transizione ecologica
										Dagli studi dell’effetto serra al 
										Green Deal europeo
										
											
										di Emanuele 
											Molisso
											
											
											
											La transizione ecologica è diventata 
											uno degli argomenti principali nel 
											panorama geopolitico. Un tema che è 
											inevitabilmente polarizzato, tanto 
											da non riuscire a qualificare la 
											propria importanza e urgenza, agli 
											occhi dell’opinione pubblica 
											globale.
											
											
											
											Parlare di transizione ecologica, 
											non può prescindere dal parlare di 
											surriscaldamento globale e di 
											tecnologia verde. Questo accade 
											perché esiste un universo “green”, 
											il quale racchiude e unisce al di 
											sotto della sua sfera, una 
											multidisciplinarietà 
											imprescindibile. Dalla scienza della 
											terra alla politica, passando per la 
											storiografia e la filosofia, il 
											green ingloba in sé tutte le 
											conoscenze dell’uomo. Quest’articolo 
											ha lo scopo di realizzare una 
											cronistoria del mondo green, con il 
											punto di partenza fissato ai primi 
											anni dell’800, quando iniziarono a 
											essere effettuati i primi studi 
											dell’effetto serra, fino al Green 
											Deal europeo, il quale rappresenta 
											il tentativo di mettere in pratica a 
											livello globale, la 
											multidisciplinarietà che 
											caratterizza la transizione 
											ecologica.
											
											
											
											Nel 1820, il matematico e fisico 
											francese Joseph Fourier, postulò 
											l’effetto serra, dimostrando che 
											l’energia che giungeva sul pianeta 
											Terra, sottoforma di raggi solari, 
											non era bilanciata dall’energia che 
											tornava nello spazio, dopo aver 
											riscaldato la superficie terrestre 
											ma in realtà, dimostrò come una 
											quantità di questa energia solare 
											rimanesse nell’atmosfera terrestre, 
											non ritornando nello spazio e quindi 
											andando a surriscaldare la Terra.
											
											
											
											Negli anni’50 dello stesso secolo, 
											questa teoria fu ripresa dal lavoro 
											di Eunice Newton Foote, la quale 
											effettuò degli esperimenti con dei 
											cilindri di vetro, con i quali 
											dimostrò che l’effetto del 
											riscaldamento solare, era maggiore 
											nell’aria umida rispetto all’aria 
											secca, rivelando il più alto grado 
											di riscaldamento nel cilindro 
											contenente anidride carbonica. 
											Successivamente, negli anni ‘60, lo 
											scienziato irlandese John Tyndall 
											effettuò dei test di laboratorio sul 
											gas di carbone (CO2, metano, 
											idrocarburi volatili), il quale si 
											dimostrò particolarmente efficace 
											nell’assorbire energia. Gli 
											esperimenti di Tyndall dimostravano 
											una CO2 che agiva come una spugna e 
											riusciva ad assorbire completamente 
											le lunghezze d’onda della luna 
											solare.
											
											
											
											Nel 1895, il chimico svedese Svante 
											Arrherius lavorò sugli effetti che 
											la diminuzione dei livelli di CO2 
											nell’atmosfera, avrebbero avuto 
											sulla Terra e utilizzò i suoi studi 
											per spiegare le ere glaciali e 
											questo, portò i suoi calcoli a 
											dimostrare dell’abbassamento dei 
											livelli di CO2, a cui corrispondeva 
											una diminuzione delle temperature 
											globali di circa 5 gradi Celsius. 
											Paradossalmente, nonostante tutti 
											questi studi e i loro risultati, gli 
											anni ‘90 dell’800, videro il 
											concetto di surriscaldamento del 
											pianeta ancora considerato remoto e 
											poco benvenuto.
											
											
											
											La svolta la si è avuta, a partire 
											dagli anni ‘70 del secolo scorso, 
											nel momento in cui, al fine di 
											sensibilizzare i cittadini europei e 
											per cercare di armonizzare le 
											politiche degli Stati Membri, 
											l’Unione Europea diede la spinta 
											propulsiva all’adozione di norme e 
											strategie, per l’integrazione delle 
											politiche ambientali con quelle di 
											sviluppo economico e sociale, in 
											tutti i suoi settori d’intervento. 
											Da questo rinnovato clima di 
											interesse per la transizione 
											ecologica, iniziarono a essere 
											effettuati studi più approfonditi e 
											un esempio è il Rapporto Meadows, 
											stilato nel 1972.
											
