N. 148 - Aprile 2020 
                          
                          (CLXXIX)
																			
																			
																			
																			Tucidide 
																			come 
																			modello 
																			letterario
																			
																			
																			
																			La 
																			peste 
																			d’Atene 
																			nei 
																			grandi 
																			classici 
																			della 
																			letteratura 
																			antica
																			
																			
																			
																			di 
																			Matteo 
																			Picconi
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Al 
																			ripresentarsi 
																			di 
																			una 
																			epidemia 
																			l’uomo 
																			ha 
																			sempre 
																			guardato 
																			al 
																			suo 
																			passato, 
																			cercando 
																			delle 
																			risposte. 
																			Nelle 
																			ultime 
																			settimane 
																			si è 
																			assistito 
																			a 
																			una 
																			continua 
																			“riscoperta” 
																			mediatica 
																			delle 
																			pestilenze 
																			che 
																			hanno 
																			colpito 
																			l’umanità 
																			nel 
																			corso 
																			della 
																			storia. 
																			Ed 
																			ecco 
																			che, 
																			tra 
																			le 
																			tante, 
																			si 
																			rievoca 
																			la 
																			testimonianza 
																			di 
																			Tucidide, 
																			militare 
																			e 
																			storico 
																			ateniese, 
																			che 
																			nella 
																			sua 
																			straordinaria 
																			opera
																			
																			La 
																			guerra 
																			del 
																			Peloponneso 
																			descrisse 
																			nei 
																			minimi 
																			particolari 
																			la 
																			peste 
																			che 
																			afflisse 
																			la 
																			sua 
																			città 
																			nel 
																			430 
																			a.C. 
																			durante 
																			l’assedio 
																			degli 
																			eserciti 
																			alleati 
																			di 
																			Sparta.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			L’opera 
																			di 
																			Tucidide 
																			ha 
																			fatto 
																			scuola 
																			per 
																			moltissimi 
																			secoli. 
																			Considerato 
																			insieme 
																			a 
																			Erodoto 
																			il 
																			capostipite 
																			della 
																			storiografia 
																			occidentale, 
																			nel 
																			II 
																			libro 
																			della 
																			sua 
																			opera, 
																			l’ateniese 
																			narrò 
																			l’avvento 
																			della 
																			peste 
																			(recenti 
																			studi 
																			ipotizzano 
																			una 
																			febbre 
																			tifoide) 
																			con 
																			un 
																			“pragmatismo” 
																			storico 
																			impressionante 
																			per 
																			l’epoca, 
																			scevro 
																			da 
																			esigenze 
																			estetiche 
																			e da 
																			visioni 
																			religiose 
																			e 
																			metafisiche 
																			(in 
																			tal 
																			senso 
																			superò 
																			lo 
																			stesso 
																			Erodoto): 
																			“(…)
																			
																			non 
																			bastavano 
																			i 
																			medici, 
																			che 
																			in 
																			sulle 
																			prime 
																			la 
																			curavano 
																			senza 
																			conoscerla, 
																			anzi 
																			tanto 
																			più 
																			morivano 
																			quanto 
																			più 
																			si 
																			accostavano 
																			agli 
																			infetti; 
																			né 
																			giovava 
																			altra 
																			arte 
																			umana; 
																			il 
																			supplicare 
																			nei 
																			templi, 
																			il 
																			ricorrere 
																			agli 
																			oracoli, 
																			e 
																			simili, 
																			tutto 
																			tornò 
																			vano, 
																			e 
																			tutto 
																			finalmente 
																			abbandonarono 
																			vinti 
																			dal 
																			morbo 
																			(…)”.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Il 
																			suo 
																			stile 
																			monografico, 
																			i 
																			tecnicismi 
																			presi 
																			in 
																			prestito 
																			dalla 
																			contemporanea 
																			scuola 
																			medica 
																			ippocratica, 
																			la 
																			sua 
																			attenzione 
																			ai 
																			risvolti 
																			psicologici 
																			riscontrati 
																			sulla 
																			popolazione 
																			al 
																			dilagare 
																			dell’epidemia, 
																			sono 
																			stati 
																			ampiamente 
																			ripresi 
																			(in 
																			alcuni 
																			casi 
																			addirittura 
																			“copiati”) 
																			da 
																			altri 
																			grandi 
																			scrittori 
																			dell’età 
																			antica.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nella 
																			vastissima 
																			“letteratura 
																			delle 
																			pestilenze”, 
																			un 
																			primo 
																			richiamo 
																			al 
																			testo 
																			tucidideo 
																			si 
																			ravvisa 
																			in 
																			Diodoro
																			
