[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 154 / OTTOBRE 2020 (CLXXXV)


contemporanea

a proposito dEGLI uiguri

valore e identità dI un popolo che gioca un ruolo DELICATO

negli equilibri cina-occidente

di Francesco Antinolfi

 

La politica di Pechino nei confronti del gruppo etnico uigura è cambiata dall’incoraggiare una graduale assimilazione economica e culturale – supportata da misure energiche – a un uso più immediato e indiscriminato della forza fisica e ideologica a seguito dei rapporti internazionali di un gran numero di Uiguri inviati a campi di detenzione. Questo è l’esempio più lampante dell’intensificazione diffusa della persecuzione religiosa in tutta la Cina.

 

Fino a poco tempo fa gli Uiguri dello Xinjiang, regione della Cina occidentale, erano poco conosciuti fuori dalla cerchia degli esperti. Oggi questa minoranza musulmana e turcofona è diventata il simbolo della repressione messa in atto dal regime di Pechino, e di conseguenza un tema cruciale della politica internazionale. Il governo cinese non è riuscito a “spegnere” questo incendio e si trova ormai alle prese con accuse gravi di violazione dei diritti umani, con oltre un milione di persone internate in campi di rieducazione, cioè di lavori forzati. La Cina è stata addirittura tacciata di genocidio a causa delle sterilizzazioni forzate, che rientrano nella definizione di questo crimine.


Prima di entrare nel vivo della tematica, facciamo solo un piccolo passo indietro per capire chi sono gli Uiguri. Storicamente, il termine “uiguri” (che significa “alleati”, “uniti”) venne applicato a un gruppo di tribù di lingua turca che viveva nell’odierna Mongolia, Insieme ai turchi Gok (celesti), gli Uiguri furono dunque uno dei maggiori e più importanti gruppi di lingua turca ad abitare l’Asia centrale. Essi formarono una federazione tribale retta dal Juan Juan dal 460 al 545 e dagli Eftaliti dal 541 al 565; per poi essere sottomessi dal khanato dei turchi Gok.


Gli Uiguri di oggi derivano dalla commistione genetica tra gli antichi abitanti indoeuropei stanziali delle varie città-oasi della regione, cioè Saci nella parte meridionale del bacino del Tarim e Tocari nella parte settentrionale, e le popolazioni turche che sono quivi migrate nell’XI secolo, e poi i musulmani Karakhanidi nel XI secolo.


Il morfotipo degli Uiguri attuali è rappresentativo della mescolanza genetica tra indoeuropei e turchi, con caratteristiche presenti negli attuali popoli slavi, sia occhi scuri con plica mongolica e capelli neri lisci, sia con caratteristiche tipiche dei popoli eurasiatici orientali, (come erano i popoli turchi prima di intraprendere la loro migrazione).


Etnia turco fona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina, sono attualmente presenti soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang, insieme ai cinesi Han, costituendo la maggioranza relativa della popolazione della regione (46%). Altri gruppi vivono nella contea di Taoyuan della provincia dell Hunan (Cina centro-meridionale) dove formano uno dei 57 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti in Cina, e altre comunità uigure – diaspori – che sono attestate nei paesi dell’Asia centrale del Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan, e in Turchia. Comunità uigure più piccole si attestate in Afghanistan, Pakistan, Germania, Belgio, PaesiBassi, Norvegia, Svezia, Russia, Arabia Saudita, Australia, Canada e Stati Uniti.

L’attività indipendentista uigura nei confronti del governo cinese è possibile attestarla già dalla prima metà del Novecento e si proponeva come alternativa all’egemonia dei signori della guerra dello Xinjiang. Durante la guerra civile cinese, si tentò per due volte di istituire uno stato indipendente: dapprima nel 1934, con la creazione della Prima Repubblica del Turkestan orientale, poi con la Seconda Repubblica del Turkestan orientale, istituita dieci anni dopo. La Seconda Repubblica venne tuttavia annessa alla Repubblica Popolare Cinese nel 1949.


Attualmente a livello nazionale la lotta politica per l’indipendenza uiguri è supportata sia dai gruppi panturchi, tra cui il Partito del Turkestan Orientale, sia da altri movimenti estremisti musulmani, quali il Movimento Islamico del Turkestan Orientale e l’Organizzazione di Liberazione del Turkestan Orientale; questi ultimi sono attualmente presenti nella lista nera statunitense dei gruppi terroristici internazionali e sono responsabili di attacchi alla popolazione Han, all’esercito cinese e alle strutture governative presenti nello Xinjiang.

 

Dal 2001, la lotta su scala mondiale al terrorismo islamico ha coinvolto anche alcuni dei gruppi politici d’ispirazione islamica più vicini agli Uiguri; a seguito di ciò, si è intensificata la repressione da parte cinese dei movimenti indipendentisti. Molti Uiguri in esilio denunciano la sistematica violazione dei diritti umani da parte delle autorità cinesi che reprimono ogni forma di espressione culturale del popolo uiguro.


