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N. 22 - Marzo 2007

Gli USA attaccheranno l'Iran?

La politica americana del "containing Iran"

di Leila Tavi

 

Nel pericoloso gioco di forza tra Iran e Stati uniti d’America lo Stato dei mūllah sta abilmente perseguendo piani a lungo termine, mentre l’amministrazione Bush sta annaspando, senza essere in grado di varare un piano strategico credibile agli occhi del nemico e della comunità internazionale.

 

L’annuncio delle future trattative tra l’Iran, la Siria e gli USA sono una conferma del fatto che gli Americani sono dovuti scendere a compromessi con i due principali avversari in Medio Oriente, per la stabilità che avrebbero voluto ottenere soltanto attraverso l’intervento militare.

 

La strategia militare americana ha fallito e la scelta del negoziato può aprire vari scenari in Medio Oriente: l’ascesa dell’Iran a ruolo di leader regionale; una copertura diplomatica per gli USA per poter poi, in caso di fallimento delle trattative, intervenire militarmente anche in Iran; l’inasprimento della contrapposizione tra sciiti e sunniti nell’intera area, l’isolamento del presidente Mahmoud Ahmadi-Nejad e un cambio di guarda al governo del paese.

 

Giovedì 1 marzo il presidente iraniano ha mostrato, durante una visita ufficiale in Sudan, ancora una volta il suo atteggiamento ostile nei confronti dello stato di Israele. “I sionisti sono la vera incarnazione di Satana”, ha dichiarato con disprezzo.

 

Da parte sua George W. Bush ha ribadito nel discorso del 10 gennaio scorso: “Succeeding in Iraq requires defending its territorial integrity and stabilising the region in the face of the extremist challenge; this begins with addressing Iran and Syria. […] We are taking steps to bolster the security of Iraq and protect American interests in the Middle East.”

 

Washington richiede all’Iran di sospendere i finanziamenti a Hamas e Hezbollah. Per contro uno dei consiglieri di Ali Khamenei, la Guida suprema della rivoluzione, l’ex Ministro degli esteri, Ali Akbar Velayati, ha dichiarato in un intervista per Le Monde il 21 febbraio che l’Iran non “abbandonerà mai gli sciiti e Hezbollah da soli a fronteggiare Israele”.

 

Tenere impegnato Israele sul fronte libanese e palestinese rappresenta una garanzia che non tenterà un attacco diretto all’Iran.

 

Per l’Iran la stabilità delle frontiere significa soprattutto assicurarsi un governo stabile sia in Afghanistan che in Iraq e per raggiungere lo scopo Teheran è disposto a scendere a negoziati con gli USA.

 

Nella guerra contro i Talebani gli Stati uniti hanno potuto contare anche sul decisivo appoggio dell’Iran e non bisogna certo meravigliarsi se Teheran sostiene il governo Maliki di Bagdag.

 

Agli Americani non si prospetta altra soluzione che il negoziato: l’Iran si estende su un territorio che è quattro volte la superficie dell’Iraq e la sua popolazione è tre volte quella irachena, con un esercito meglio equipaggiato.

 

Tentare un attacco all’Iran da parte degli Statunitensi sarebbe, nelle difficili condizioni in cui i contingenti militari americani fronteggiano le sacche di resistenza in Afghanistan e in Iraq, una disfatta e scatenerebbe chissà quale reazione da parte del Cremlino.

 

L’amministrazione Bush non otterrebbe, inoltre, l’autorizzazione del Congresso, in cui i democratici hanno la maggioranza.

 

Nei negoziati prevarrà sicuramente da parte dell’Iran e della Siria la linea dura dell’opposizione all’unilateranismo americano in Medio Oriente, mentre saranno prevedibili aspre critiche nei confronti dell’insistente politica dell’Unione europea in Medio Oriente.

 

Riguardo alla questione dell’arricchimento d’uranio Ali Larijani, incaricato a negoziare la questione per Teheran con l’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ha dichiarato che l’Iran è pronto a un negoziato anche su tale spinosa questione.