																			Siculo 
																			che 
																			dedica 
																			alla 
																			peste 
																			di 
																			Atene 
																			due 
																			capitoli 
																			della 
																			sua
																			
																			Bibliotheca 
																			Historica, 
																			pubblicata 
																			tra 
																			il 
																			40 e 
																			il 
																			30 
																			a.C. 
																			Annoverarlo 
																			però 
																			tra 
																			gli 
																			“imitatori” 
																			di 
																			Tucidide 
																			sarebbe 
																			scorretto 
																			in 
																			quanto 
																			lo 
																			storico 
																			di 
																			Agira 
																			affronta 
																			la 
																			tematica 
																			dell’epidemia 
																			ateniese 
																			con 
																			uno 
																			stile 
																			e un 
																			taglio 
																			storico 
																			differente, 
																			probabilmente 
																			raccogliendo 
																			informazioni 
																			anche 
																			da 
																			altre 
																			fonti.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ipotesi 
																			avanzata 
																			anche 
																			da 
																			Giuseppe 
																			Compagnoni 
																			che 
																			tradusse 
																			l’opera 
																			del 
																			siciliano 
																			nel 
																			1820: 
																			“Generalmente 
																			nella 
																			esposizione 
																			delle 
																			cose 
																			appartenenti 
																			alla 
																			guerra 
																			del 
																			Peloponneso 
																			apparisce 
																			non 
																			avere 
																			egli 
																			preferito 
																			sempre 
																			Tucidide, 
																			(…) 
																			e 
																			salve 
																			quelle 
																			che 
																			possono 
																			essersi 
																			introdotte 
																			per 
																			colpa 
																			de’ 
																			copisti, 
																			pel 
																			resto 
																			dee 
																			supporsi, 
																			che 
																			al 
																			tempo 
																			di 
																			Diodoro 
																			s’avessero 
																			scritture 
																			sulla 
																			guerra 
																			del 
																			Peloponneso, 
																			o 
																			sui 
																			fatti 
																			qua 
																			e là 
																			seguiti 
																			in 
																			quel 
																			periodo 
																			di 
																			tempo, 
																			riputate 
																			tanto 
																			autentiche, 
																			quanto 
																			per 
																			avventura 
																			riputiamo 
																			noi 
																			la 
																			storia 
																			di 
																			Tucidide”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Passando 
																			alla 
																			letteratura 
																			latina, 
																			tra 
																			i 
																			primi 
																			“debitori” 
																			dello 
																			storico 
																			ateniese 
																			figura 
																			indubbiamente 
																			Lucrezio. 
																			Nel 
																			suo 
																			celebre
																			