A seguito della morte di due Uiguri in uno scontro fra Han e Uiguri verificatosi il 26 giugno 2009 a Shaoguan, una manifestazione uiguri presso Ürümqi, nello Stato dello Xinjiang, organizzata in onore delle due vittime di Shaoguan è degenerata in una serie di scontri etnici; gli scontri hanno coinvolto sia le due etnie, sia gli Uiguri stessi e la polizia cinese, con un numero finale di 184 vittime, di cui 137 di etnia Han e 46 Uiguri , oltre che l’arresto di 1.434 persone, delle quali 200 sono sotto processo e rischiano la pena di morte. Si sono verificate ripercussioni anche a livello internazionale: parallelamente agli scontri nello Xinjiang, proteste si sono verificate nei Paesi Bassi e in Germania presso le sedi diplomatiche cinesi.


Fra i responsabili degli scontri etnici, il governo cinese ha indicato Rebiya Kadeer, imprenditrice e attivista uigura esule negli Stati Uniti, la quale ha tuttavia negato ogni responsabilità circa quanto accaduto. I ribelli uiguri sono accusati del massacro (33 morti e 135 feriti) compiuto da un gruppo non identificato nella stazione ferroviaria di Kunming, capoluogo della provincia cinese dello Yunnan (1º marzo 2014).


Inizialmente Pechino aveva saputo contenere le denunce presentando le sue azioni nello Xinjiang come un’operazione antiterrorismo, anche perché si sono effettivamente verificati atti violenti attribuiti agli Uiguri. Inizialmente la Cina, inoltre è riuscita a neutralizzare qualsiasi critica proveniente dai paesi musulmani, ottenendone addirittura l’appoggio alle Nazioni Unite grazie al suo peso politico. Ma la diga, alla fine, non ha retto.


Per comprendere la situazione bisogna tenere presente la logica dei leader cinesi rispetto a questa minoranza nazionale e religiosa. Dietro i discorsi di armonia tra i 56 popoli che costituiscono la nazione cinese, infatti, si cela un rullo compressore che vuole cancellare le identità minoritarie, soprattutto nella dimensione religiosa.


Solo nel corso del 2018 si sono intensificate le polemiche sulla detenzione di un gran numero di Uiguri in campi di “trasformazione attraverso l’educazione” e sull’esatta natura di questi campi. Il governo cinese sosteneva che si trattasse di istituzioni educative. Nel 2018 il magazine quotidiano online Bitter Winter ha pubblicato video che afferma essere stati filmati all’interno dei campi e che mostrano strutture simili a prigioni.

 

Anche sulle ragioni ultime di questa politica non mancano le controversie. La Cina affermava che tali misure di “rieducazione” sono necessarie per prevenire la radicalizzazione e il terrorismo, mentre studiosi occidentali pensano che quella che preoccupa il governo del presidente Xi Jinping sia una rinascita religiosa nella regione che ha colto le autorità di sorpresa.


La campagna di “sinizzazione” del governo di Xi Jinping, mirata non solo contro l’islam ma anche contro il cristianesimo e il buddismo tibetano. Tra le azioni portate avanti dal governo cinese ad esempio, nelle aree popolate dagli uiguri – ma anche dagli hui, altra minoranza musulmana del paese – le moschee sono state rase al suolo perché considerate l’espressione di un’architettura troppo mediorientale, oppure si segnalano casi di caratteri arabi recentemente coperti nelle insegne dei ristoranti halal.

 

Ma nello Xinjiang, oltre a una “battaglia contro le religioni” è presente anche una guerra legata a un fattore strategico ed economico. Questa immensa provincia occidentale non solo racchiude risorse petrolifere, ma costituisce la frontiera esterna della Cina, con gli stati dell’Asia centrale, quei territori che una volta costituivano l’Unione Sovietica. Si tratta di un’area fondamentale nelle nuove vie della seta promesse da Pechino e di conseguenza dei rapporti con l’occidente.


La partita è tanto più squilibrata se teniamo conto che la Cina sfrutta l’arma demografica. Un tempo i circa dodici milioni di Uiguri rappresentavano la maggioranza nella regione, ma sono ormai diventati minoritari a causa dell’afflusso (incoraggiato) di contadini poveri dal resto della Cina, con un'attività che ebbe inizio in maniera minore già negli anni 60/70, esponenti della popolazione dominante nel paese, gli han. I leader cinesi non amano la parola “colonizzazione”, ma è sostanzialmente ciò che sta accadendo.


Stando a quanto dichiarato da alcune ONG, le autorità cinesi sono responsabili della repressione delle tradizioni culturali uigure e di violazione dei diritti umani nei confronti degli appartenenti a quest’etnia. Le proteste contro il trattamento riservato agli uiguri sono rimaste a lungo isolate, ma il clima di tensione tra l’occidente e la Cina ha dato alla vicenda una nuova dimensione.

 

Pechino ha ragione quando accusa l’amministrazione Trump di sfruttare gli Uiguri nell’ambito della sua guerra fredda contro la Cina, ma questo non toglie nulla alla tragicità di ciò che accade nello Xinjiang. La Cina non permette alcuna inchiesta indipendente sul posto, ma questo sarebbe l’unico modo di dare un peso alle sue smentite.

 

Il governo di Pechino farebbe meglio a lasciare entrare gli investigatori dell’Onu, se davvero non ha niente da nascondere.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]