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N. 17 - Ottobre 2006

LE TIGRI DELLO SRI LANKA

Venti anni di guerriglia finiti del dimenticatoio

di Laura Novak

 

Nel 2002 nello Sri Lanka, dopo 20 lunghi anni di guerra, un accordo tra governo e ribelli separatisti di etnia tamil del nord del paese, sembrava riportare serenità in un paese in ginocchio sotto molti aspetti economici, politici e sociali.

Mediatore della tregua stipulata, la Norvegia.

Ma dove prende radici questo conflitto tanto sanguinoso, che durante questo periodo ha portato a 64 mila morti e almeno un milione di sfollati e emigranti?

La Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka (questo il nome ufficiale), conosciuta anche come Ceylon è da sempre definita la lacrima dell’India per la sua forma ma anche per il doppio filo che lega le storie dei due paesi.

I cingalesi, ad oggi il 75% della popolazione dello sri lanka, furono i primi a stanziarsi sull’isola  dalla vicina India. I tamil, invece, che rappresentano il 20% della popolazione odierna, vi arrivarono come coltivatori della pianta del the sotto spinta inglese che in quel momento occupava colonialmente l’India. I tamil occuparono da subito la parte nord-ovest della “lacrima”, e vi si stanziarono.

Come in ogni stato creato dalla concomitanza di stanziamenti di etnie diverse altamente eterogenee, la scintilla perché la convivenza pacifica si inclini diviene la religione.

Il popolo cingalese, da sempre di religione buddhista, non interagì fin da subito con quello tamil di religione indù. La crisi rimase sotterranea, invisibile. Per anni i due gruppi si scontrarono più volte su vari versantii, sforzandosi coattamente di convivere.

Quando, nel 1948, Ceylon diventò indipendente quello che era rimasto nascosto, esplose. I cingalesi andati al governo negli anni ’50 iniziarono una dura linea politica di stampo nazionalista. Decreti sancirono la lingua nazionale, quella cingalese, e la religione ufficiale, ovviamente il buddismo.

In questo particolare momento storico, la popolazione tamil aveva strettissime possibilità di opposizione.

Ma fu nel 1976 che il loro atteggiamento cambiò. Dopo che l’isola si proclamò Repubblica Democratica Socialista dello Sri lanka e il gruppo cingalese ramificò sempre di più nella politica con la sua tradizione culturale nazionalista, iniziarono a comporsi i primi gruppi clandestini per la liberazione dell’etnia tamil dalla mano opprimente dei cingalesi. Grandi restrizioni avevano portato, infatti, la popolazione di etnia tamil ad essere discriminata su molte questioni sociali, come la salute, la libertà di espressione e professione di fede.

Il movimento armato LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam) sotto la guida del leader e ideatore, Prabahkaran, nacque in quegli anni.

Con il passare del tempo la guerra diventa aperta. Una guerra dolorosa, che ha fin da subito connotati sanguinosi.

LTTE si propone dalla sua prima operazione ai suoi nemici e all’opinione pubblica, come un gruppo gerarchico militare, ben equipaggiato e ramificato, in grado di coprire anche grandi distanze.

L’atteggiamento del governo di Colombo, la capitale dello Sri Lanka, è stato sempre ambiguo. Dopo innumerevoli tentativi, non troppo convincenti, di trovare un via per il colloquio, la repressione divenne dura. Pulizia etnica. Nel nord del paese interi villaggi furono rasi al suolo, migliaia di sfollati presero la decisione di cercare rifugio politico presso la vicina India, dove la loro meta era sconsolatamente la stessa di tantissimi rifugiati politici nel mondo, centri di accoglienza mal organizzati e abbandonati dalle autorità competenti.

La strategia della controparte, delle tigri, non è stata certo meno violenta. Forti dei sostegni economici degli emigrati, i tamil scelsero consapevolmente il terrorismo; attacchi suicidi e attentati ad ogni genere di obiettivo (centri religiosi, politici, testate di quotidiani, aeroporti) furono messi in atto in quasi 20 anni.

Numerosi paesi del mondo, come Stati Uniti e Gran Bretagna, schedarono allora l’organizzazione come terrorista.

Ogni tentativo di innescare il meccanismo di tregua e cessate il fuoco è in quegli anni nullo.

Solo nel 2000 la situazione, bloccata da sempre, sembrò sciogliersi, anche se non del tutto. La Norvegia si prese l’onore del ruolo di mediatrice nel processo di colloquio di pace tra le due fazioni. Era un colloquio ancora tutto da definire e da inventare. Ma lentamente, dopo 2 anni, nel 2002, venne firmato uno storico cessate il fuoco, che tra momenti tesi e periodi di distensione, resse fino al gennaio 2005, anno dello tsunami.

Un anno prima uno dei capi fondatori del gruppo e comandante militare dell’organizzazione, il cosiddetto Karuna, era stato espulso dalle tigri, dopo un aspro confronto la figura storia del movimento, Prabhakaran. La divergenza nasceva da una spaccatura che si stava facendo spazio all’interno del gruppo e della popolazione tamil, tra gli abitanti del nord e gli abitanti delle zone orientali. Karuna insisteva per un maggior coinvolgimento di quest’ultima fazione nell’operato del gruppo. La non ammissione da parte di Prabhakaran di uno spostamento di incarichi e responsabilità e, quindi, di quell’ago della bilancia che da sempre teneva in equilibrio il gruppo, creò la scissione. Karuna venne allontanato nel marzo del 2004.

