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N. 11 - Novembre 2008 (XLII)

THOMAS MüNTZER
Il ribelle tedesco

di Cristiano Zepponi

 

Thomas, figlio di un artigiano benestante e di una contadina, nacque in un angolo di provincia feudale, a Stolberg nell’Harz, tra il 1489 ed il 1490. Nel 1506, compiuti gli studi preparatori, “Thomas Munczer de Quedliburck” s’immatricolò nella facoltà delle arti dell’università di Lipsia, prima di spostarsi (sei anni più tardi) all’università di Francoforte sull’Oder, dove conseguì la laurea in filosofia e teologia (“artium magister et sanctae Scripturae baccalaureus”).

Non fu mai un umanista: troppo attratto dalle problematiche sociali, troppo sensibile alle delicate ma secolari tensioni che negli anni della sua giovinezza giungevano ad esplodere, troppo affascinato – come ebbe a dire egli stesso – dall’idea di “essere vicino al suo popolo”, anche attraverso la scelta ecclesiastica.
Che fosse d’intelligenza acuta, e d’apprendimento veloce, è provato dalla sua preparazione in teologia (“venerabili magistro Thome, viro perdocto”, come lo definiva il rettore della scuola di Braunschweig) e filologia (“homo trilinguis”, per Agricola); ciononostante, scelse di evitare la carriera accademica.

Preferì allora proporsi prima come catechista in una scuola parrocchiale di Halle, poi come sacerdote ad Arschersleben, infine come predicatore – tra il ’16 ed il ’17 – nel convento di Frohse.

Poi, scelse di viaggiare. Vagabondò per gran parte della Germania centro-settentrionale, posando il suo sguardo attento su tutti i sommovimenti profondi che sconvolgevano la società tedesca del tempo: la persistenza della servitù della gleba, la scomparsa di quegli “usi collettivi” di boschi, prati e pascoli previsti dal diritto consuetudinario germanico, la proletarizzazione di larghe fette del bracciantato locale immigrato in città, il peso delle esazioni feudali ed ecclesiastiche. Scrisse nella mente parole sofferenti, che proprio allora presero a guidarne i comportamenti: “è la più grande atrocità sulla terra che nessuno si prenda cura di coloro che sono in distretta, sicchè i potenti fanno ciò che vogliono”.

Finalmente, nel gennaio del 1519 – un anno centrale per varie esistenze – giunse a Wittenberg, la cui fama andava crescendo rapidamente, anche fuori dai confini del mondo germanico; gruppi di studenti, affluiti da ogni contrada del nord Europa, era stata lì attratta dalle letture bibliche di Carlostadio, Melantone, e soprattutto Lutero.

Thomas aveva ventinove anni, quando cominciò a frequentare il gruppo del teologo di Eisleben. L’incontro lasciò tracce profonde sulla sua formazione, ed egli mostrò di condividere la denuncia delle deviazioni e delle corruzioni della Chiesa di Roma, da cui proprio allora si staccò definitivamente. Fu bollato addirittura come “luterano” nell’ambito di una disputa teologica fra Franz Günther, discepolo di Lutero e pastore a Juteborg, ed i francescani del luogo. Egli stesso, ancora nel 1521, si firmava “Emulus Martini apud domini”.

Subito dopo, però, decise di scomparire, proprio mentre le idee luterane cominciavano a divenire fenomeno di massa; dal maggio del 1519, per un anno esatto, si ritirò nel monastero di Beuditz in qualità di padre confessore.
Qui, potè studiare (“copiosum tempus studio meo superesse gaudeo”, scriveva allora) la patristica, Lutero, ed in particolare Taulero, e potè altresì riflettere in pace, da una posizione defilata, sull’evoluzione della situazione.

