TINERET
SULLA COMUNITà MOLDAVA A ROMA
di Leila
Tavi
Nel cuore della periferia romana,
tra le strade della Cassia e della
Trionfale, si snoda la storia di
Andrei (Andrei Grigorita), giovane
moldavo protagonista del
documentario Tineret di
Nicolò Ballante, che esordisce con
il suo primo lungometraggio
indipendente. Il titolo, che in
moldavo significa
"giovinezza", racchiude in una sola
parola le speranze, le tensioni e le
contraddizioni di una generazione in
bilico tra radici e futuro, tra
senso di appartenenza e voglia di
emancipazione.
Andrei vive con la madre (Marika
Isciuc) e la sorella minore (Daniela
Grigorita), una ragazza di sedici
anni alla quale fa da padre. La
figura paterna è assente, come
spesso accade nelle famiglie
migranti in cui i ruoli si
ridefiniscono, le responsabilità si
distribuiscono in modo irregolare e
i carichi emotivi si sbilanciano. Le
sue giornate scorrono tra il lavoro
come groom in un maneggio, le corse
in auto, le serate con gli amici, i
tentativi di sfondare nel mondo
della musica rap. Una quotidianità
apparentemente semplice, ma
attraversata da una sottile tensione
sociale: quella di chi sogna un
futuro diverso, eppure si sente
prigioniero di un presente statico,
scandito da barriere economiche,
culturali e generazionali.
Il documentario, presentato e
premiato alla XVIII edizione del
Festival Internazionale della
Cinematografia Sociale
Tulipani di Seta Nera,
s’inserisce nel panorama del cinema
sociale italiano. La storia di
Andrei è quella di una giovane
generazione con le sue radici
culturali, trapiantata nella
capitale e in altre città italiane.
A Roma la presenza moldava è ben
radicata e in costante crescita.
Secondo i dati della guida online ai
Comuni, alle Province e alle
Regioni, Tuttitalia.it, aggiornati
al 1° gennaio 2024, nella Città
Metropolitana vivono quasi diecimila
cittadini moldavi, di cui oltre
seimila risiedono nel comune di
Roma. Numeri che, pur non collocando
questa comunità tra le più numerose
dell'Est Europa nella capitale, ne
confermano comunque un ruolo
rilevante nel tessuto urbano e
sociale della città. Su scala
nazionale, i moldavi registrati sono
più di 102.000, una cifra che
rappresenta circa il 2% di tutta la
popolazione straniera presente in
Italia. Molti di loro arrivano nel
nostro Paese con doppia cittadinanza
rumena, facilitando così
l’inserimento lavorativo,
soprattutto nei settori
dell’assistenza familiare,
dell’edilizia e della ristorazione.
Ma negli ultimi anni, la comunità si
è fatta spazio anche in ambiti meno
esplorati come quello culturale,
contribuendo con progetti, eventi e
produzioni artistiche alla vita
pubblica delle città in cui vive.
Roma, in particolare, è diventata un
punto di riferimento importante per
la comunità moldava in Italia: non
soltanto per motivi economici, ma
anche per le opportunità di
confronto culturale e per la
possibilità di costruire ponti tra
identità diverse, tra radici e
futuro. Molti moldavi, spesso con
doppia cittadinanza rumena,
approdano nel nostro Paese alla
ricerca di condizioni di vita
migliori, ma si trovano spesso a
confrontarsi con un sistema che
fatica a riconoscere e valorizzare
quelle identità ibride che nascono
dall’incontro tra culture, lingue e
vissuti differenti.
In Tineret Nicolò Ballante
evita qualsiasi retorica vittimista.
Lo sguardo è asciutto, partecipe ma
mai indulgente. Andrei è un giovane
uomo determinato, che affronta con
dignità e con responsabilità le
sfide che la vita gli presenta. Le
riprese restituiscono un'immagine
cruda e autentica delle periferie
romane, spazi urbani troppo spesso
stigmatizzati e ridotti a sfondo,
che qui diventano protagonisti.
L’intenzione del regista non è
quella di denunciare o di spiegare,
ma di osservare da vicino un
percorso di crescita e resistenza
individuale, senza aggiungere
sovrastrutture narrative o
estetiche. Nicolò Ballante sceglie
di restare accanto al suo
protagonista, che conosce bene,
infatti, dall’inizio del progetto
alla sua realizzazione sono passati
quattro anni in cui i due ragazzi si
sono frequentati, sono cresciuti
insieme.
