[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

164 / AGOSTO 2021 (CXCV)


attualità

TUNISIA: COLPO DI STATO O RIMPASTO DI GOVERNO?

IL GRANDE DILEMMA

di Gian Marco Boellisi

 

I decenni passano, ma le conseguenze delle primavere arabe continuano a evolversi in una spirale d’instabilità apparentemente senza fine. Lo si può vedere in tutti gli stati del Mediterraneo dove questa grande ondata di proteste fece breccia e dove ancora oggi, dopo 10 anni, si continua a registrare violenza, instabilità, disperazione.

 

Uno dei pochi casi che sembrava essere esentato (parzialmente) da questo amaro destino è sempre stata la Tunisia, la quale ha cercato in tutti i modi di raggiungere il tanto agognato sistema democratico dopo 23 anni di dittatura. Nonostante alcuni progressi sostanziali in tale obiettivo, lo scorso luglio 2021 il presidente della Repubblica Kais Saied ha esautorato tutti gli organi di stato, tra i quali Parlamento, svariati ministeri e anche la figura del premier, a seguito di un blocco quasi completo che la politica tunisina si era ritrovata a vivere fino a poche settimane fa.

 

Sebbene non sia ancora chiaro se l’atto di Saied sia un cambio di governo un po’ inconsueto o un vero e proprio colpo di stato, è molto importante cercare di comprendere quanto sta avvenendo in Tunisia in queste settimane e come ci si è arrivati, in virtù soprattutto della sua importanza oggettiva all’interno del Mediterraneo allargato.

 

Partiamo da dei brevi cenni storici. La Tunisia è stata sin dall’antichità una delle culle della civiltà mediterranea. Patria della più acerrima nemica di Roma, Cartagine, la Tunisia nel corso dei secoli è stata crocevia di religioni, popoli, idee. Colonizzata da parte della Francia nel 1881, ottenne l’indipendenza da quest’ultima nel 1956 ed elesse come suo primo presidente Habib Bourghiba, vero e proprio padre fondatore della nazione tunisina.

 

Bourghiba esercitò un’ampia influenza sul popolo tunisino all’indomani dell’indipendenza, cercando di incanalare la società tutta in quelle che sarebbero state le grandi sfide del ventesimo secolo. Contribuì attivamente alla redazione della prima Costituzione e ad avviare con successo la macchina dello stato. Fu proprio in questo periodo che la Tunisia acquisì la nomea di paese arabo moderato. Infatti, nonostante nella costituzione fu affermata la validità dell’Islam come religione dello Stato, fu vigorosamente stabilita anche la laicità della Repubblica Tunisina.

 

Negli anni successivi la Tunisia entrò nel grande gioco della questione israeliana, ospitando per qualche anno la sede della Lega Araba a seguito degli accordi di Camp David del 1978 che avevano posto fine alla guerra dello Yom Kippur. Nel 1987 il generale Zine El-Abidine Ben Ali depose Bourghiba con un colpo di stato, favorito tra l’altro anche dai servizi segreti italiani dell’epoca. Da allora la Tunisia ha conosciuto un periodo di relativa stabilità internazionale, come tutte le dittature dell’area, da quella libica a quella egiziana, a scapito tuttavia di una repressione interna e di un controllo totale dei mezzi di comunicazione nazionali. Nonostante i tentativi perpetrati negli anni da Ben Ali, il movimento dei Fratelli Musulmani, partito manifestazione diretta delle aspirazioni dell’Islam politico, riuscì a sopravvivere in clandestinità.

 

Nel 2011 fu proprio dalla Tunisia che partì il movimento delle Primavere Arabe. Qui infatti il giovane ambulante Mohamed Bouazizi si diede fuoco davanti a un palazzo governativo di Sidi Bouzid per protestare contro le ristrettezze economiche a cui era costretto a far fronte. Questo disperato gesto innescò la miccia che avrebbe poi infiammato il Mediterraneo tutto, cambiando la storia per sempre.

 

A valle delle proteste e della caduta di Ben Ali, la Tunisia dimostrò che nei paesi fuoriusciti dalle Primavere fosse possibile una strada alternativa, una strada che non portasse necessariamente a un ritorno in breve tempo alla dittatura o a una guerra civile senza fine. Infatti con l’instaurazione di un governo pseudo-democratico, l’esperienza di Tunisi ha costituito un faro di speranza e un modello a cui tendere per tutti gli altri paesi dell’area che ancora stanno faticando per raggiungere la stabilità.