																			De 
																			Rerum 
																			Natura 
																			il 
																			grande 
																			poeta 
																			ripropone 
																			e, 
																			in 
																			alcuni 
																			passaggi 
																			addirittura 
																			traduce, 
																			la 
																			peste 
																			“tucididea” 
																			e la 
																			sceglie 
																			come 
																			atto 
																			conclusivo 
																			del 
																			suo 
																			capolavoro.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Secondo 
																			Amedeo 
																			Peyron, 
																			che 
																			tradusse 
																			l’opera 
																			di 
																			Tucidide 
																			nel 
																			1861, 
																			Lucrezio: 
																			“volendo 
																			riferire 
																			questa 
																			stessa 
																			pestilenza, 
																			non 
																			contento 
																			all’imitazione, 
																			copiò 
																			le 
																			stesse 
																			frasi 
																			di 
																			Tucidide 
																			per 
																			quanto 
																			il 
																			verso 
																			glielo 
																			acconsentiva”. 
																			Il 
																			filologo 
																			torinese, 
																			forse 
																			con 
																			eccessiva 
																			malizia, 
																			usa 
																			il 
																			termine 
																			“copiare” 
																			piuttosto 
																			che 
																			“tradurre”.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Un 
																			esempio 
																			è 
																			costituito 
																			da 
																			alcuni 
																			versi 
																			iniziali 
																			di 
																			Lucrezio, 
																			tradotto 
																			da 
																			Jacopo 
																			Sartori 
																			nel 
																			1876, 
																			che 
																			rimandano 
																			chiaramente 
																			al 
																			testo 
																			dell’ateniese: 
																			“Non 
																			vi 
																			fu 
																			uomo 
																			che 
																			ricordasse 
																			si 
																			mortifera 
																			pestilenza; 
																			e 
																			tale 
																			fu 
																			da 
																			non 
																			valere 
																			a 
																			curarla 
																			né 
																			virtù 
																			di 
																			medicina, 
																			né 
																			consiglio 
																			di 
																			medici, 
																			i 
																			quali 
																			anzi 
																			nell’usar 
																			cogl’infermi 
																			soggiacquero 
																			più 
																			che 
																			gli 
																			altri 
																			all’irreparabile 
																			morbo. 
																			Umili 
																			supplicazioni 
																			non 
																			una 
																			ma 
																			più 
																			volte 
																			si 
																			fecero 
																			ai 
																			templi 
																			degl’Iddii, 
																			invocati 
																			furono 
																			i 
																			loro 
																			oracoli, 
																			ed 
																			in 
																			tutte 
																			le 
																			usate 
																			guise 
																			si 
																			cercò 
																			di 
																			placarli: 
																			di 
																			maniera 
																			che, 
																			non 
																			valendo 
																			alcun 
																			senno 
																			né 
																			uman 
																			provvedimento, 
																			vinti 
																			tutti 
																			dalla 
																			grandezza 
																			del 
																			male, 
																			se 
																			ne 
																			rimasero 
																			senza 
																			far 
																			più 
																			cosa 
																			alcuna”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			“Lucrezio 
																			imita 
																			Tucidide; 
																			e 
																			Virgilio 
																			nel 
																			III 
																			della 
																			Georgica 
																			descrivendo 
																			la 
																			peste 
																			imitò 
																			Lucrezio” 
																			scrive 
																			lo 
																			stesso 
																			Sartori 
																			chiamando 
																			in 
																			causa 
																			un 
																			altro 
																			“big” 
																			della 
																			letteratura 
																			classica 
																			come 
																			Publio 
																			Virgilio 
																			Marone.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Nel 
																			terzo 
																			libro 
																			delle
																			
