[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

174 / GIUGNO 2022 (CCV)


attualità

SULLA DICOTOMIA “LUSSO-POVERTÀ”

ANALISI DI UNA “TRAPPOLA”

di Antonino Cambria

 

Quella tra lusso e povertà è una dicotomia esistita fin dall’antichità, derivante da molteplici fattori, a cui si è cercato di trovare la causa e l’origine a tal punto di effettuare un’analisi sull’accezione dei vari termini. Sicuramente il termine povertà non riscontra problemi di dicotomia, in quanto identifica una situazione di mancanza, di deficit che devono essere colmati, indipendentemente se si tratta di qualcosa di temporaneo o alle volte di una potenza vorticosa che trascina a fondo e non lascia più via di uscita.

 

Questo vortice, corredato di vari fattori che analizzerò successivamente, crea la trappola della povertà. Contrariamente la visione del lusso è un po’ differente, dal momento che fin dal Settecento si è cercato di identificarne l’accezione e che ha visto il susseguirsi di canoni positivi e negativi.

 

Da un punto di vista negativo il lusso può essere considerato come spreco, consumo e sperpero delle proprie ricchezze, come tentazione e decadenza dei principi per terminare in un circolo vizioso dal quale si è incapaci di uscirne perché dominati dalle passioni e non più dai bisogni. Da un altro punto di vista contrapposto però il lusso può assumere una connotazione positiva, identificandosi in un vero e proprio motore dell’economia.

 

Facendo un salto indietro nel tempo, quando ancora gli studi economici, o per la precisione le scienze accademiche dominavano gli ambienti di studio, ciò che si analizzavano erano oggetti di studio limitati. Per esempio, le regioni oggetto di studio delle teorie economiche erano i paesi del Vecchio Continente, la causa principale della condizione di arretratezza che si riscontrava si concentrava sui problemi interni, al massimo degli Stati vicini e confinanti.

 

Prendendo in considerazione degli studi sull’Italia, il punto focale era concentrato sulle campagne limitrofe o alle zone di periferia. Con l’ampliarsi dei confini non solo fisici, ma anche sociali, economici, politici e tecnologici, le dinamiche si sono espanse e da quelle che erano le campagne cittadine, come per esempio le campagne napoletane, di cui ne analizza gli effetti lo studioso Genovesi, si è passati a veri e propri Paesi che si trovano in aere considerate sottosviluppate e marginalizzate rispetto ai paesi occidentali già sviluppati.

 

Nel Settecento la causa dell’arretratezza nelle campagne napoletane doveva essere rintracciata proprio nella schiacciante prevalenza della grande proprietà feudale che cercava di lottare contro ogni espressione di privilegio e di monopolio e che impediva una distribuzione della proprietà, ma anche qualsiasi mutamento e rinnovamento delle gerarchie sociali. In quest’ottica assunse un punto di riferimento il lusso, inteso come fondamentale fattore di circolazione delle ricchezze e allo stesso tempo come strumento capace di garantire un rinnovamento delle gerarchie tradizionali.

 

Il lusso infatti diffonde denaro, crea domanda per la produzione interna, mobilitazione sociale e si configura come circolatore di ricchezza. Concependo quindi il lusso come un sinonimo di produzione e progresso si potrebbe utilizzare come elemento per portare progresso e sviluppo nei paesi in via di sviluppo rompendo così le catene della trappola della povertà che cingono i Paesi del terzo mondo.

 

A supporto di tale affermazione potrebbe essere menzionato l’autore Isidoro Bianchi che nella sua opera Meditazioni sui vari punti di felicità pubblica e privata, tratteggia un modello di sviluppo economico che trovava la sua forza motrice nel lusso, inteso come naturale istinto umano capace di condurre la società al massimo sviluppo civile ed economico.

 

Il termine “lusso” fu introdotto solo a partire dalla terza edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca del 1691 e venne considerato con il significato di qualcosa di superfluo, ciò di cui gli uomini non hanno necessità. Un superfluo che era visto come elemento di una società progredita, che se non saputo gestire si trasformava in eccesso, considerato invece, come dilapidazione della propria fortuna. Successivamente Marie Dumont nella sua versione dimostrò che il lusso corrispondesse a tutto quello ciò che era indispensabile e quindi da non considerare come eccesso.

