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N. 46 - Ottobre 2011 (LXXVII)

Quando Teddy cambiò l’America
Il corollario alla dottrina Monroe

di Giovanni De Notaris

 

Theodore Roosevelt è stato il ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Assunse l’incarico nel 1901 – in seguito all’assassinio del presidente William Mckinley, di cui era il vice – per concluderlo trionfalmente nel 1908. Roosevelt era all’epoca quasi un eroe nazionale: si era fatto un nome nella “splendida piccola guerra” contro la Spagna per Cuba nel 1898; ma già prima era stato vice segretario alla Marina, poi governatore dello stato di New York; fu inoltre il primo presidente progressista della storia americana.

Giunto alla presidenza diede subito una decisa scossa alla politica americana, in particolar modo a quella estera, cambiandone per sempre gli intenti e le potenzialità. Riteneva che il presidente potesse fare tutto ciò che non fosse proibito dalla costituzione per esercitare al meglio i poteri presidenziali, sia in politica estera sia in quella interna. Traeva ispirazione dall’idea progressista di tutela della società che implicava che il governo usasse tutte le sue risorse, e quindi anche i poteri del presidente, per rendere più florido il paese. Compito del presidente era quello di essere il motore del sistema, il leader della nazione e del popolo. Estese come nessun altro prima di lui le prerogative del potere presidenziale, non certo per limitare il potere del Congresso, ma perché interpretava la figura del presidente come un legislatore.

In anticipo sui tempi poi, fu la sua visione sull’importanza dei media. Spinse fortemente sulla libertà di stampa ritenendo che i giornalisti dovessero fare il loro mestiere senza alcuna limitazione. Era giusto che facessero inchieste per denunciare gli illeciti commessi nella società; la stampa doveva avere inoltre il compito di stimolare l’azione del governo.

In particolare però Roosevelt viene ricordato per il suo famoso corollario – enunciato nel 1904 – alla dottrina del presidente James Monroe, punto di non ritorno nella politica estera americana.

La dottrina Monroe, enunciata nel 1823, tentava ambiziosamente di porre termine alla presenza europea nell’emisfero americano; in pratica gli Stati Uniti non si sarebbero intromessi nelle questioni europee, ma a loro volta anche gli stati europei venivano fortemente diffidati dall’interferire con le questioni dell’emisfero americano.

Oltre a questo il corollario Roosevelt giustificava pure l’intervento statunitense nel proprio emisfero, perché se gli Stati Uniti fossero stati circondati da paesi politicamente destabilizzati ne sarebbero stati a loro volta sopraffatti.

Difatti nel corollario compare per la prima volta il concetto di “polizia internazionale”, concetto totalmente nuovo per la politica estera americana. Roosevelt con questa affermazione intendeva proprio assicurarsi che nei paesi confinanti con gli Stati Uniti vi fossero dei governi capaci di portare stabilità; la funzione del suo paese doveva essere quella di tutore dell’ordine pubblico emisferico. D’altra parte solo gli Stati Uniti potevano assumersi tale responsabilità, perché possedevano – a suo parere – una tradizione di valori superiori agli altri paesi. Soltanto però se il presidente avesse saputo tutelare questi stessi valori in casa propria allora essi sarebbero stati validi anche nel resto del mondo; il comportamento in politica estera, insomma, non poteva essere diverso da quello in politica interna.

Nutriva la speranza che se il mondo avesse conosciuto i valori americani non sarebbe stato necessario esportarli o imporli con la forza, perché gli altri popoli ne sarebbero rimasti affascinati e avrebbero desiderato spontaneamente raggiungerli. Doveva essere quindi un’accettazione spontanea, perché secondo lui non era saggio manipolare con la forza l’evoluzione politica delle altre nazioni; quello che sarebbe stato poi il concetto del nation-building. Questo metodo poteva comportare gravi rischi sia perché avrebbe richiesto una lunga permanenza americana nel paese da riformare, sia perché poteva essere inteso come un tentativo di colonizzazione creando ovviamente forti dissensi interni.

Bisognava agire prima di tutto usando il prestigio e l’influenza politica più che il potere militare. Il compito del presidente era di usare il suo potere per imporre l’ordine e la stabilità. L’America aveva il dovere – se si fosse presentata la necessità – di condizionare la politica globale per mettere gli altri stati nelle condizioni di migliorare la vita dei loro popoli, aiutandoli a costruire istituzioni liberali e rafforzando la società civile; la politica estera era da considerarsi parte integrante del concetto di sicurezza nazionale. Dal corollario traspare quindi un volontà non tanto di intervenire in altri contesti per diffondere il concetto di democrazia, ma più che altro per portare stabilità a tutela dell’interesse nazionale.