Nel maggio dell’anno successivo, dunque, il suo cammino lo portò a Zwickau, la città delle miniere e delle lane, della borghesia luterana e del proletariato in crescita. Prima nella chiesa di S.Maria, poi in quella di S.Caterina, potè variare il taglio prospettico ed alternare l’osservazione di quelle due categorie sociali, che per motivi diversi fremevano d’irrequietudine.
In questo periodo conobbe Nikolaus Storch, l'ex studente di Wittemberg Markus Stübner ed un terzo personaggio, identificabile come Thomas Drechsel oppure come Markus Thomä; i tre, denominati “Profeti di Zwickau”, influenzati dalle dottrine dei Fratelli Boemi con una decisa impronta millenaria - apocalittica, derivata dagli hussiti taboriti, predicavano l'imminenza dell'avvento della “Chiesa degli Eletti”, ricusavano lo studio della teologia e consideravano gli uomini istruiti come manipolatori della parola di Dio (per questo si dicevano convinti che fosse necessario rimanere totalmente ignoranti, persino delle prime lettere dell'alfabeto, da cui il loro altro nome di abecedariani); ed in questo periodo cominciò a scagliarsi contro i “ricchi notabili” – die reichen Hansen - della città, primo fra tutti il loro pastore – Egrano – che proprio Thomas aveva temporaneamente sostituito nella chiesa di S.Maria.

La rivolta del 1521, scatenata dalla folla che, uscita dalla chiesa, tentò di lapidare a morte uno sfortunato prelato di passaggio, era in effetti sensibilmente influenzata dalle sue prediche. Per questo, fu destituito dal consiglio cittadino (per aver provocato la “rottura della pace religiosa” e per “istigazione all’odio”); senza difendersi, prese la via per la Boemia, contrariamente ai suoi umili compagni d’insurrezione.

L’eco della sua venuta di sparse, tanto che i professori dell’università di Praga lo invitarono a predicare. Vi giunse a giugno.
Qui, secondo lui, doveva sorgere la “nuova vera chiesa” (Manifesto di Praga), ben lontana da quella elaborata a Wittenberg, che aveva nel frattempo imparato a disprezzare perché falsificava la parola di Dio, o da quella corrotta e mondana di Roma: “Non possono difendere la fede cristiana con una Bibbia che non sia stata messa in pratica, anche se cianciano tanto. Guai, guai a quegli infernali e asmodeici preti che seducono così palesemente il popolo [...] dicono gelidamente: chi ha creduto ed è stato battezzato è salvato. Questa e nessun'altra motivazione viene offerta agli avversari [...] Poiché il popolo ha tralasciato di curare l'elezione dei preti, è stato impossibile, prima dell'inizio di tale disinteresse, convocare un vero concilio. E in quelli che hanno avuto luogo, concilii e sinodi del diavolo, non si è trattato che di fanciullaggini: campanari, calici, paramenti, lampade e chierici. Sulla vera e vivente Parola di Dio non si è mai aperto bocca e non si è riflettuto”.
L’ appello all’insurrezione fallì, ma la sua influenza sopravvisse anche dopo la partenza, nel dicembre del ’21.

Errabondo com’era, secondo la tradizione dei chierici dell’epoca, non poteva che riprendere il cammino: Erfurt, la Turingia, Nordhausen costituirono brevi tappe. Curiosamente, il suo vagabondare lo portò sempre più lontano da Lutero, che considerava ormai distante anche da molti altri punti di vista. La “Fedele esortazione a tutti i cristiani a guardarsi dai tumulti e dalle rivolte” di Lutero, seguita ai fatti della Dieta di Worms, condannava ogni violenta sopraffazione dell’ordine costituito, che le autorità avrebbero dovuto far rispettare. “Martinus noster charissimus ignoranter agit”, scrisse allora a Melantone: Lutero non capiva, a suo parere, a quale razza di amicizie si stava legando: la definitiva rottura con il gruppo wittenberghese era giunta.

Dal settembre del ’22 al marzo del ’23 si mosse continuamente tra Sooden – dove dovette subire l’opposizione degli allarmati signori locali -, Weimar, Halle ed Allstedt, dove riuscì a farsi eleggere pastore.