																			Georgiche, 
																			infatti, 
																			il 
																			vate 
																			descrisse 
																			ampiamente 
																			la 
																			peste 
																			del 
																			Norico, 
																			un’epidemia 
																			che 
																			colpì 
																			gli 
																			animali 
																			nelle 
																			regioni 
																			comprese 
																			tra 
																			le 
																			Alpi 
																			e il 
																			Danubio. 
																			Pur 
																			venendo 
																			meno 
																			l’intento 
																			prettamente 
																			storiografico, 
																			l’ispirazione 
																			al 
																			testo 
																			lucreziano 
																			appare 
																			evidente 
																			se 
																			si 
																			guarda 
																			alla 
																			particolareggiata 
																			descrizione 
																			del 
																			“morbo” 
																			e 
																			della 
																			relativa 
																			sintomatologia 
																			riscontrata 
																			sugli 
																			animali: 
																			“(…) 
																			questi 
																			sintomi 
																			mostrano 
																			nei 
																			primi 
																			giorni, 
																			prima 
																			della 
																			morte. 
																			Quando 
																			poi 
																			il 
																			male 
																			comincia 
																			a 
																			infierire 
																			nel 
																			suo 
																			decorso, 
																			allora 
																			gli 
																			occhi 
																			sono 
																			infiammati 
																			e il 
																			respiro 
																			tratto 
																			su 
																			dal 
																			profondo, 
																			talora 
																			appesantito 
																			da 
																			un 
																			gemito, 
																			e 
																			tendono 
																			con 
																			un 
																			lungo 
																			singulto 
																			il 
																			basso 
																			ventre; 
																			esce 
																			per 
																			le 
																			narici 
																			nero 
																			sangue 
																			e la 
																			lingua 
																			scabra 
																			comprime 
																			le 
																			fauci 
																			otturandole”. 
																			In 
																			linea 
																			col 
																			dettato 
																			tucidideo, 
																			anche 
																			Virgilio 
																			cerca 
																			le 
																			ragioni 
																			circa 
																			l’avvento 
																			dell’epidemia 
																			secondo 
																			deduzioni 
																			scientifico 
																			naturali, 
																			escludendo 
																			soluzioni 
																			di 
																			natura 
																			divina.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Rimanendo 
																			in 
																			quel 
																			“prolifico” 
																			I 
																			secolo 
																			a.C., 
																			alcuni 
																			storici 
																			hanno 
																			individuato 
																			tracce 
																			della 
																			descrizione 
																			tucididea 
																			anche 
																			nelle
																			
																			Metamorfosi 
																			di 
																			Ovidio. 
																			Riprendendo 
																			ancora 
																			l’analisi 
																			di 
																			Peyron: 
																			“In 
																			Virgilio, 
																			che 
																			volle 
																			ritrarre 
																			la 
																			peste 
																			degli 
																			armenti, 
																			non 
																			m’avvidi 
																			d’imitazione 
																			alcuna; 
																			ma 
																			Ovidio 
																			evidentemente 
																			tradusse 
																			tre 
																			o 
																			quattro 
																			passi 
																			di 
																			Tucidide”.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Un 
																			giudizio 
																			probabilmente 
																			severo 
																			e 
																			ingeneroso 
																			da 
																			parte 
																			del 
																			filologo 
																			torinese, 
																			in 
																			quanto 
																			il 
																			poeta 
																			nativo 
																			di 
																			Sulmo, 
																			l’attuale 
																			Sulmona, 
																			nel 
																			descrivere 
																			il 
																			mito 
																			della 
																			peste 
																			di 
																			Egina 
																			(isola 
																			greca 
																			del 
																			Golfo 
																			Saronico) 
																			si 
																			allontana 
																			molto 
																			dallo 
																			stile 
																			dell’ateniese, 
																			sia 
																			per 
																			il 
																			fine 
																			letterario 
																			(è 
																			del 
																			tutto 
																			assente 
																			lo 
																			scopo 
																			storiografico), 
																			sia, 
																			soprattutto, 
																			per 
																			le 
																			conclusioni 
																			che 
																			ne 
																			trae 
																			da 
																			un 
																			punto 
																			di 
																			vista 
																			mistico-religioso 
																			(individuando 
																			l’origine 
																			dell’epidemia 
																			nel 
																			volere 
																			degli 
																			dei). 
																			Ciononostante, 
																			sembra 
																			di 
																			leggere 
																			sempre 
																			la 
																			stessa 
																			introduzione 
																			di 
																			Tucidide: 
																			“Una 
																			terribile 
																			pestilenza, 
																			dovuta 
																			all’ira 
																			di 
																			Giunone, 
																			spietata 
																			contro 
																			questa 
																			terra 
																			(…), 
																			si 
																			abbatté 
																			sulla 
																			popolazione.
																			