											
											
											Il Rapporto Meadows definito anche 
											Rapporto sui limiti dello sviluppo, 
											fu commissionato al Massachusetts 
											Institute of Technology 
											dall’associazione non governativa, 
											Club di Roma. Lo studio fu 
											pubblicato da Donatella Meadows e 
											offrì un’analisi dei possibili 
											rischi ecologici determinati dalla 
											rapida crescita economica e 
											demografica mondiale. Basandosi 
											sulla simulazione al computer Word 
											3, il Rapporto ha mostrato come il 
											tasso continuo e inalterato della 
											crescita della popolazione, 
											dell’industrializzazione, 
											dell’inquinamento, della produzione 
											di cibo e dello sfruttamento delle 
											risorse, provocheranno un limite 
											dello sviluppo sul pianeta Terra, 
											entro cento anni. Le conclusioni del 
											Rapporto hanno avuto il merito di 
											aver incentivato l’uso delle fonti 
											energetiche rinnovabili o 
											alternative, rispetto alle risorse 
											fossili.
											
											
											
											Il Rapporto del ‘72 sarà la base su 
											cui, nel 1987, verrà redatto il 
											Rapporto Brundtland della 
											Commissione Mondiale sull’ambiente e 
											lo sviluppo. Questo rapporto 
											introdusse, per la prima volta, il 
											concetto di sviluppo sostenibile, 
											inteso come la necessità di un 
											cambiamento necessario nel modo di 
											sfruttare le risorse, nel tipo di 
											investimenti, nell’orientamento 
											dello sviluppo tecnologico e nei 
											cambianti istituzionali coerenti con 
											i bisogni futuri. Il Rapporto 
											Brundtland ha avuto il merito di 
											essere stato il precursore 
											dell’utilizzo di numerosi altri 
											termini, come a esempio economia 
											circolare e crescita verde, divenuti 
											degli accompagnatori inscindibili 
											del termine sviluppo sostenibile.
											
											
											
											Il Rapporto Brundtland anticipò 
											quella che fu l’estate più calda mai 
											registrata fino ad allora, quella 
											del 1988, che vide gli Stati Uniti 
											d’America essere il teatro di 
											siccità e incendi diffusi lungo 
											tutto il territorio. Ed è per questo 
											motivo, che il 1988, è considerato 
											un anno spartiacque per il tema del 
											riscaldamento globale, visto che in 
											generale le temperature globali 
											erano in aumento di anno in anno, ma 
											soprattutto, gli scienziati 
											iniziarono a lanciare l’allarme sul 
											cambiamento climatico e i media e il 
											pubblico, iniziarono a prestare 
											maggiore attenzione. Attenzione che 
											fu riportata da James Harrison, 
											scienziato della NASA, il quale 
											presentò al Congresso degli Stati 
											Uniti d’America nel giugno del 1988, 
											alcuni modelli e calcoli che 
											andavano a dimostrare l’ormai 
											imminente arrivo del riscaldamento 
											globale.
											
											
											
											Nel 1989 venne instituito il Gruppo 
											Intergovernativo di esperti sul 
											cambiamento climatico (IPCC) posto 
											al di sotto dell’egida delle Nazioni 
											Unite, con l’obiettivo di fornire 
											una visione scientifica del 
											cambiamento climatico e dei suoi 
											impatti politici ed economici. L’IPCC 
											rappresentò il primo passo verso 
											un’attenzione globale per la 
											transizione ecologica e aprì la 
											strada al primo accordo globale per 
											la riduzione dei gas a effetto 
											serra, il protocollo di Kyoto, 
											adottato nel 1997. 
											 
											
											
											Il protocollo chiedeva la riduzione 
											delle emissioni di sei gas serra in 
											quarantuno paesi, più l’Unione 
											Europea, al 52% rispetto ai livelli 
											del 1990, durante il periodo 
											2008-2012. Il trattato è entrato in 
											vigore il 16 febbraio 2005, dopo la 
											ratifica da parte della Russia. A 
											marzo 2013 gli Stati che hanno 
											aderito e ratificato il protocollo 
											sono 191, in aggiunta all’Unione 
											Europea ma nel marzo 2001, ci fu 
											l’uscita dal protocollo da parte 
											degli Stati Uniti d’America, il cui 
											presidente George W. Bush definì il 
											protocollo difettoso e dannoso per 
											l’economia degli Stati Uniti 
											d’America. Il 16 marzo 2007 è stato 
											celebrato l’anniversario del secondo 
											anno di adesione al protocollo di 
											Kyoto e con l’accordo di Doha, 
											l’estensione del protocollo è stata 
											prolungata dal 2012 al 2020, con 
											ulteriori obiettivi di taglio delle 
											emissioni serra. 
											 