 

Nonostante questo importante risultato, la strada verso la normalizzazione dello stato tunisino ha dovuto affrontare non pochi rallentamenti e ostacoli. Nel corso degli anni vi sono stati vari blocchi del processo politico, dovuti prevalentemente a disaccordi tra le formazioni politiche createsi dalla caduta della dittatura in poi.

 

Tra le più influenti vi è sicuramente Ennahda (Movimento della Rinascita), partito islamista di orientamento moderato guidato attualmente da Rāshid Ghannūshī e con il maggior consenso relativo al giorno d’oggi nel paese. Questo partito si è mostrato sicuramente il più strutturato tra tutti i vari schieramenti politici presenti oggi in Tunisia, forte anche di un largo consenso ottenuto tra gli strati più poveri della società. Per quanto Ennahda sia vicina ai Fratelli Musulmani, ha mostrato la volontà di andare oltre le classiche visioni associate all’Islam politico. Appartiene infatti a Ennahda Souad Abderrahim, donna che dal 2018 è sindaco di Tunisi. Per inciso, è la prima donna a ricoprire questo incarico tra i paesi islamici.

 

Ritornando alla situazione odierna, dal gennaio 2021 a questa parte la Tunisia è stata paralizzzata dalla cosiddetta “guerra delle 3 presidenze”, ovvero uno stallo politico tra le 3 più alte cariche dello stato: il presidente della Repubblica Kais Saied, il presidente del parlamento Rāshid Ghannūshī e il premier Hichem Mechichi, terzo premier in carica nell’arco di un anno.

 

Questo in primis perché nessun partito, a seguito delle ultime elezioni, ha ottenuto più del 25% delle preferenze. Il presidente Saied si è quindi rifiutato da allora di accettare il rimpasto di governo proposto da Mechichi e approvato da Ghannūshī, accusando quattro dei nuovi ministri di conflitto di interesse. Secondo alcuni analisti questo blocco è stato compiuto anche per evitare di perdere i propri uomini di fiducia all’interno dell’esecutivo. Questo ritardo è stato in parte permesso per questi mesi a Saied poiché egli è un professore di diritto costituzionale non legato ad alcun partito tunisino, quindi virtualmente una figura super partes.

 

Il risultato di questo blocco tuttavia è stato una completa paralisi della macchina statale tunisina. Non avendo un esecutivo centrale a seguire le dinamiche interne, si è avuto un aumento della disoccupazione fino al livello record del 18% e una diffusione incontrollata di Covid-19, la quale ha causato letteralmente il collasso del sistema sanitario tunisino. Per quanto il premier Mechichi abbia cercato di scaricare la responsabilità sul ministro della Salute licenziandolo, ciò non è servito a nulla a risolvere il problema. La situazione è arrivata a livelli tanto intollerabili che lo scorso 25 luglio 2021, nel giorno del sessantaquattresimo anniversario dell’Indipendenza Tunisina, migliaia di persone sono scese in piazza per protestare nelle strade di Tunisi, Susa, Monastir e altre città del paese.

 

Cogliendo quest’opportunità, Saied ha applicato l’Articolo 80 della Costituzione, il quale consente al presidente della Repubblica di assumere il comando dello stato nel caso in cui vi sia un “pericolo imminente che minacci le istituzioni della nazione, la sicurezza o l’indipendenza del Paese, e che ostacoli il normale funzionamento dello Stato”. Con l’aiuto dell’esercito, Saied ha forzato la mano sugli alti vertici del governo, estromettendo il premier Mechichi, il presidente del parlamento Ghannūshī, il ministro della Giustizia, il ministro della Difesa, svariati funzionari nei relativi ministeri e ha anche sospeso il parlamento per una durata di 30 giorni.

 

Oltre a queste cariche, sono state colpiti anche vari funzionari nominati dal premier Mechichi, tra cui il capo dei Servizi Segreti e diverse cariche del ministero dell’Interno. Infine è stata chiusa anche la sede tunisina del canale al-Jazeera nonché è stata disposta una massiccia presenza delle forze armate per le strade.

 

Per cercare di giustificare la sua manovra, Saied ha affermato che “la Costituzione non permette lo scioglimento del Parlamento” ma che, in caso di pericolo per lo stato, è possibile sospenderne i lavori e proprio per questo motivo è stata revocata l’immunità ai deputati.

 

A quanto affermato dal presidente della Repubblica, attualmente è prevista la formazione di un nuovo governo, il quale verrà guidato da lui e da un nuovo premier di sua nomina. Da quanto letto finora, quello perpetrato da Saied ha tutte le fattezze per essere considerato un colpo di stato. L’unica cosa che separa Saied dal baratro che una simile decisione potrebbe portare per la Tunisia è il suo agire secondo la Costituzione e da quel che avverrà nelle prossime settimane. Alcuni analisti lo hanno già ribattezzato “colpo di stato costituzionale”, giusto per sottolinearne le modalità completamente anomale.