Cambiò la liturgia, abolì la messa latina (“è mia ferma intenzione venire in aiuto della povera decaduta cristianità affinchè possa vedere, udire e comprendere che quei disperati e scellerati papisti le hanno rubato la sacra Scrittura”, affermava nella “Messa evangelica tedesca”), pubblicò tre scritti liturgici e due teologici, organizzò un’avanguardia di credenti – la “Lega degli eletti” – che in breve si mise in luce per un’azione armata contro la cappella mariana di Mallerbach ferocemente criticata da Lutero, il quale si scagliò per la prima volta contro il “satana di Allstedt”, cui non perdonava il concetto che l’uomo, per acquisire la fede, dovesse stabilire una diretta comunicazione con Dio, che dunque si rivela e parla nel presente, indipendentemente dalle Scritture.

Stavolta, comunque, Müntzer aveva tirato troppo la corda. Fu dunque messo alla prova dalle autorità sassoni, quando il 13 luglio, nella cappella del castello cittadino, pronunciò un sermone alla presenza del duca Giovanni e dell’esecutivo locale.
In quest’occasione il teologo fece mostra di tutto il realismo politico che possedeva in un momento in cui le fortune del movimento protestante sembravano in declino – sotto il peso dell’attacco congiunto del papa e dell’imperatore, e dopo il sostanziale successo della controffensiva cattolica nella dieta di Norimberga – appellandosi ai principi di evangelici di Sassonia, affinchè impedissero la carneficina che il partito cattolico s’apprestava ad avviare, e che le milizie cattoliche del duca Giorgio, in Turingia, avevano già causato: “Perciò voi, diletti governanti di Sassonia, schieratevi coraggiosamente con la pietra angolare [Cristo], come fece san Pietro, e cercate la giusta perseveranza che proviene dalla volontà divina”.

Non fu ascoltato; anzi, dovette difendersi con arguzia, per poi scoprire che il suo avversario l’aveva nel frattempo privato della “Lega”, delle prediche e della stamperia.
Fuggì, dunque. Nella notte tra il 7 e l’8 agosto lasciò la città e la moglie, Ottilie von Gersen, giovane ed incinta. Si rifugiò a Mühlhausen, “libera città imperiale”, 7000 abitanti.

Da un anno Mühlhausen si dibatteva in un violento spasmo sociale, egemonizzato dalla contrapposizione tra ceti popolari ed oligarchie locali. Müntzer vi giunse intorno alla metà del mese di agosto dell’anno 1524, e fu ben accolto dalla comunità, nonostante i continui interventi di Lutero.

Il suo soggiorno durò ancora meno del solito: l’appoggio fornito ad un interruzione popolare a settembre – come si vede, il teologo si era integrato subito – lo portò di nuovo alla partenza, per sfuggire alla reazione contro gli insorti.

Stavolta scelse Norimberga, ma preferì mantenere un profilo basso: “certo, avrei potuto giocare un bel tiro a quelli di Norimberga. Se avessi voluto avrei fatto la rivolta, come mi accusa il mondo mendace. Ma io voglio impaurire i miei avversari con le parole, in modo che non possano negarle. Molta gente del popolo mi pregò di predicare, e risposi che non ero venuto a tale scopo, ma per giustificarmi mediante la stampa”.
Pubblicò due scritti, se li fece confiscare, e ripartì.

Giunse dunque in Svizzera, dove incontrò Ecolampadio. “Parlammo molto della croce; ne parlava con tanta insistenza che non mi feci di lui nessuna cattiva impressione”, riferì poi il riformatore di Basilea.

Si diede ad organizzare un collegamento tra le singole, discontinue esperienze rivoluzionarie dei villaggi contadini una volta tornato a Mühlhausen, dove nel frattempo il potere era tornato nelle mani dei ceti popolari, successivamente uniti nel “Consiglio perpetuo”.
Esperimenti di collettivismo, una costituzione repubblicana, miglioramenti difensivi costituirono i primi passi dell’ “esperimento di Mühlhausen”. La città divenne un rifugio per gli oppressi, un’alternativa praticabile, una sfida al modello feudale imperante; ma covava al tempo stesso, dentro di sé, le ragioni della sconfitta.