 

L’eccesso racchiude in sé l’elemento negativo del lusso che si associa al consumo di un prodotto, portandolo fino all’estrema condizione. Alla stregua della povertà anche il lusso, se non saputo gestire, si può configurare come una trappola dalla quale difficilmente si scappa. Però ciò che mi preme sottolineare in questa breve relazione è come il lusso, visto come motore di sviluppo e progresso, anche se non necessario alla vita dell’uomo, diventi un tassello fondamentale per rompere la “trappola” della povertà.

 

Esistono varie definizioni della “trappola” della povertà, come anche quella del sottosviluppo, analizzabili e in parte descrivibili grazie alla teoria dello sviluppo di Joseph Alois Schumpeter. Una prima definizione riportabile è quella dei due professori, Cristopher Barrett e Michael Carter rispettivamente della Charles H. Dyson School of Applied Economics and Management (Cornell University, Ithaca, NY, USA), e dell’Agricultural & Resource Economics (University of California, Davis, USA), partendo dalla definizione di Azariadise Stachurski spiegano meglio cosa si intende per trappola della povertà.

 

La trappola della povertà, definita dagli anglofoni come “any self-reinforcing mechanism which causes poverty to persist”, è il fatto di continuare a stare povero, non per essere povero in alcuni momenti nel tempo, ma in maniera continua e generazionale. I ricercatori si focalizzano sull’identificare e spiegare che l’esistenza di questa trappola comporta anche un’assenza di bacini di attrazione di asset e flussi finanziari e monetari che evolvono nel tempo.

 

Secondo numerosi studi, le persone o le famiglie in condizioni di povertà estrema restano bloccate in una cronica difficoltà, che ne impedisce l’ascesa sociale verso migliori condizioni di vita e vanifica le opportunità di guadagnare incrementi di reddito. Questa cronicità dipende da vari elementi che portano nel tempo a rinforzare la trappola della povertà e alcuni di essi ne sono cardine principale.

 

Sicuramente si può affermare che la trappola della povertà è la situazione che si verifica quando un paese povero persiste nel tempo senza uscire dalla povertà. Questo perché non può sviluppare strutture che gli permettano di crescere economicamente, socialmente e culturalmente. La trappola della povertà è storicamente strettamente legata ai Paesi che non hanno vissuto una rivoluzione industriale. L’assenza di risparmio è la componente fondamentale che impedisce a queste economie di sviluppare e promuovere investimenti che aumentano il grado di industrializzazione delle loro economie.

 

Secondo la “teoria degli stadi”, ripresa da Alexander Gerschenkron e Walt W. Rostow nelle loro opere, spiega che tutti i paesi passano attraverso gli stessi stadi dello sviluppo economico; perciò, le nazioni sottosviluppate sarebbero a uno stadio primitivo lungo il percorso lineare di sviluppo storico, mentre le nazioni sviluppate si troverebbero a uno stadio successivo. Tuttavia, secondo questa teoria questa situazione di povertà dovrebbe essere temporanea, e non perpetua come però concretamente accade. Quindi esistono vari elementi che rendono tale.

 

Vediamo ora alcuni autori ed elementi riscontrati. Riassunti tutti i dati e gli elementi graficamente, si può capire che ci troviamo in presenza di una trappola della povertà cronica dall’andamento e dai punti di equilibrio in cui vi si inverte la concavità della curva che identifica l’andamento dei mercati.

 

La categoria di un singolo punto di equilibrio per la trappola di povertà è quello in cui ci sono delle dinamiche, cause e trappole di macro-scala che, come identificato da Daron Acemoglu, Simon Johnson, James A. Robinson nel 2001, possono essere originate da fenomeni istituzionali o svantaggi fisici che influenzano tutti i residenti nella nazione in questione. Questi svantaggi o fenomeni sono dovuti maggiormente anche a un’insufficiente produttività di standard e servizi alla popolazione, presenza di problemi interni, ma soprattutto alla base si riscontraun’incapacità tecnologica.