 

Una considerazione importante riguarda la personalità del presidente della Repubblica. Saied infatti ha fama di essere una persona onesta, integerrima e indipendente, motivo per il quale anche le cancellerie estere hanno fatto passare per il momento le sue manovre politiche. A riprova di ciò, proprio la popolazione tunisina che era scesa in piazza ha acclamato le azioni di Saied come uomo d’azione per il bene della Tunisia.

 

A suscitare il favore del popolo vi è stata anche una serie di arresti che ha riguardato oltre 400 uomini d’affari accusati di corruzione e finanziamenti illeciti a partiti politici. Per quanto il presidente del parlamento e leader di Ennahda, Rāshid Ghannūshī, abbia chiamato la protesta contro questo golpe, il popolo non ha risposto alla chiamata. Dall’altro lato Saied ha promesso “grandinate di pallottole” contro chiunque avesse sparato o colpito le forze armate che stanno gestendo l’ordine pubblico in questa fase, facendo capire chi fosse l’autorità ultima oggi in Tunisia.

 

Per la stragrande maggioranza delle formazioni politiche tunisine la manovre di Saied altro non sono che un colpo di stato. Così la pensa Ennahda, così come anche il blocco “Cuore della Tunisia”, il partito “Corrente Democratica” e tutte le altre formazioni in parlamento. Tuttavia così non sono d’accordo le grandi associazioni della società civile, come la Confederazione dell’Industria e del Commercio, l’Ordine degli Avvocati e l’Ugtt, il più importante sindacato dei lavoratori. Queste formazioni vedono in Saied una personalità garante dell’ordine dello stato, lontano dagli interessi faziosi e particolari dei singoli partiti, motivo per il quale una buona parte parte dell’elite tunisina così come dei normali lavoratori sta supportando in questo momento le azioni del presidente della Repubblica.

 

Un fattore che risulta interessante è che anche all’interno del partito Ennahda vi siano varie correnti a favore di Saied, mostrando quanto sia in realtà frammentato il panorama politico tunisino. Il partito risulta essere finanziato sia da Turchia che dal Qatar nell’ottica del sostegno multilaterale alle formazioni vicine ai Fratelli Musulmani. Tuttavia, nonostante l’aumento oggettivo di consensi in Tunisia, dal 2014 a oggi sono stati eletti solo presidenti apertamente laici, come Mohammed Essebsi, o moderati, come Kais Saied. Questo a testimonianza della vicinanza dei tunisini alla laicità come valore portante del proprio paese.

 

È infatti inevitabile che formazioni più o meno radicali si affaccino sul panorama politico in una così delicata fase di transizione, ma finora la Tunisia è stata l’unica che è riuscita a tenerle a bada e a cercare di progredire nonostante tutto. Infatti risulta importante un sondaggio fatto pochi giorni dopo il giro di vite compiuto da Saied tra i cittadini tunisini, dove una percentuale maggiore di due tunisini su tre si trova favorevole a consegnare a Saied pieni poteri in questa fase di transizione. Alcuni analisti ritengono che ciò sia anche in funzione di bloccare ulteriori guadagni politici di Ennahda, ma questo è veramente difficile dirlo.

 

Da alcuni giornalisti presenti in loco nei giorni immediatamente successivi al passaggio di potere è emerso che per rendere il proprio operato più popolare tra la popolazione Saied avrebbe sospeso per 30 giorni i pagamenti di elettricità, acqua, telefono, internet e tasse e inoltre il prezzo dei beni primari sarebbe stato tagliato del 20%.

 

Al di là del populismo che rappresenta la manovra in sé, è molto probabile che Saied abbia deciso di muoversi in questa maniera per concedersi il tempo per formare il governo da lui promesso senza avere fastidi dagli strati più poveri della popolazione, che sono anche quelli più volubili a convincimenti di natura politica contro il suo operato. Questo per quanto riguarda l’approvazione del basso.

 

Per quella dall’alto invece Saied è ancora più al sicuro. Infatti l’unico organo che potrebbe andargli contro è la Corte Costituzionale, organo super partes per quanto riguarda le questioni di “emergenze dello stato”. Tuttavia essa non si è mai formata da quando è stato cacciato Ben Ali proprio per lo stallo politico di cui è stata protagonista la Tunisia nell’ultimo decennio. Quindi, in questo momento, non vi è nessuno più in alto di Saied nella catena di comando o decisionale dello stato.