											
											
											L’ultimo aggiornamento del 
											protocollo, lo si è avuto nel 2022, 
											quando 175 Paesi e un’organizzazione 
											di integrazione economica regionale 
											(EEC) hanno ratificato il protocollo 
											o hanno avviato le procedure per la 
											ratifica. Questi Paesi 
											contribuiscono per il 61,6% alle 
											emissioni globali di gas serra.
											
											
											
											Il fattore da evidenziare del 
											Protocollo di Kyoto è che 
											rappresentò il primo vero e concreto 
											tentativo di rendere globale, la 
											transizione ecologica, non più solo 
											da parte del mondo scientifico ma 
											divenne, un tema politico e sociale. 
											Nello stesso anno, nel 1997, l’IPCC 
											pubblicò il suo terzo rapporto sul 
											cambiamento climatico, in cui 
											affermò con toni drastici che il 
											riscaldamento globale stava 
											avanzando pericolosamente, con 
											impatti futuri altamente dannosi.
											
											
											
											
											Nel 2006, cinque anni dopo il terzo 
											rapporto dell’IPCC, l’ex 
											vicepresidente e candidato alla 
											presidenza statunitense Al Gore, 
											realizzò un film documentario dal 
											titolo “Una scomoda verità”, che gli 
											valse il premio Nobel per la pace 
											nel 2007. Egli realizzò una 
											testimonianza completa dei pericoli 
											del cambiamento climatico.
											
											
											
											Il film di Al Gore fu girato in un 
											periodo che aveva visto una forte 
											presenza del dibattito pubblico, dei 
											problemi del surriscaldamento 
											globale. Tra il 2005 e il 2006, nei 
											villaggi nebbiosi di Totnes, a 
											sud-ovest del Regno Unito e di 
											Kinsale, in Irlanda, presero vita i 
											primi movimenti a favore della 
											“transizione ecologica”, al suono 
											dello slogan “pensare globalmente, 
											agire localmente”. Questi piccoli 
											gruppi nacquero con l’intento di 
											preparare le comunità ad affrontare 
											la doppia sfida del riscaldamento 
											globale e del picco del petrolio ma 
											soprattutto, bisogna sottolineare 
											come saranno la base che ha ispirato 
											i movimenti sociali 
											dell’ambientalismo, tra cui Fridays 
											For Future.
											
											
											
											Un altro anno spartiacque, che ha 
											influenzato l’odierno dibattito 
											sulla transizione ecologica, è stato 
											il 2015. L’accordo di Parigi è un 
											trattato internazionale stipulato 
											tra gli Stati membri della 
											Convenzione delle Nazioni Unite sui 
											cambiamenti climatici (UNFCCC), 
											riguardo alla riduzione di emissione 
											di gas serra e alla finanza, 
											raggiunto il 12 dicembre 2015 e 
											riguardante il periodo a decorrere 
											dal 2020.Il contenuto dell’accordo è 
											stato negoziato dai rappresentanti 
											di 197 Stati alla XXI Conferenza 
											delle Parti dell’UNFCCC a Le Bourget, 
											vicino a Parigi, in Francia. 
											
											 
											
											
											Questi paesi si impegnavano a 
											fissare obiettivi per la riduzione 
											dei gas serra e a riferire i 
											progressi compiuti. Il punto 
											fondamentale dell’accordo era una 
											dichiarazione d’intenti, per 
											prevenire un aumento della 
											temperatura globale di 2 gradi C 
											(3,6 gradi F), considerato dagli 
											esperti come il limite critico che, 
											se superato, porterà all’aumento del 
											rischio di ondate di calore più 
											mortali, la siccità, tempeste e 
											l’innalzamento del livello globale 
											del mare. Nel novembre 2018, 195 
											membri dell’UNFCCC hanno firmato 
											l’accordo e 183 hanno deciso di 
											farne parte. Dei quattro Stati 
											membri che non hanno ancora 
											ratificato l’accordo, l’unica grande 
											fonte di emissioni è l’Iran. Gli 
											Stati Uniti d’America si sono 
											ritirati dall’accordo nel 2020, vi 
											sono tornati nel 2021, per poi 
											uscirne nuovamente nel 2025,con un 
											ordine esecutivo firmato dal 
											neoeletto presidente Donald Trump.
											
