[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 206 / FEBBRAIO 2025 (CCXXXVII)


attualità

transizione ecologica
Dagli studi dell’effetto serra al Green Deal europeo

di Emanuele Molisso


La transizione ecologica è diventata uno degli argomenti principali nel panorama geopolitico. Un tema che è inevitabilmente polarizzato, tanto da non riuscire a qualificare la propria importanza e urgenza, agli occhi dell’opinione pubblica globale.


Parlare di transizione ecologica, non può prescindere dal parlare di surriscaldamento globale e di tecnologia verde. Questo accade perché esiste un universo “green”, il quale racchiude e unisce al di sotto della sua sfera, una multidisciplinarietà imprescindibile. Dalla scienza della terra alla politica, passando per la storiografia e la filosofia, il green ingloba in sé tutte le conoscenze dell’uomo. Quest’articolo ha lo scopo di realizzare una cronistoria del mondo green, con il punto di partenza fissato ai primi anni dell’800, quando iniziarono a essere effettuati i primi studi dell’effetto serra, fino al Green Deal europeo, il quale rappresenta il tentativo di mettere in pratica a livello globale, la multidisciplinarietà che caratterizza la transizione ecologica.


Nel 1820, il matematico e fisico francese Joseph Fourier, postulò l’effetto serra, dimostrando che l’energia che giungeva sul pianeta Terra, sottoforma di raggi solari, non era bilanciata dall’energia che tornava nello spazio, dopo aver riscaldato la superficie terrestre ma in realtà, dimostrò come una quantità di questa energia solare rimanesse nell’atmosfera terrestre, non ritornando nello spazio e quindi andando a surriscaldare la Terra.


Negli anni’50 dello stesso secolo, questa teoria fu ripresa dal lavoro di Eunice Newton Foote, la quale effettuò degli esperimenti con dei cilindri di vetro, con i quali dimostrò che l’effetto del riscaldamento solare, era maggiore nell’aria umida rispetto all’aria secca, rivelando il più alto grado di riscaldamento nel cilindro contenente anidride carbonica. Successivamente, negli anni ‘60, lo scienziato irlandese John Tyndall effettuò dei test di laboratorio sul gas di carbone (CO2, metano, idrocarburi volatili), il quale si dimostrò particolarmente efficace nell’assorbire energia. Gli esperimenti di Tyndall dimostravano una CO2 che agiva come una spugna e riusciva ad assorbire completamente le lunghezze d’onda della luna solare.


Nel 1895, il chimico svedese Svante Arrherius lavorò sugli effetti che la diminuzione dei livelli di CO2 nell’atmosfera, avrebbero avuto sulla Terra e utilizzò i suoi studi per spiegare le ere glaciali e questo, portò i suoi calcoli a dimostrare dell’abbassamento dei livelli di CO2, a cui corrispondeva una diminuzione delle temperature globali di circa 5 gradi Celsius. Paradossalmente, nonostante tutti questi studi e i loro risultati, gli anni ‘90 dell’800, videro il concetto di surriscaldamento del pianeta ancora considerato remoto e poco benvenuto.


La svolta la si è avuta, a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, nel momento in cui, al fine di sensibilizzare i cittadini europei e per cercare di armonizzare le politiche degli Stati Membri, l’Unione Europea diede la spinta propulsiva all’adozione di norme e strategie, per l’integrazione delle politiche ambientali con quelle di sviluppo economico e sociale, in tutti i suoi settori d’intervento. Da questo rinnovato clima di interesse per la transizione ecologica, iniziarono a essere effettuati studi più approfonditi e un esempio è il Rapporto Meadows, stilato nel 1972.


Il Rapporto Meadows definito anche Rapporto sui limiti dello sviluppo, fu commissionato al Massachusetts Institute of Technology dall’associazione non governativa, Club di Roma. Lo studio fu pubblicato da Donatella Meadows e offrì un’analisi dei possibili rischi ecologici determinati dalla rapida crescita economica e demografica mondiale. Basandosi sulla simulazione al computer Word 3, il Rapporto ha mostrato come il tasso continuo e inalterato della crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse, provocheranno un limite dello sviluppo sul pianeta Terra, entro cento anni. Le conclusioni del Rapporto hanno avuto il merito di aver incentivato l’uso delle fonti energetiche rinnovabili o alternative, rispetto alle risorse fossili.