																			Finché 
																			parve 
																			un 
																			male 
																			naturale, 
																			finché 
																			era 
																			oscuro 
																			cosa 
																			nuocesse, 
																			quale 
																			fosse 
																			la 
																			causa 
																			dell’immane 
																			sciagura, 
																			si 
																			combatté 
																			con 
																			le 
																			armi 
																			della 
																			medicina. 
																			Ma 
																			il 
																			flagello 
																			era 
																			tale 
																			che 
																			ogni 
																			soccorso 
																			era 
																			vano, 
																			e 
																			arrendersi 
																			bisognava” 
																			(trad. 
																			Bernardini 
																			Marzolla).
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Facendo 
																			un 
																			salto 
																			di 
																			ben 
																			nove 
																			secoli, 
																			merita 
																			di 
																			essere 
																			citato 
																			l’indiscusso 
																			legame 
																			letterario 
																			tra 
																			Tucidide 
																			e 
																			Procopio 
																			di 
																			Cesarea. 
																			Nella 
																			sua 
																			raccolta
																			
																			Storia 
																			delle 
																			guerre 
																			(scritta 
																			tra 
																			il 
																			551 
																			e il 
																			553 
																			d.C.) 
																			lo 
																			storico 
																			bizantino, 
																			divenuto 
																			senatore 
																			e 
																			prefetto 
																			alla 
																			corte 
																			giustinianea 
																			dopo 
																			aver 
																			fatto 
																			da 
																			consigliere 
																			al 
																			generale 
																			Belisario, 
																			raccontò 
																			l’epidemia 
																			che 
																			dal 
																			541 
																			colpì 
																			la 
																			città 
																			di 
																			Costantinopoli, 
																			passata 
																			alla 
																			storia 
																			come 
																			la 
																			“peste 
																			di 
																			Giustiniano”. 
																			Come 
																			l’ateniese, 
																			anche 
																			Procopio 
																			fu 
																			testimone 
																			diretto 
																			dei 
																			fatti 
																			e la 
																			sua 
																			trattazione 
																			descrive 
																			con 
																			lucida 
																			oggettività 
																			l’avanzare 
																			della 
																			pestilenza 
																			che, 
																			secondo 
																			le 
																			sue 
																			stime, 
																			costò 
																			la 
																			vita 
																			al 
																			10% 
																			della 
																			popolazione 
																			bizantina.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Sono 
																			soprattutto 
																			le 
																			nozioni 
																			di 
																			tipo 
																			medico-scientifico 
																			ad 
																			aver 
																			posto 
																			il 
																			dubbio 
																			tra 
																			gli 
																			storici 
																			dell’Ottocento 
																			circa 
																			l’autenticità 
																			della 
																			sua 
																			opera, 
																			come 
																			si 
																			evince 
																			dal 
																			“Dizionario 
																			Generale” 
																			del 
																			1864: 
																			“L’altro 
																			dubbio 
																			è 
																			assai 
																			strano. 
																			Dall’aver 
																			Procopio 
																			fatto 
																			una 
																			descrizione 
																			accuratissima 
																			della 
																			peste 
																			che 
																			desolò 
																			nel 
																			543 
																			Costantinopoli 
																			con 
																			particolari 
																			medici 
																			e 
																			scientifici, 
																			fu 
																			arguito 
																			da 
																			alcuni 
																			ch’ei 
																			fosse 
																			medico, 
																			e 
																			come 
																			tale 
																			apparisce 
																			in 
																			alcuni 
																			dizionarii 
																			medici 
																			francesi. 
																			Ciò 
																			è un 
																			ire 
																			troppo 
																			innanzi. 
																			Procopio 
																			rivela, 
																			in 
																			tutte 
																			le 
																			sue 
																			opere, 
																			molte 
																			cognizioni 
																			miste, 
																			e 
																			mentre 
																			stava 
																			descrivendo 
																			la 
																			peste 
																			attinse 
																			probabilmente 
																			qualche 
																			informazione 
																			da 
																			amici 
																			medici 
																			(…)”.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Che 
																			Procopio 
																			si 
																			sia 
																			ispirato 
																			a 
																			Tucidide 
																			in 
																			molte 
																			delle 
																			sue 
																			opere 
																			è 
																			fatto 
																			ormai 
																			accertato 
																			dagli 
																			storici 
																			ma, 
																			prendendo 
																			spunto 
																			da 
																			Pia 
																			Carolla 
																			in
																			