La macchina da presa segue Andrei
nei suoi gesti quotidiani e nei suoi
silenzi, lasciando che sia la realtà
– con le sue frizioni, le sue
attese, le sue contraddizioni – a
parlare. “Quella paura di rimanere
ingabbiati in una situazione senza
via di uscita, un sogno che può
frantumarsi, la paura di non essere
abbastanza bravi” spiega il regista.
“È un film che cerca di osservare
una generazione cresciuta con la
trap, che prova in tutti i modi a
essere libera e lo fa attraverso la
musica, che a volte sembra l'unico
ascensore sociale e l'unica via per
potercela fare.
La musica, elemento centrale nel
documentario, è molto più di un
semplice sogno adolescenziale. È una
forma di espressione identitaria,
una strategia di resistenza, un modo
per rielaborare il vissuto e
immaginare un futuro alternativo.
Nei testi che Andrei scrive e canta
in moldavo, che presenta ai suoi
follower sui social, si sente l'eco
di un'appartenenza spezzata e il
desiderio di raccontare ciò che i
media mainstream non vedono: la
fatica di crescere senza punti di
riferimento, la difficoltà di uscire
da uno status di precarietà
esistenziale.
Il film apre così a una riflessione
più ampia sulla condizione giovanile
nella società multiculturale
italiana. I giovani cittadini di
seconda e terza generazione spesso
vivono in una terra di mezzo:
parlano perfettamente l'italiano,
frequentano le scuole italiane,
condividono gusti e riferimenti
culturali con i coetanei, ma
faticano a sentirsi pienamente
riconosciuti come parte del tessuto
nazionale. Una giovinezza sospesa,
che Nicolò Ballante sceglie con cura
per indicare un tempo di
trasformazione ma anche di
vulnerabilità.
Dal punto di vista formale,
Tineret
si distingue per una regia sobria ma
attenta ai dettagli. L'uso della
camera a mano restituisce un senso
di immediatezza, mentre la colonna
sonora – composta da brani originali
– accompagna il racconto senza
sovrastarlo. La scelta di alternare
scene di vita quotidiana a momenti
più intimi, come le confidenze tra
fratelli o le registrazioni musicali
notturne, permette allo spettatore
di entrare in sintonia con il
protagonista senza filtri.
Interessante è anche il modo in cui
il documentario affronta il tema
della virilità nelle nuove
generazioni migranti. Andrei è al
tempo stesso fragile e forte,
sensibile e determinato, lontano
dagli stereotipi tradizionali. In
lui si concentrano responsabilità
adulte e desideri adolescenziali,
paure e ambizioni. Il suo essere
"padre-fratello", è il simbolo di
una ridefinizione dei ruoli
familiari che attraversa molte
famiglie di migranti.
Dal punto di vista sociologico,
Tineret
s’inserisce in un filone recente di
documentari che interrogano la
realtà italiana attraverso la lente
delle migrazioni, mettendo in
discussione le narrazioni dominanti
e restituendo dignità a percorsi
esistenziali troppo spesso in ombra.
L'aspetto più riuscito di
Tineret
è proprio la sua capacità di
raccontare una storia specifica
rendendola universale. Lo spettatore
è portato a identificarsi con Andrei
non in quanto "straniero", ma in
quanto giovane alle prese con sogni,
ostacoli, scelte. Un messaggio
potente, soprattutto in un momento
storico in cui i discorsi
sull'identità rischiano di diventare
escludenti e divisivi.
Il documentario è disponibile
gratuitamente sul sito del Festival
Tulipani di Seta Nera
e su Rai Cinema Channel. Oltre ad
avere ottenuto il premio come
miglior documentario e miglior
montaggio questo mese a Tulipani
di Seta Nera, l’opera ha già
ottenuto numerosi riconoscimenti in
Italia e all’estero. Tra questi, l’AMC
Award per il miglior
montaggio al Festival dei Popoli
(2024), il premio come Miglior
Documentario al Los Angeles,
Italia – Film, Fashion and
Art Fest (2025), oltre ad aver
una menzione speciale al Rome
International Documentary Festival
(2024). A questi si aggiungono il
Premio Giovani e una menzione
speciale a Visioni Italiane
(2024), il titolo di Miglior
Documentario assegnato dalla giuria
del Centro Sperimentale di
Cinematografia allo Spello
International Short Film Festival
(2025).
Tineret
è un invito a guardare oltre le
etichette, a scoprire l'umanità
nascosta dietro le statistiche, a
comprendere che la giovinezza non è
solamente una fase della vita, ma
una condizione esistenziale che
chiede ascolto, spazio, futuro.