 

Larijanj non ha escluso la possibilità di aderire a un consorzio internazionale d’arricchimento d’uranio sul suolo iraniano vigilato dagli Europei e con tutte i controlli da parte dell’AIEA. Teheran ha deciso, quindi, di optare per la proposta russa con la sola differenza, rispetto al progetto russo, di voler lasciare gli impianti su suolo iraniano. Una differenza non di poca importanza.

 

La posizione del governo di Vladimir Putin,favorevole a una trattativa in Medio Oriente, e il veto del Congresso ai finanziamenti di nuove missioni militari in Medio Oriente hanno stemperato in poco tempo gli entusiasmi degli strateghi di Bush.

 

Solo un mese fa il Segretario di Stato Condoleezza Rice ha dichiarato a Kabul: “The Iranians clearly believe that we are tied down in Iraq, that they have the initiative, that they’re in a position to press us in many ways. […] We are simply trying to communicate to the region that we are going to be there for a long time”.

 

Che l’amministrazione Bush lo riconosca o no, le pressioni adesso sul governo americano sono evidenti e provengono da più fronti: Russia in primis, Unione europea e naturalmente Iran e Siria.

 

Esclusa la possibilità di nuove sanzioni al governo di Teheran, che incontrerebbero il veto in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU di Cina e Russia, agli Stati uniti rimangono da utilizzare delle strategie alternative al confronto militare diretto.

 

In nome del “containing Iran” gli Stati uniti stanno costruendo alleanze con gli stati sunniti del Medio Oriente, tra cui Arabia Saudita, Egitto e Giordania.

 

Inoltre nel 2006 è stato costituito, per volere della Rice, un Iranian Affaires Office diretto dalla figlia del vice presidente Dick Cheney, Elisabeth, allo scopo di coordinare le strategie politiche nei confronti dell’Iran e di finanziare i gruppi di dissidenti all’attuale regime dei mūllah, con fondi che raggiungono la somma di 75 milioni di dollari.

 

Le operazioni sono coordinate da un gruppo di ufficiali del Pentagono, del Dipartimento di Stato, della CIA e dal Consiglio nazionale di sicurezza nel tentativo di rafforzare le alleanze in Medio Oriente contro l’Iran e per sovvenzionare, come già detto, i dissidenti, allo scopo di destabilizzare l’attuale regime iraniano.

 

Nel suo ultimo libro Target Iran Scott Ritter descrive dettagliatamente l’utilizzo da parte dell’intelligence americana e israeliana delle minoranze in Iran per ottenere informazioni su eventuali obiettivi militari in Iran, questo è vero per le minoranze, azeri e beluchi, ma soprattutto per i gruppi armati curdi.

 

Teheran ha accusato i servizi segreti americani e inglesi di essere coinvolti nell’attentato, che ha causato, il 16 febbraio scorso, otto morti e 31 feriti tra i militanti della Guardia della rivoluzione durante l’esplosione di un autobus su cui si trovava un gruppo di pasdaran a Zahedan, capoluogo della provincia del Sistan-Baluchistan.

 

L’attentato è stato rivendicato da un gruppo chiamato Jundullah (Brigate di Allah), di cui fanno parte i ribelli dell’est del paese, ma secondo Teheran tali gruppi di guerriglieri riceverebbero cospicui finanziamenti da Gran Bretagna e Stati uniti.

 

Il gruppo di ribelli ha fatto la prima comparsa nel dicembre 2005 con il rapimento di nove soldati iraniani di pattuglia alla frontiera con il Pakistan; otto sono stati rilasciati e uno è stato ucciso.

 

Nel marzo 2006 sono stati uccisi 22 persone in viaggio in macchina sulla strada vicino alla frontiera con il Pakistan. Sempre nello stesso mese sono stati uccisi dodici passeggeri in viaggio su quattro auto nella provincia di Kerman, vicina al Sistan-Baluchistan. Alla vigilia delle elezioni locali del 15 dicembre 2006 un’auto bomba è esplosa a Zahedan uccidendo un passante.