 

Il momento storico in cui si colloca questo “colpo di stato costituzionale” è tra i più delicati e difficili dell’intera storia tunisina. Al di là della ben nota pandemia, criminalità diffusa, prezzi dei beni fondamentali altalenanti, corruzione endemica e debiti con i vari enti di credito internazionali (Fondo Monetario Internazionale fra tutti) stanno portando la popolazione tunisina sull’orlo del baratro. Tutta questa serie di motivazioni ha condotto negli anni alla crescita di consensi di Ennahda, la quale oggi può fare la voce grossa nella politica tunisina.

 

Vista in prospettiva, le mancate rimostranze internazionali sull’operato di Saied potrebbero altro non essere che un silenzioso assenso da parte della comunità internazionale alla sua politica di mettere stabilità, anche con una piccola dose di autoritarismo, alla Tunisia. Infatti all’estero i partiti tunisini sono visti da anni come un insieme di formazioni senza alcun progetto a lungo termine né tanto meno affidabilità in sede nazionale e internazionale. Motivo per cui qualche membro della comunità internazionale in particolare (Francia? Italia? chissà) forse hanno dato un placet più o meno esplicito a Saied prima che quest’ultimo si muovesse.

 

Da recenti sondaggi è emerso che, nel caso in cui si andasse alle elezioni settimana prossima, la vittoria sarebbe di Abir Moussi, leader del Partito dei costituzionalisti liberi, il quale si rifà senza nasconderlo troppo al regime di Ben Ali. È singolare come in tutti gli stati che sono stati sottoposti alla primavera araba presto o tardi riemerga questa nostalgia di un passato sicuro seppur meno libero.

 

Ciò che è emerso a 10 anni dalle rivoluzioni è stato fallimento su tutta la linea dei movimenti creatisi durante e all’indomani delle proteste, sia da un punto di vista politico sia da quello sociale. La Tunisia è stata l’unico paese che a fatica è riuscita a mediare in qualche maniera tra spinte revansciste e islamiste conservatrici, per arrivare infine alla situazione tutto fuorché stabile di oggi.

 

In merito al versante estero, per quanto la comunità internazionale non abbia mosso rimostranze esplicite, al momento ciò non significa che non stia monitorando la situazione con estrema attenzione. Francia e Italia in primis sono molto preoccupate delle dinamiche in Tunisia, sia per le storiche relazioni che i due stati europei hanno sempre intrattenuto con il vicino arabo sia per una preoccupazione più che fondata riguardante i flussi migratori. Infatti l’interesse da parte dell’Occidente alla faccenda tunisina non è frutto di pura bontà di cuore, ma solo ed esclusivamente finalizzato a un monitoraggio dei possibili punti di partenza dei migranti, che già ora riempiono la costa libica e che, in caso di fallimento dello stato tunisino, potrebbero insediare anche le coste di quest’ultimo.

 

Al momento attuale l’obiettivo principale delle cancellerie europee è quello di evitare che il frammentarismo settario tunisino prenda il sopravvento e che il caos venutosi a creare in Libia dopo la caduta di Gheddafi si riproponga parimenti qui. Dall’altro lato della barricata vi sono forze esterne che premono invece affichè questo avvenga, e in particolar modo la Turchia. Cercando di espandere la propria influenza in ogni angolo di Mediterraneo e Medio Oriente dove si crei l’opportunità, Ankara cerca di far leva sin dalla caduta di Ben Ali sulle radici culturali islamiche della Tunisia, sovvenzionando finanziariamente il partito Ennahda. Sebbene l’obiettivo in Tunisia sia quello di ottenere un qualcosa di politicamente più stabile di quanto presente oggi in Libia, ciò non toglie che la Turchia sia disposta a tutto pur di mettere le mani su un altro paese del Mediterraneo.

 

In conclusione, la Tunisia che fino a ora aveva brillato di luce propria all’indomani delle primavere arabe rischia oggi di spegnersi. A seguito dell’instabilità ormai incontrollabile che regna da qualche mese a questa parte, il paese che ha costituito un modello di riferimento di democrazia per il mondo arabo rischia di perdere tutto ciò che ha guadagnato in questi anni.

 

Le conseguenze di questi eventi avranno potenziali ripercussioni su tutta l’area del Mediterraneo allargato, ed è per questo che vanno trattati con la massima attenzione e prudenza. Le manovre di Saied potrebbero essere all’atto pratico risolutive per sbloccare una paralisi che è durata per troppo tempo e che ha già portato a dei danni non indifferenti. Tuttavia solo le sue azioni nelle prossime settimane potranno dirci se passerà alla storia come un politico previdente e responsabile o solo come l’ennesimo incapace, abietto dittatore.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]