																			Atene 
																			e 
																			Roma, 
																			ciò 
																			non 
																			intacca 
																			il 
																			suo 
																			indiscusso 
																			spessore 
																			letterario: 
																			“Procopio 
																			attinge 
																			ampiamente 
																			in 
																			Tucidide, 
																			non 
																			solo 
																			per 
																			singole 
																			frasi 
																			o 
																			espressioni 
																			ma 
																			anche 
																			per 
																			interi 
																			periodi, 
																			come 
																			è 
																			stato 
																			documentato 
																			dalla 
																			critica 
																			di 
																			fine 
																			Ottocento. 
																			(…) 
																			va 
																			anche 
																			precisato 
																			che 
																			Procopio 
																			vuole 
																			pensare 
																			se 
																			stesso, 
																			gli 
																			avvenimenti 
																			che 
																			ha 
																			vissuto 
																			e la 
																			propria 
																			opera 
																			proiettati 
																			sullo 
																			sfondo 
																			della 
																			grande 
																			storiografia 
																			di 
																			stampo 
																			soprattutto 
																			tucidideo”.
																			 
																			
																			
																			Si 
																			potrebbe 
																			concludere 
																			con 
																			un’immagine 
																			ironica: 
																			Tucidide 
																			come 
																			il 
																			“primo 
																			della 
																			classe” 
																			e 
																			tutti 
																			dietro 
																			a 
																			copiare. 
																			Fermo 
																			restando 
																			il 
																			suo 
																			primato 
																			storiografico, 
																			anche 
																			l’ateniese 
																			probabilmente 
																			ha 
																			preso 
																			spunto 
																			dai 
																			classici 
																			del 
																			suo 
																			tempo. 
																			Sarebbe 
																			ovvio 
																			aspettarsi 
																			un 
																			riferimento 
																			alle 
																			liriche 
																			di 
																			Omero, 
																			oppure 
																			un 
																			richiamo 
																			al 
																			drammaturgo 
																			Sofocle, 
																			invece 
																			no 
																			o, 
																			almeno, 
																			non 
																			solo. 
																			Recenti 
																			studi 
																			dimostrano 
																			come 
																			parte 
																			del 
																			testo 
																			tucidideo, 
																			oltre 
																			ad 
																			essere 
																			chiaramente 
																			influenzato 
																			dal 
																			linguaggio 
																			della 
																			medicina 
																			ippocratica, 
																			presenti 
																			“letteralmente” 
																			delle 
																			analogie 
																			con 
																			le 
																			opere 
																			di 
																			Saffo, 
																			poetessa 
																			greca 
																			vissuta 
																			a 
																			cavallo 
																			tra 
																			il 
																			VII 
																			e il 
																			VI 
																			secolo 
																			a.C.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Prezioso, 
																			al 
																			riguardo, 
																			il 
																			contributo 
																			di 
																			Pietro 
																			Maria 
																			Liuzzo 
																			per 
																			la 
																			rivista 
																			storiografica 
																			inglese 
																			“Histos”, 
																			pubblicato 
																			nel 
																			2016: 
																			“(…)
																			