Quando, il 26 dicembre 2004, la sconvolgente onda anomala del maremoto trascinò via, insieme ad interi villaggi, auto, complessi turistici, zone residenziali di città ormai fantasma, migliaia di vite umane in gran parte dell’Asia Orientale(tra cui Sri Lanka, Indonesia, India, Isole delle Maldive, Thailandia), il disastro umanitario per le zone colpite fu incalcolabile. A tutt’oggi in gran parte dello Sri Lanka, colpito dal maremoto, si stanno raccogliendo e riallineando pezzi di esistenze distrutte.

In quel frangente, mentre una delle più grandi sciagure naturali mai abbattutasi sul nostro pianeta era appena avvenuta, lasciando dietro di sé il nulla, la tensione tra le tigri tamil e il governo aumentava notevolmente.

Le accuse che si rivolgevano era aberranti. I separatisti accusavano il governo di speculazione, di ottenere sovvenzionamenti ed aiuti internazionali per far fronte all’emergenza e di non utilizzare quel denaro per lo scopo a cui doveva essere destinato. Denunciavano, infatti, lo stato di abbandono in cui interi villaggi, nella distruzione totale di ogni genere di servizio primario, riversavano. La loro colpa era solo quella di essere abitati da gente di etnia tamil. Gli aiuti umanitari e i generi di prima necessità, inviati da tutto il mondo, sarebbero stati, secondo loro, deviati nelle zone cingalesi.

Da parte sua, invece, il governo di Colombo, accusava i guerriglieri di impedire agli aiuti di arrivare nelle zone sotto il loro controllo, per non subire influenze esterne nella gestione della crisi.

Secondo però quanto riportò all’epoca l’Associated Press, numerose testimonianze asserirono della grande capacità gestionale che l’organizzazione delle tigri aveva dimostrato in quel periodo così complesso. I guerriglieri avrebbero, secondo questi testimoni, organizzato squadre impegnate sin dal primo minuto nel coadiuvare la crisi; avrebbero gestito posti di blocco, luoghi per la donazione di sangue, accampamenti per il primo soccorso, pattugliamenti serrati per impedire episodi di sciacallaggio.

Nel 2005, crisi anche all’interno del gruppo si sono fatte sentire, e pesantemente.

Dopo omicidi mirati contro comandanti dell’LTTE e contro giornalisti eccellenti dichiaratamente schierati a favore della causa dei tamil, il rimpallo delle responsabilità è durato a lungo. Sembra tuttavia che, almeno per quello che riguarda l’uccisione di Koushalyan, capo politico dell’LTTE, la colpa sia da attribuire alla faida interna esistente ormai nel gruppo e all’ex combattente, Karuna, che con un seguito di 6000 uomini avrebbe creato un distaccamento di forze notevole.

Le elezioni presidenziali, avvenute nel novembre 2005, e la conseguente nomina del primo ministro, hanno suscitato poi forti dubbi sulla strada che lo Sri Lanka sembra star intraprendendo. Il presidente eletto, Rajapakse, e il nuovo primo ministro, Wickremanayake, entrambi con forti tendenze nazionaliste hanno da subito trovato strada bloccata nelle trattative di accordo con l’LTTE, che li considera fortemente di parte e a loro avversi.

Le offensive riprendono vigore e visibilità durante questo 2006. Tra attacchi navali durante il maggio scorso, in cui morirono 50 persone, e attentati kamikaze sequenziali in luglio, la situazione sta entrando ormai in una cancrena irreversibile.

L’emergenza umanitaria è ormai a livelli storici; oltre a migliaia di rifugiati politici (L’unhcr, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati li stima ad oggi intorno ai 230.000), la penisola di Jaffna è ormai isolata dal resto dell’isola per i continui scontri. Nella zona, infatti, l’acceso dei soccorsi e degli aiuti umanitari dell’Onu e dell’Unicef, è negato, le condizioni sanitarie sono pessime, interi campi e quindi coltivazioni distrutti, il numero delle vittime è ormai incalcolabile.

Niente sembra ormai poter riportare la situazione attuale in uno stato di pacifica convivenza. Sentimenti di odio razziale e rancore hanno condotto questo stato, da sempre occupato, colonizzato, sfruttato, stuprato da paesi potenti come Inghilterra e India, ad una divisione, ad una scissione interna insanabile.

La ferita che divide lo Sri Lanka è dovuta sì a una guerra di religione, ma anche all’abbandono in cui questo stato è stato lasciato. Nessun titolo, ma pochi comunicati stampa, qualche immagine sfuggevolmente lasciata andare in onda non possono né darci un’idea di questa tragedia di immense proporzioni, né, tanto meno, rendere giustizia ad una terra separata, recisa in due.

Senza identità nazionale, con la paura di professare il proprio culto, con la minaccia costante di azioni militari o di kamikaze che siano, la lacrima dell’India scompare lentamente, annientata dall’interno.

Quello che rimane è purtroppo, appunto, solo una lacrima.

 

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