I ceti borghesi rappresentati da Pfeiffer, momentaneamente alleati delle forze popolari, si consideravano già soddisfatti per la sconfitta dell’opprimente oligarchia cittadina, e non mostravano alcuna volontà di mettere a repentaglio i successi già conseguiti: si potrebbe dire che avevano abbracciato, con quattrocento anni d’anticipo, la dottrina del “socialismo in un solo Paese”.
Müntzer e i suoi, al contrario, erano convinti che il modello di Mühlhausen fosse esportabile, e vincente.

Il moto contadino dilagò per tutta la Turingia, nella primavera del 1525: Frankenhausen, Sondershausen, Sangerhausen, Nordhausen, Stolberg, Schwarzburg. Ovunque si registravano distruzioni di conventi, attacchi alle proprietà dei signori, rivolte più o meno violente, di fronte alle quali lo stesso Lutero si dimostrava impotente: “il Dottor Lutero […] non è in grado di arrestare la rivolta, le bande dilagano […] cosa accadrà lo sa solo Dio”,scriveva allarmato Zeiss.


Il lavoro del teologo si fece massacrante: organizzava, istruiva, dirigeva le operazioni militari di un movimento che assumeva connotati sempre più netti: “Nelle schiere contadine vigeva l’unione cristiana. Chi giurava sugli statuti doveva obbedire alle leggi ma allo stesso tempo – indipendentemente dalla posizione sociale precedente – aveva lo stesso diritto: sia di partecipare all’elezione e destituzione dei comandanti e capisquadra, sia di decisione su problemi essenziali della rivolata, come la strategia, l’ammissione di aristocratici e nobili nelle schiere, la direzione di marcia…E come all’interno delle schiere il potere procedeva dal popolo, così all’esterno esso era del tutto al suo servizio. In nessun caso la guerra si volse contro la “povera gente”. Il vettovagliamento delle schiere aveva luogo a spese dei conventi e della nobiltà. Le schiere assunsero la difesa armata dei villaggi minacciati dalla nobiltà. Tutto questo univa strettamente il popolo alle schiere. In tal modo la costituzione della futura società sognata da Müntzer fu anticipata durante la guerra dei contadini all’interno delle schiere”, chiarì Bensing.

La controffensiva dei principi scattò non appena si chiarirono gli obiettivi della rivolta, che appariva inizialmente come una battaglia spirituale, e poco più.
Una volta compreso che i principi stessi ne costituivano invece il bersaglio principale, la nobiltà si mosse compatta, e sorretta dal placet luterano espresso nel libretto “Contro le bande dei contadini che assassinano e rubano”.

La restaurazione scattò prima in Assia e nell’Harz, dove più forte era il moto rivoluzionario: il langravio Filippo, dopo aver espugnato Hersfeld, Fulda, Gaise, Berka, Salza e Sonderhausen, mosse contro Frankenhausen accompagnato da 2000 cavalieri e 5000 fanti ben addestrati. Il duca Giorgio giunse invece da Lipsia, alla testa di un modesto contingente.

Il 14 maggio, per la prima volta, i rivoltosi contadini si scontrarono con l’armata dei principi, riportando un successo tattico. Ma la mattina seguente, il 15 di maggio del 1525, le formazioni corazzate si schierarono nella piana di Frankenhausen, di fronte agli 8000 contadini che presidiavano da giorni la zona.

“Noi confessiamo Gesù Cristo. Non siamo qui per fare [male] a qualcuno (Giovanni 2) ma per confermare la giustizia divina. Non siamo qui neanche per spargere sangue. Se anche voi volete questo non vi faremo nulla. Che ognuno si attenga a questo” comunicarono i contadini.