 

Mentre quando il grafico che si palesa è una sinusoide con diversi punti di equilibrio e a ognuno di questi corrisponde un’inversione della concavità della curva allora normalmente si ha un meccanismo comune di difesa ai multipli fallimenti del mercato finanziario, denominato multiple financial market failures (MFMF). In questo caso ci si ritrova a un livello microeconomico. Come le nazioni, anche gli individui hanno caratteristiche intrinseche, come capacità, propensioni, posizioni geografiche, che condizionano le loro soglie desiderate di equilibrio di benessere. In base a questi elementi ci possono essere degli incrementi locali che potrebbero fare uscire dalla trappola della povertà quegli individui, creando una relazione positiva tra benessere e guadagno marginale.

 

Per esempio, lo studioso Partha Dasgupta ha supposto un punto elementare della trappola della povertà, che nasce dal deficit alimentare. La persona sottonutrita è costretta a economizzare le energie, quando avrebbe bisogno di moltiplicare gli sforzi per cogliere una possibilità qualunque di miglioramento. In condizioni di questo tipo, non vi sono energie sufficienti per erogare lo sforzo lavorativo addizionale che sarebbe necessario per accumulare risparmi, produrre scorte alimentari o svolgere prestazioni di lavoro efficienti. Non si tratta di semplice deficit alimentare, ma nei paesi intrappolati, la sorellastra della scarsità di acqua o risorse idriche, risulta essere una tra le più gravi privazioni che la povertà estrema impone, con conseguenze pesanti per la mortalità infantile.

 

Conseguentemente la scarsità di cibo e acqua si ripercuotono sugli investimenti e il loro successo, ma soprattutto non si hanno mezzi per un fattore importante nello sviluppo a lungo termine dei PVS e dei già paesi sviluppati: l’istruzione, che viene tralasciata. Si tratta anche di tutte quelle privazioni che i poveri soffrono che si ripercuotono nella stima sociale e nell’autostima, negli affetti, nella sicurezza di vita, nella capacità di garantire un futuro ai figli, nell’accesso ai diritti civili e politici, e possono avere conseguenze persistenti sull’arco di più generazioni.

 

Nelle famiglie molto povere, la carenza di risparmio blocca la capacità di accumulare ricchezza; la mancanza di ricchezza e di status impediscono di accedere al credito o determinati ambienti. Quindi la povertà cronica che si crea può intrappolare in condizioni di marginalità generazioni successive, in una spirale che si autoriproduce.

 

A questo si aggiunge una correlazione con la longevità delle famiglie. Il professore Samuel Bowels, insieme a Karla Hoff, riprendono l’idea di Nirali Chakraborty nella correlazione tra aspettativa di vita e gli standard di vita, questo approccio crea un rallentamento negli investimenti nella salute pubblica, perché le nazioni povere sono catturate in un circolo vizioso: loro non si possono permettere di investire molto sulla sanità pubblica, quindi i loro cicli di vita sono brevi e le pianificazioni sono su corti periodi, provocando una scarsità di investimenti privati e creazione di povertà perpetua.

 

Riassumendo tali elementi potremo dire che ci sono molti fattori che entrano nella trappola della povertà. Quelli da evidenziare sono i seguenti:

Assenza di industrie produttive e istituzioni politiche;

Esistenza di dittature e corruzione;

Accesso limitato al credito e ai mercati dei capitali;

Mancanza di servizi sanitari e centri educativi;

Guerre e carestie;

Assenza di Infrastrutture;

Impatto ambientale che colpisce la produzione agricola, risorse naturali o gli animali;

Politiche monetarie lassiste che promuovono una deflazione salariale persistente;

Mancanza di investimenti produttivi e apertura all’estero.

-       

Si viene così a configurare uno schema che cerca di capire l’evoluzione di un paese povero e la sua possibilità di scappare alla trappola della povertà in base alle azioni intraprese o quella di rimanere ancorata a questa dovuta a problemi persistenti e strutturali. Per poi concludere che le ragioni strutturali che sottolineano la persistenza della povertà, chiedendosene il perché e il quando, semplicemente si basano su dei flop o insuccessi da parte delle politiche e azioni intraprese, così come descritto dal Chronic Poverty Report.

 

 

 

Come si può evincere dal grafico il fatto di essere poveri invece non avviene nei paesi sviluppati o nei paesi a contatto con questi ultimi, di cui subiscono le influenze sociali, economiche e politiche. Come preannunciato i Paesi sviluppati godono di economie di agglomerazione che sfruttano il vantaggio di localizzare nella stessa area, con effetti reciproci di servizio, imprese di settori produttivi diversi, e che consequenzialmente sono facilitate dalla presenza di altre imprese con benefici di costo, incentivi all’innovazione e opportunità di profitto.