 

La pena per i ribelli catturati è l’impiccagione: nel novembre 2006 sono stati giustiziati sulla piazza pubblica sei membri del gruppo Jundullah nelle città di Zahedan e Iranshahr, nel sud-est de l’Iran; anche per il recente caso dell’uccisione dei pasdaran nel mese di febbraio è stato impiccato un uomo, che si è dichiarato colpevole del fatto, Nasrollah Shanbehsahi.

 

Durante l’esecuzione pubblica sono state gridate dalla folla slogan come: “Morte all’America”, “Morte a Israele”, “Morte ai ribelli”. L’uomo è stato giustiziato sul posto dove è esploso l’autobus dei pasdaran.

 

La provincia iraniana del Sistan-Beluchistan si trova al confine con l’Afghanistan e il Pakistan ed è d’importanza strategica per gli USA nella guerra ai Talebani.

 

Recentemente la regione, luogo di contrabbando di stupefacenti, è stata teatro di vari attentati e rapimenti attribuiti ai partigiani di Abdolmalek Righi, a capo del gruppo di estremisti sunniti di Jundullah.

 

Nel frattempo l’Iran si prepara anche a un possibile attacco aereo sui cieli di Israele, o almeno, in questa guerra psicologica contro Israele e Stati uniti, si dichiara pronto a farlo.

 

Recentemente il vice Ministro agli esteri Manuchehr Mohammadi ha dichiarato che gli Iraniani “sono pronti a tutte le situazioni, eventualmente anche a una guerra”.

 

Il primo lancio di missili nello spazio ha inaugurato il primo programma spaziale iraniano, nonostante l’embargo voluto dagli Stati uniti, che non ha impedito, ha tenuto ha sottolineare il Ministro della difesa Mohammed Nadshar, la costruzione di satelliti e lanciarazzi.

 

Il primo satellite iraniano, Sina-1, è stato lanciato nello spazio da una navicella spaziale russa ed è stato prodotto in Russia. Il governo israeliano teme che l’Iran possa utilizzare il satellite per spiare Israele.

 

Il Ministro per le telecomunicazioni iraniano, Ahmad Talebzahed, ha dichiarato in una recente conferenza stampa, a tal proposito, che il governo iraniano potrebbe fare delle foto satellitari delle strade di Israele, ma che non ne ha bisogno perché e possibile acquistarle ormai anche nei mercati.

 

Secondo il Daily Telegraph Israele avrebbe già chiesto l’autorizzazione al governo americano di poter sorvolare i cieli iracheni nel caso di un eventuale attacco aereo agli impianti atomici iraniani; Tel Aviv ha smentito la notizia immediatamente.

 

Nel frattempo la seconda portaerei americana è stata intercettata nelle acque territoriali iraniane, la USS John C. Stennis.

 

Nella guerra psicologica tra Iran e Stati uniti è l’Iran in questo momento a fare la parte del leone, nonostante l’embargo e le sanzioni.

 

Con le spalle coperte dalla Russia Teheran si è dichiarata pronta a negoziare o, in alternativa, senza mezzi termini, a fare la guerra e aspetta adesso una mossa falsa da parte degli Americani.

 

Lo ha dimostrato il presidente Mahmoud Ahmadi-Nejad durante la sua visita di Stato in Cina nell’ottobre 2006, dove ha dichiarato che “Mosca, Teheran e Pechino hanno lo stesso punto di vista circa le questioni di politica internazionale”.

 

La strategia inaugurata a Shanghai da Ahmadi-Nejad è il segnale di un cambiamento significativo nei fragili equilibri del sistema internazionale, un cambiamento che vede la minaccia di una guerra al “terrorismo” sempre meno americana e sempre più occidentale.

 

Le nuove alleanze in senso antiamericano vedono regioni strategiche del globo essere il luogo di nascenti nazionalismi sostenuti da un’economia in crescita grazie alle risorse energetiche; si tratta di stati governati da regimi autoritari che si sono resi conto di avere a disposizione un’arma potentissima nei confronti dell’Occidente: il petrolio.

 

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