Il Rapporto del ‘72 sarà la base su cui, nel 1987, verrà redatto il Rapporto Brundtland della Commissione Mondiale sull’ambiente e lo sviluppo. Questo rapporto introdusse, per la prima volta, il concetto di sviluppo sostenibile, inteso come la necessità di un cambiamento necessario nel modo di sfruttare le risorse, nel tipo di investimenti, nell’orientamento dello sviluppo tecnologico e nei cambianti istituzionali coerenti con i bisogni futuri. Il Rapporto Brundtland ha avuto il merito di essere stato il precursore dell’utilizzo di numerosi altri termini, come a esempio economia circolare e crescita verde, divenuti degli accompagnatori inscindibili del termine sviluppo sostenibile.


Il Rapporto Brundtland anticipò quella che fu l’estate più calda mai registrata fino ad allora, quella del 1988, che vide gli Stati Uniti d’America essere il teatro di siccità e incendi diffusi lungo tutto il territorio. Ed è per questo motivo, che il 1988, è considerato un anno spartiacque per il tema del riscaldamento globale, visto che in generale le temperature globali erano in aumento di anno in anno, ma soprattutto, gli scienziati iniziarono a lanciare l’allarme sul cambiamento climatico e i media e il pubblico, iniziarono a prestare maggiore attenzione. Attenzione che fu riportata da James Harrison, scienziato della NASA, il quale presentò al Congresso degli Stati Uniti d’America nel giugno del 1988, alcuni modelli e calcoli che andavano a dimostrare l’ormai imminente arrivo del riscaldamento globale.


Nel 1989 venne instituito il Gruppo Intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) posto al di sotto dell’egida delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di fornire una visione scientifica del cambiamento climatico e dei suoi impatti politici ed economici. L’IPCC rappresentò il primo passo verso un’attenzione globale per la transizione ecologica e aprì la strada al primo accordo globale per la riduzione dei gas a effetto serra, il protocollo di Kyoto, adottato nel 1997.

 

Il protocollo chiedeva la riduzione delle emissioni di sei gas serra in quarantuno paesi, più l’Unione Europea, al 52% rispetto ai livelli del 1990, durante il periodo 2008-2012. Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia. A marzo 2013 gli Stati che hanno aderito e ratificato il protocollo sono 191, in aggiunta all’Unione Europea ma nel marzo 2001, ci fu l’uscita dal protocollo da parte degli Stati Uniti d’America, il cui presidente George W. Bush definì il protocollo difettoso e dannoso per l’economia degli Stati Uniti d’America. Il 16 marzo 2007 è stato celebrato l’anniversario del secondo anno di adesione al protocollo di Kyoto e con l’accordo di Doha, l’estensione del protocollo è stata prolungata dal 2012 al 2020, con ulteriori obiettivi di taglio delle emissioni serra.

 

L’ultimo aggiornamento del protocollo, lo si è avuto nel 2022, quando 175 Paesi e un’organizzazione di integrazione economica regionale (EEC) hanno ratificato il protocollo o hanno avviato le procedure per la ratifica. Questi Paesi contribuiscono per il 61,6% alle emissioni globali di gas serra.


Il fattore da evidenziare del Protocollo di Kyoto è che rappresentò il primo vero e concreto tentativo di rendere globale, la transizione ecologica, non più solo da parte del mondo scientifico ma divenne, un tema politico e sociale. Nello stesso anno, nel 1997, l’IPCC pubblicò il suo terzo rapporto sul cambiamento climatico, in cui affermò con toni drastici che il riscaldamento globale stava avanzando pericolosamente, con impatti futuri altamente dannosi.


Nel 2006, cinque anni dopo il terzo rapporto dell’IPCC, l’ex vicepresidente e candidato alla presidenza statunitense Al Gore, realizzò un film documentario dal titolo “Una scomoda verità”, che gli valse il premio Nobel per la pace nel 2007. Egli realizzò una testimonianza completa dei pericoli del cambiamento climatico.


Il film di Al Gore fu girato in un periodo che aveva visto una forte presenza del dibattito pubblico, dei problemi del surriscaldamento globale. Tra il 2005 e il 2006, nei villaggi nebbiosi di Totnes, a sud-ovest del Regno Unito e di Kinsale, in Irlanda, presero vita i primi movimenti a favore della “transizione ecologica”, al suono dello slogan “pensare globalmente, agire localmente”. Questi piccoli gruppi nacquero con l’intento di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida del riscaldamento globale e del picco del petrolio ma soprattutto, bisogna sottolineare come saranno la base che ha ispirato i movimenti sociali dell’ambientalismo, tra cui Fridays For Future.