																			rileggere 
																			il 
																			testo 
																			tucidideo 
																			e 
																			cercare 
																			di 
																			capire 
																			i 
																			materiali 
																			letterari 
																			con 
																			cui 
																			lo 
																			storico 
																			lavorava, 
																			per 
																			giungere 
																			a 
																			un’ipotesi 
																			rispetto 
																			a 
																			come, 
																			tramite 
																			le 
																			fonti 
																			mediche, 
																			il 
																			testo 
																			di 
																			Saffo 
																			sia 
																			più 
																			o 
																			meno 
																			coscientemente 
																			filtrato 
																			nella 
																			narrazione 
																			tucididea”.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Ma 
																			cosa 
																			può 
																			aver 
																			filtrato 
																			l’inventore 
																			del 
																			metodo 
																			storiografico 
																			dalle 
																			liriche 
																			della 
																			poetessa 
																			di 
																			Eresos? 
																			Liuzzo 
																			traccia 
																			alcuni 
																			punti 
																			in 
																			comune 
																			tra 
																			i 
																			due: 
																			la 
																			forte 
																			dimensione 
																			visiva, 
																			l’osservazione, 
																			e la 
																			descrizione 
																			dei 
																			“sintomi”. 
																			È 
																			proprio 
																			in 
																			quest’ultimi 
																			che, 
																			sorprendentemente, 
																			risultano 
																			numerose 
																			analogie 
																			linguistiche. 
																			Come 
																			se 
																			l’ateniese, 
																			nel 
																			descrivere 
																			gli 
																			effetti 
																			(fisici 
																			e 
																			psicologici) 
																			della 
																			peste, 
																			avesse 
																			preso 
																			spunto 
																			dagli 
																			effetti 
																			dell’amore 
																			e 
																			dell’innamoramento, 
																			descritti 
																			da 
																			Saffo 
																			come 
																			una 
																			vera 
																			e 
																			propria 
																			malattia 
																			per 
																			la 
																			psiche 
																			umana.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Si 
																			potrebbe 
																			quindi 
																			ipotizzare 
																			che 
																			le 
																			liriche 
																			saffiche 
																			ebbero 
																			funzione 
																			complementare, 
																			di 
																			supporto, 
																			laddove 
																			il 
																			pragmatismo 
																			storico 
																			di 
																			Tucidide 
																			e 
																			l’osservazione 
																			medica 
																			ippocratica 
																			non 
																			potevano 
																			arrivare. 
																			Il 
																			concetto 
																			viene 
																			ribadito 
																			dallo 
																			stesso 
																			Liuzzo: 
																			“Ma 
																			nel 
																			momento 
																			in 
																			cui 
																			è 
																			necessario 
																			scegliere 
																			le 
																			parole 
																			da 
																			impiegare 
																			per 
																			fare 
																			ciò, 
																			il 
																			bagaglio 
																			dei 
																			concetti 
																			che 
																			possono 
																			dare 
																			vita 
																			alla 
																			realtà 
																			nel 
																			testo 
																			storico 
																			o 
																			scientifico, 
																			ecco 
																			che 
																			il 
																			medico, 
																			come 
																			lo 
																			storico, 
																			si 
																			serve 
																			di 
																			quei 
																			luoghi 
																			che 
																			hanno 
																			costruito 
																			il 
																			suo 
																			lessico: 
																			l’epica 
																			e la 
																			poesia 
																			lirica”.
																			
																			
																			 
																			
																			
																			Che 
																			si 
																			tratti 
																			di 
																			imitazioni, 
																			traduzioni, 
																			ispirazioni 
																			a 
																			modelli 
																			letterari, 
																			la 
																			sostanza 
																			non 
																			cambia: 
																			stiamo 
																			sempre 
																			parlando 
																			di 
																			storia. 
																			L’insegnamento 
																			più 
																			grande 
																			di 
																			quest’ultima 
																			consiste, 
																			appunto, 
																			nell’imparare 
																			a 
																			conoscere 
																			noi 
																			stessi, 
																			a 
																			non 
																			ripetere 
																			gli 
																			stessi 
																			errori.
																			