I principi erano venuti invece per spargere sangue, e non tentarono nemmeno di parlamentare, ben consapevoli della netta superiorità militare delle loro armature, delle loro esperienze belliche, del loro disciplinato addestramento, della loro artiglieria. Opposero perciò un deciso rifiuto, affermando al contempo di voler “estirpare” i corrotti insegnamenti del teologo, in linea con le direttive luterane; promisero, inoltre, l’amnistia in caso di consegna del “falso profeta” che l’ispirava.

I contadini si trovavano in condizioni d’inferiorità numerica e tattica, non disponevano di cavalleria né di artiglieria, ma si strinsero nel flebile cerchio di carri che avevano trasportato fino alla cima della collina, e rifiutarono. Si disse poi che Müntzer aveva pronunciato un'epica arringa, promettendo di catturare le palle di cannoni con il proprio mantello e garantendo l'incolumità dalle pallottole per i propri seguaci.

Comunque sia, nonostante la paura attanagliasse le membra alla vista della disciplinata avanzata nemica, i rivoltosi si batterono con onore, anche dopo essere stati aggirati dai reggimenti a cavallo dei principi. Cinquemila contadini persero la vita lì, altri mille furono raggiunti e trucidati in città. La battaglia di Frankenhausen si concluse così, e costituì il sipario di quell’esperienza inebriante di rivolta all’autorità.

Müntzer, per sua sfortuna, sopravvisse alla battaglia, ma fu riconosciuto in città da un mercenario che, casualmente, era stato attratto dal sacco della corrispondenza che il teologo portava con sé.
Fu consegnato al conte Ernesto di Mansfeld, trasportato a Heldrungen, interrogato e torturato.

Trovò però la forza di appellarsi ai cittadini di Mühlhausen, rimasti soli nella lotta, per ammonirli a deporre le armi, nonostante la validità delle scelte compiute. Fu ascoltato, e la città si arrese senza resistere il 25 maggio.
La sua testa cadde, insieme a quella di Pfeiffer, il 27 di maggio dell’anno 1525.

Si disse che aveva ritrattato, di fronte alla morte, che aveva confessato, che si era persino dimenticato i versi del credo Niceno. Ma denigrare la sua persona doveva rasserenare gli animi nobiliari, ancora scossi da quel fremito di paura che la rivolta contadina aveva generato. Lo si definì “falso profeta”, “sanguinario e scellerato”, “bugiardo”, “sedizioso”, “facinoroso”, “proto-comunista”; lo si volle rimuovere dalle coscienze cattoliche e protestanti, divise su tutto, ma unite dalla volontà di fornire un’immagine brutale, paurosa e demoniaca del “rivoluzionario plebeo” e della “rivoluzione dell’uomo comune”, che si era consumata - sfuggevole ed intensa - tra le dolci colline tedesche. “Chiunque abbia visto Müntzer può dire di aver visto il diavolo incarnato nella sua furia più feroce”, scrisse Lutero.
Le sue idee continuavano a far paura.

Solo secoli dopo qualcuno si prese briga di rileggere il percorso umano di Thomas Müntzer; dopo la guerra, la Germania est piazzò il suo volto sulle banconote da cinque marchi, tentando d’accaparrarsi un patrimonio sterminato che appartiene alla storia - ed in special modo alla sua Germania, che con lui imboccò una lunga strada costellata di moti repressi, e rivoluzioni sconfitte.

“L’intero popolo deve avere il potere della spada…I principi non sono i signori ma i servitori della spada; essi non devono fare ciò che gli aggrada, ma ciò che è giusto. Perciò bisogna che il popolo sia presente quando si giudica secondo la legge di Dio […] Qualora le autorità intendessero pervertire il giudizio, allora i cristiani che le stanno intorno devono impedirlo e non tollerarlo, poiché si dovrà rendere conto a Dio del sangue innocente”.
Parole come sassi. Parole di rivolta.



 

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