Un altro anno spartiacque, che ha influenzato l’odierno dibattito sulla transizione ecologica, è stato il 2015. L’accordo di Parigi è un trattato internazionale stipulato tra gli Stati membri della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), riguardo alla riduzione di emissione di gas serra e alla finanza, raggiunto il 12 dicembre 2015 e riguardante il periodo a decorrere dal 2020.Il contenuto dell’accordo è stato negoziato dai rappresentanti di 197 Stati alla XXI Conferenza delle Parti dell’UNFCCC a Le Bourget, vicino a Parigi, in Francia.

 

Questi paesi si impegnavano a fissare obiettivi per la riduzione dei gas serra e a riferire i progressi compiuti. Il punto fondamentale dell’accordo era una dichiarazione d’intenti, per prevenire un aumento della temperatura globale di 2 gradi C (3,6 gradi F), considerato dagli esperti come il limite critico che, se superato, porterà all’aumento del rischio di ondate di calore più mortali, la siccità, tempeste e l’innalzamento del livello globale del mare. Nel novembre 2018, 195 membri dell’UNFCCC hanno firmato l’accordo e 183 hanno deciso di farne parte. Dei quattro Stati membri che non hanno ancora ratificato l’accordo, l’unica grande fonte di emissioni è l’Iran. Gli Stati Uniti d’America si sono ritirati dall’accordo nel 2020, vi sono tornati nel 2021, per poi uscirne nuovamente nel 2025,con un ordine esecutivo firmato dal neoeletto presidente Donald Trump.


Gli accordi di Parigi possono essere considerati il proseguo del Protocollo di Kyoto ma come quest’ultimo, riuscire a riunire numerose governance, al di sotto di un’unica unità di intenti, su un tema difficile come quello della transizione ecologica, appare un’utopia. Soprattutto nel momento in cui, la potenza egemone occidentale, gli Stati Uniti d’America appaiono traballanti e poco inclini a entrambi i trattati.


Bisogna sottolineare che gli Accordi di Parigi furono firmati e ratificati in un contesto in cui l’opinione pubblica, aveva visto una nuova ondata di centralità dell’argomento, sulla scia di quella del 2005. L’artefice di questa nuova ondata è stata l’attivista per il clima Greta Thunberg, la quale nell’agosto del 2018, diede vita a una serie di proteste davanti al Parlamento svedese e la sua azione riuscì a sensibilizzare l’opinione pubblica sul riscaldamento globale tanto che, nel novembre dello stesso anno, oltre 17.000 studenti, in ben 24 paesi, parteciparono a scioperi per il clima e questa mobilitazione, fece guadagnare il premio Nobel per la pace nel 2019, alla Thunberg.


Nel dicembre 2019, l’Unione Europea ha messo a punto un pacchetto di iniziative strategiche voltea rendere climaticamente neutra l’Europa entro il 2050, con l’attuazione di strategie volte a un processo graduale di decarbonizzazione per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e a processi di tutela della biodiversità per salvaguardare la salute degli ecosistemi, denominato Green Deal. Il Green Deal europeo è un progetto onnicomprensivo perché il raggiungimento della neutralità carbonica, passa per una serie di politiche che investano i campi dell’agricoltura, dei trasporti, dei finanziamenti e sviluppo regionale, della ricerca e innovazione, degli oceani, dell’energia e ovviamente del clima. Il Green Deal europeo rappresenta tutti gli aspetti e i chiaroscuri del mondo green e della transizione ecologica perché rimane ancora un progetto nelle intenzioni e non propriamente nelle azioni.


Arrivati nel 2025, il mondo green non riesce ancora a trovare la sua dimensione, né politica e né sociale. Passi avanti in entrambi i casi, come abbiamo visto poc’anzi, sono stati realizzati e hanno portato anche a dei piccolissimi risultati che però, non possono essere ritenuti soddisfacenti rispetto a quelle che sono state e ancora lo sono, le premesse e gli impegni delineati dall’ordine internazionale.

 

Le posizioni di negazionismo e di scetticismo aumentano sempre di più soprattutto dopo l’elezione a presidente di Donald Trump, che fin dal 2012 è sempre stato ostile al tema del surriscaldamento globale, definendolo un tema inventato dai cinesi per il loro tornaconto personale, mirato a indebolire gli Stati Uniti d’America. La recente bufera sull’Unione Europea e la vicenda dei pagamenti segreti a gruppi ambientalisti per promuovere i piani dell’ex commissario Frans Timmermans sono un ulteriore deterrente per l’opinione pubblica internazionale e che rischia, di minare la consapevolezza e la credibilità del mondo green.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]