											
											
											Gli accordi di Parigi possono essere 
											considerati il proseguo del 
											Protocollo di Kyoto ma come 
											quest’ultimo, riuscire a riunire 
											numerose governance, al di sotto di 
											un’unica unità di intenti, su un 
											tema difficile come quello della 
											transizione ecologica, appare 
											un’utopia. Soprattutto nel momento 
											in cui, la potenza egemone 
											occidentale, gli Stati Uniti 
											d’America appaiono traballanti e 
											poco inclini a entrambi i trattati.
											
											
											
											Bisogna sottolineare che gli Accordi 
											di Parigi furono firmati e 
											ratificati in un contesto in cui 
											l’opinione pubblica, aveva visto una 
											nuova ondata di centralità 
											dell’argomento, sulla scia di quella 
											del 2005. L’artefice di questa nuova 
											ondata è stata l’attivista per il 
											clima Greta Thunberg, la quale 
											nell’agosto del 2018, diede vita a 
											una serie di proteste davanti al 
											Parlamento svedese e la sua azione 
											riuscì a sensibilizzare l’opinione 
											pubblica sul riscaldamento globale 
											tanto che, nel novembre dello stesso 
											anno, oltre 17.000 studenti, in ben 
											24 paesi, parteciparono a scioperi 
											per il clima e questa mobilitazione, 
											fece guadagnare il premio Nobel per 
											la pace nel 2019, alla Thunberg.
											
											
											
											Nel dicembre 2019, l’Unione Europea 
											ha messo a punto un pacchetto di 
											iniziative strategiche voltea 
											rendere climaticamente neutra 
											l’Europa entro il 2050, con 
											l’attuazione di strategie volte a un 
											processo graduale di 
											decarbonizzazione per ridurre le 
											emissioni di gas a effetto serra e a 
											processi di tutela della 
											biodiversità per salvaguardare la 
											salute degli ecosistemi, denominato 
											Green Deal. Il Green Deal europeo è 
											un progetto onnicomprensivo perché 
											il raggiungimento della neutralità 
											carbonica, passa per una serie di 
											politiche che investano i campi 
											dell’agricoltura, dei trasporti, dei 
											finanziamenti e sviluppo regionale, 
											della ricerca e innovazione, degli 
											oceani, dell’energia e ovviamente 
											del clima. Il Green Deal europeo 
											rappresenta tutti gli aspetti e i 
											chiaroscuri del mondo green e della 
											transizione ecologica perché rimane 
											ancora un progetto nelle intenzioni 
											e non propriamente nelle azioni.
											
											
											
											Arrivati nel 2025, il mondo green 
											non riesce ancora a trovare la sua 
											dimensione, né politica e né 
											sociale. Passi avanti in entrambi i 
											casi, come abbiamo visto poc’anzi, 
											sono stati realizzati e hanno 
											portato anche a dei piccolissimi 
											risultati che però, non possono 
											essere ritenuti soddisfacenti 
											rispetto a quelle che sono state e 
											ancora lo sono, le premesse e gli 
											impegni delineati dall’ordine 
											internazionale. 
											 
											
											
											Le posizioni di negazionismo e di 
											scetticismo aumentano sempre di più 
											soprattutto dopo l’elezione a 
											presidente di Donald Trump, che fin 
											dal 2012 è sempre stato ostile al 
											tema del surriscaldamento globale, 
											definendolo un tema inventato dai 
											cinesi per il loro tornaconto 
											personale, mirato a indebolire gli 
											Stati Uniti d’America. La recente 
											bufera sull’Unione Europea e la 
											vicenda dei pagamenti segreti a 
											gruppi ambientalisti per promuovere 
											i piani dell’ex commissario Frans 
											Timmermans sono un ulteriore 
											deterrente per l’opinione pubblica 
											internazionale e che rischia, di 
											minare la consapevolezza e la 
											credibilità del mondo green.