dei defunti (sempre a patto che essi fossero eroi). Tra l’altro, una volta giunte nel luogo di destinazione, il Valhalla (o “sala dei caduti”), tali donne semidivine s’occupavano di dissetare i guerrieri offrendo loro birra e idromele, una bevanda alcolica a base di miele, servita in dei corni, che nella cultura vichinga era associata alla figura di Odino (il quale amava consumarne in grandi quantità). Come già ribadito, non avevano invece nulla a che fare con gli scenari celestiali del Valhalla le “fanciulle con lo scudo”, o skjaldmær, la cui presenza nelle saghe nordiche è da ricondurre a elementi storici prima ancora che mitologici, essendo frequente, come attestano molteplici ritrovamenti archeologici in area scandinava, la partecipazione delle donne alle scorrerie di matrice vichinga.

D’altro canto, solo in una società che ammetteva la parte femminile della popolazione alle vicende belliche poteva sorgere un racconto leggendario dove al centro dell’azione vi fossero proprio le donne, si trattasse di “sceglitrici dei morti in battaglia” o di combattenti che battagliavano in prima linea. E alla figura delle skjaldmær s’ispirerà tra gli altri John Ronald Reuel Tolkien, nel 1955, per creare il personaggio di Éowyn in Il Signore degli Anelli. Lo stesso autore britannico affronterà poi il tema delle valchirie in un poema uscito postumo nel 2009, dal titolo La leggenda di Sigurd e Gudrún.

Oltre a Brunilde, che rivestì i doppi panni di valchiria e scudiera, le skjaldmær di cui più si parla nei racconti medievali e nelle reinterpretazioni dei secoli seguenti rispondono ai nomi di Hervor, che combatté contro gli invasori unni, cadendo in battaglia, e di Lagertha, la quale dopo molte imprese, con al fianco un piccolo esercito di sole donne, arrivò a dominare l’intera Norvegia. Ad ambedue, così come d’altronde a Brunilde e ad altre guerriere del mito, saranno dedicate, in epoca moderna, varie opere pittoriche che contribuiranno a renderle parecchio celebri, plasmando un’iconografia che sarà poi ripresa anche dal grande schermo (nonché, come visto, dal mondo dei fumetti).

In particolare, a delineare l’immaginario estetico di valchirie e skjaldmær fu nell’Ottocento il pittore norvegese Peter Nicolai Arbo (1831-1892), la cui opera più celebre al riguardo, divenuta una vera icona della mitologia norrena, s’intitola semplicemente Valchiria. Il dipinto, realizzato nel 1864 e rielaborato nel 1869, raffigura giustappunto una combattente di Odino, bardata con armatura, elmo, mantello e scudo, mentre con i capelli al vento cavalca un cavallo volante (seppure non dotato di ali), brandendo una lancia. Sullo sfondo, sfumate tra le nuvole e tra i bagliori del Sole, sono inoltre visibili altre valchirie in volo, a cui fanno compagnia alcuni corvi.

A fare da contraltare alla suddetta immagine dai toni epici e divini, vi è un altro quadro dello stesso artista, dipinto attorno al 1890 (la data rimane incerta), in cui è invece messa in mostra la natura umana e mortale delle skjaldmær. A essere raffigurata è la morte di Hervor durante gli scontri con gli unni, con la guerriera che è mostrata a terra, agonizzante, attorniata da alcuni uomini che erano con lei sul campo di battaglia, intenti a darle l’ultimo saluto, e con accanto il suo fedele cavallo.

Questi e altri dipinti ottocenteschi, soprattutto di epoca romantica, contribuirono dunque a delineare l’immagine “battagliera” delle valchirie, che andrà via via fondendosi con quella delle “fanciulle con lo scudo”, tanto che la parola valchiria rimanda ormai al concetto di guerriera prima ancora che alla dimensione semidivina di tali donne e alla loro funzione di collegamento tra i teatri di guerra, dove a combattere erano soprattutto le skjaldmær, e il Valhalla.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]