																			
																			
																			
																			 
																			
																			
																			L’ateniese 
																			concepiva 
																			la 
																			storia 
																			come 
																			“maestra 
																			di 
																			vita”, 
																			come 
																			un 
																			“possesso 
																			perenne” 
																			a 
																			disposizione 
																			degli 
																			uomini. 
																			E il 
																			racconto 
																			della 
																			peste 
																			di 
																			Atene 
																			ne 
																			rappresenta 
																			un 
																			sommo 
																			esempio, 
																			che 
																			merita 
																			un’ultima 
																			citazione: 
																			“Di 
																			tal 
																			pestilenza 
																			lascio 
																			che 
																			ognuno 
																			o 
																			perito 
																			od 
																			inesperto 
																			di 
																			medicina 
																			ragioni 
																			come 
																			sente, 
																			divisando 
																			donde 
																			probabilmente 
																			sia 
																			stata 
																			originata, 
																			e 
																			quali 
																			cause 
																			sieno 
																			state 
																			capaci 
																			di 
																			produrre 
																			tanto 
																			rivolgimento; 
																			io 
																			per 
																			me 
																			dirò 
																			qual 
																			fu, 
																			e 
																			quei 
																			i 
																			sintomi, 
																			per 
																			cui, 
																			se 
																			mai 
																			altra 
																			volta 
																			ritornerà, 
																			altri 
																			possa 
																			avvertito 
																			riconoscerla, 
																			esporrò 
																			io, 
																			che 
																			fui 
																			appestato 
																			e 
																			vidi 
																			altri 
																			infetti” 
																			(trad. 
																			Peyron).
																			
																			
																			 
																			 
																			
																			
																			Riferimenti 
																			bibliografici:
																			
																			
																			 
																			
																			
																			
																			Cenni 
																			sopra 
																			le 
																			cagioni 
																			della 
																			peste, 
																			trad. 
																			De 
																			Rolandis, 
																			tipog. 
																			Speibanti 
																			e 
																			Co., 
																			Torino 
																			1838.
																			
																			
																			Luciano 
																			Canfora,
																			
																			Le 
																			vie 
																			del 
																			classicismo: 
																			Storia. 
																			Tradizione. 
																			Propaganda, 
																			Ed. 
																			Dedalo, 
																			2004
																			
																			
																			Virgilio,
																			
																			La 
																			peste 
																			del 
																			Nòrico 
																			(Georgiche, 
																			3, 
																			vv. 
																			478-566), 
																			Mondadori 
																			Education.
																			
																			
																			Pia 
																			Carolla,
																			
																			Punti 
																			tucididei 
																			nelle 
																			epistole 
																			di 
																			Procopio, 
																			in 
																			“Atene 
																			e 
																			Roma”, 
																			1997.
																			
																			
																			Pietro 
																			Maria 
																			Liuzzo,
																			
																			Saffo, 
																			Tucidide, 
																			Plutarco 
																			e la 
																			peste 
																			d’Atene, 
																			in “Histos”, 
																			n. 
																			10, 
																			2016.
																			
																			
																			
																			Nuova 
																			enciclopedia 
																			popolare 
																			italiana. 
																			Dizionario 
																			Generale, 
																			L’Unione 
																			Tipografico 
																			Editrice, 
																			Torino 
																			1864.
																			
																			
																			
																			Tito 
																			Lucrezio 
																			Caro. 
																			La 
																			natura 
																			delle 
																			Cose, 
																			trad. 
																			Jacopo 
																			Sartori, 
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																			Verona 
																			1861.
																			
																			
																			
																			Tucidide. 
																			Della 
																			guerra 
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																			Peloponneso, 
																			trad. 
																			Amedeo 
																			Peyron, 
																			Stamperia 
																			Reale 
																			Torino 
																			1864.
																			
																			
																			
																			Biblioteca 
																			storica 
																			di 
																			Diodoro 
																			Siculo, 
																			trad. 
																			Giuseppe 
																			Compagnoni, 
																			tipog. 
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																			Milano 
																			1820. 
																							
																							
																			 
																			
																			
																			