 

Questi elementi creano un mercato dove è possibile investire e generare rendimenti nei vari ambiti, soprattutto quelli definiti di crescita endogena: capitale umano e innovazione tecnologica. Così vengono raggiunti gli obiettivi necessari, che sussistono come base ed entra in gioco l’interesse in produrre, consumare e incrementare quindi i propri profitti. Il consumo di beni è proprio lo step finale del ciclo produttivo di quest’ultimo, il cui valore sarà determinato dalla presenza di domanda e offerta.

 

Jeffrey D. Sachsha ha difeso l’urgenza di massicci interventi coordinati nei Paesi a basso reddito, per raggiungere soglie critiche d’impatto negli investimenti, che permettano dirompere i circoli viziosi e le trappole, agendo sia dal lato del capitale umano, sia da quello capitale. Sicuramente l’azione politica ed economica di questi paesi non è incamminarsi lungo la strada dell’autarchia e delle barriere tariffarie. Questa attitudine sarebbe per i Paesi a basso reddito la strada della chiusura e della disperazione, con effettirapidamente degenerativi anche sui sistemi politici e gli equilibri sociali.

 

Come, d’altronde, anche i paesi sviluppati devono agire e cooperare affinché i paesi a loro vicini non entrino in gironi oscuri che lascino precipitare il Paese nella trappola della povertà. Il primo fattore che sicuramente tra tanti può contrastare la “trappola” è l’innovazione, che si concentra territorialmente in poli ben definiti, dando luogo a economie di agglomerazione che possono alimentare fenomeni di esclusione territoriale e di inversione.

 

Sul versante politico, sono decisivi i fattori istituzionali, quali la natura predatoria dell’amministrazione pubblica, i vizi del sistema giudiziario e la scarsa tutela della proprietà, la carenza di libertà politica o economica, perché scoraggiano gli investimenti privati sia di fonte interna, sia dall’estero. A questi si aggiungono i Paesi lacerati da guerre civili e conflitti armati che patiscono la trappola del conflitto, che può divenire cronico o esporre a ulteriori rischi di violenza prima che la stabilizzazione sia consolidata.

 

Sorella del concetto della trappola della povertà, appare sul palco anche la trappola del sottosviluppo. Questo termine indica la combinazione tra basso livello di PIL pro-capite, bassa produttività e modesta occupazione. La permanenza nel tempo delle regioni meno sviluppate non permette di agganciarsi a quelle più sviluppate. La trappola invece mette in moto un circuito vizioso che si alimenta verso il basso e porta alla trappola della povertà che cronica si diffonde in tutta la periferia.

 

Per capire chi sia più svantaggiato si può calcolare in alcuni casi l’innovazione con il Regional Innovation Scoreboard che misura il livello d’innovazione dei territori. Però a parità di disuguaglianza, quello che fa la differenza sono i guadagni di produttività e il rinnovamento dell’apparato produttivo che trascinano verso l’alto l’intero spettro dei redditi. Questa situazione è tipica dei Paesi sviluppati.

 

Su un raggio a lungo termine, lo sviluppo è una leva potente per superare la povertà assoluta e l’unica decisiva per costruire l’opportunità di ridurre la disuguaglianza. Purtroppo, non vi è certezza che in tutte le fasi della crescita questa riduzione della diseguaglianza resti invariata. Si può pensare che già il lusso sia una prima fonte di diseguaglianza e quindi di semina di problemi. Ma al tempo stesso è il modo di muovere l’economia e portare sviluppo con sé.

 

Nel mondo contemporaneo, ragioni di accresciuta disuguaglianza nascono dai divari di reddito in base al livello di istruzione o tra i residenti delle zone rurali e quelli delle città. Persiste il rischio che gruppi sociali specifici restino esclusi dall’aumento del reddito anche in economie in crescita, come accade ancora in Cina, per una quota della popolazione rurale.

 

Le trappole della povertà, all’alba del nuovo secolo, chiedono, per essere spezzate, investimenti di assistenza pubblica nella salute e nell’istruzione, per tutelare quanti rischiano di restare schiacciati tra la difficoltà di accedere all’economia di mercato e l’impossibilità di mantenere le tradizionali fonti di reddito. Per affrontarle, un’idea è quella di seguire alcuni concetti della Teoria dello sviluppo economico già formulata nel 1911.

 

La teoria dello sviluppo economico è chiara in questo senso: creare nuove migliorie e soddisfare in maniera migliore i propri bisogni. E Joseph Alois Schumpeter nella sua teoria utilizza essenzialmente un concetto neoclassico anche se aggiunge «che tali miglioramenti o creazioni ex novo non possono essere trattati nell’ambito della statica o lo possono essere solo in dimensioni tanto microscopiche che è meglio lasciar perdere». Il problema è pragmatico, ovvero costituito dalla «creazione delle basi per nuove produzioni e consumi».

 

Schumpeter introduce il credito bancario quale fattore necessario, ma evidentemente non sufficiente, dello sviluppo. È in particolare la nuova creazione di credito, intesa come causa a rappresentare il fulcro dell’intero sistema: «Se una qualsiasi circostanza conduce al sorgere di un nuovo imprenditore o di una nuova organizzazione, per esempio di un trust, è necessario a questo scopo il danaro».

 

Riprendendo le parole del primo presidente della Tanzania, lo sviluppo non porta solo benessere e comodità, ma “sviluppo è un altro modo di dire pace” disse Julius Nyrere primo presidente della Tanzania. Quindi quando si parla di sviluppo non si intende solo un incremento del reddito reale dell’economia, ma anche il miglioramento globale della qualità della vita. Purtroppo, il modello attualmente preferito dall’Occidente prevede lo sfruttamento delle materie prime del Sud del mondo a vantaggio del Nord.

 

La globalizzazione, ossia l’eliminazione delle barriere al libero commercio e la maggiore integrazione, è una forza che permette di arricchire tutti, e in questo caso risulterebbe utile ai poveri. Ma questo vale in teoria perché in pratica i risultati sono altri e sono come quelli su menzionati. Infatti, nei paesi africani, la disoccupazione è aumentata, il numero assoluti di poveri è aumentato, i servizi non funzionano e c’è corruzione.

 

Considerare lo sviluppo, quindi la presenza di un mercato secondario basato sul lusso, può essere un’idea di come aiutare i paesi meno fortunati a percorrere la via del progresso e del benessere. Ovviamente, non immettendo materiale di lusso già finito prodotto nel loro mercato, bensì provvedere a creare le basi per la produzione e consumazioni di beni, che vanno oltre lo stretto necessario, senza cadere nel circolo vizioso dell’eccesso e dello spreco.

 

In queste azioni, i paesi sviluppati dovrebbero già possedere un retaggio storico e uno sfondo ben consolidato, a partire dall’Italia e la sua propaganda del Mezzogiorno come laboratorio delle politiche di sviluppo occidentali in funzione anticomunista, considerando che l’industria dell’assistenza all’estero nasce durante la guerra fredda e le motivazioni sono di natura strategica, di politica estera, di politica della sicurezza, di politica economica.

 

Infine, si può dire che le trappole esistono, ma anche le istituzioni, e queste possono innescare rapidamente una crescita grazie a un investimento coordinato e una politica di commercio che promuova risparmi, esportazioni e rapidi fattori di produttività.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bowles S., Hoff K., Poverty Traps, Princeton University, 2016.

Carnino C., Lusso e Benessere nell’Italia del Settecento, Temi di Storia, Franco Angeli, 2014.

Carter M., Barrett C.B., The Economics of Poverty Traps and Persistent Poverty: Empirical and Policy Implications, The Journal of Development Studies, Last version received January 2013.

Carter M., Barrett C.B.,The economics of poverty traps and persistent poverty: An asset-based approach, The Journal of Development Studies, February 2006.

Schumpeter J.A., Teoria Dello Sviluppo Economico (1911), Cap. II: Il Fenomeno Fondamentale Dello Sviluppo Economico, Quaderni di storia dell’economia politica, 1986, Vol. 4, No. 1/2 (1986).

Walelign S.Z., Charlery L.C., Pouliot M., Poverty Trap or Means to Escape Poverty? Empirical Evidence on the Role of Environmental Income in Rural Nepal. The Journal of Development Studies, 57:10, 2021. 

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