Il corollario renderà ovviamente più radicata la tradizionale interferenza degli Stati Uniti nelle altre due Americhe e, da Woodrow Wilson in poi, anche nel resto del mondo. Nei paesi del centro e del sud-America Wilson stesso rafforzò la tradizione di proporre dei leaders che fossero graditi agli Stati Uniti. Anche la League of Nations da lui teorizzata durante la prima guerra mondiale doveva avere la finalità di diffondere i principi americani nel mondo; per lui questi principi non appartenevano solo al suo paese ma a tutta l’umanità. La Dichiarazione di indipendenza americana doveva essere un faro per tutti, ovunque nel mondo. Se da un lato quindi egli estese il principio di interferenza varato da Roosevelt dal loro emisfero al mondo intero, dall’altro come il suo predecessore non voleva però imporre nulla con la forza, ma lasciare che le altre nazioni giungessero spontaneamente a quei principi.

Gli echi del corollario si fecero sentire anche durante la seconda guerra mondiale. Come noto difatti mentre in un primo momento tutte le correnti politiche si erano mostrate contrarie a ogni forma di intervento nel conflitto europeo, col precipitare degli eventi il movimento progressista – che proseguiva la tradizione del Progressive party creato da Theodore nelle elezioni 1912 – fu tra i primi a proporre un intervento. Nonostante infatti l’Europa non fosse da considerarsi la sfera d’azione diretta del corollario, i progressisti però notarono che lasciare a se stessi il destino di quei popoli significava abbandonarli nelle mani dei dittatori. E questo andava contro il principio fondante del corollario: e cioè gli Stati Uniti dovevano intervenire – in origine solo nel loro emisfero – se gli altri popoli non fossero stati da soli capaci di addivenire a forme di governo più stabili e libere, perché questo poteva danneggiare anche l’America stessa. Proposero quindi di allargare questo concetto all’Europa perché compresero, come il presidente Franklin D. Roosevelt, che se non avessero fermato la barbarie nazista, prima o poi ne sarebbero stati contagiati anche loro. Lo stesso Theodore in passato aveva intuito che se si fosse affermata una potenza egemone in Europa, essa avrebbe potuto danneggiare gli Stati Uniti nel loro stesso emisfero.

Ma fu in realtà con Harry Truman che, nel dopoguerra, si realizzò la nuova idea di tutela dell’Europa. Il presidente consolidò il nuovo raggio d’azione del corollario, dato oramai per scontato e necessario il coinvolgimento americano negli affari europei; e cioè gli Stati Uniti ora non solo non consentivano interferenze nel raggio d’azione che dal loro emisfero si estendeva anche all’Europa, ma ritenevano loro diritto interferire attivamente anche in quei nuovi contesti. Già Theodore Roosevelt quando mediò nel conflitto tra Russia e Giappone nel 1904, aveva compreso che bisognava porre un freno all’espansione russa perché questo avrebbe potuto collidere con gli interessi americani. Allo stesso tempo comprese però anche il ruolo di equilibrio e di potenza che la Russia esercitava in Asia, e che era necessario guidare con la diplomazia l’evoluzione della situazione geopolitica in quella zona senza inimicarsi il gigante asiatico.

Sarà solo con Richard Nixon però che avverrà la necessaria apertura all’Unione Sovietica. Anche lui infatti comprendeva che la collaborazione con la Russia era necessaria per stabilizzare quell’area. Praticamente il concetto di “polizia internazionale”, cioè la forma di intervento diretto negli affari degli altri stati – varato da Roosevelt e riaffermatosi con la guerra fredda – apparentemente sembrava concludersi. Nixon infatti dopo il pantano vietnamita si rese conto che il paese non poteva più sostenere, economicamente e militarmente, un dispiegamento di forze e una funzione di controllo totale in vari luoghi. Le aree di intervento erano diventate oramai troppe per poterle gestire direttamente.

Una più rigida attuazione dei principi del corollario la si ritroverà dopo molti anni, durante la presidenza di George W. Bush. Difatti in seguito al noto attacco alla nazione del settembre 2001 la linea politica dell’amministrazione fu quella di riprendere ad agire direttamente e con più forza in aree destabilizzate politicamente per portare anche lì i valori di libertà e democrazia, perché come Roosevelt si riteneva che la sopravvivenza della libertà in America dipendesse dal successo della libertà anche in altri luoghi.

Ma Bush andò oltre varando la dottrina della guerra preventiva che, a differenza del corollario Roosevelt, prevedeva un intervento – preventivo appunto – in altri paesi per stabilizzarli, e non seguente a eventuali danni ai valori e agli interessi degli Stati Uniti. In pratica: colpire prima qualcuno che si è convinti possa colpirti. Bush quindi dava per scontata quella che per Roosevelt era soltanto un’eventualità, e cioè che ci fossero degli stati deboli incapaci di mantenere la stabilità politica e l’ordine pubblico; bisognava quindi imporre loro valori democratici preventivamente.

In realtà Bush non aveva compreso appieno l’ideologia di Roosevelt: un’imposizione dei valori americani a paesi stranieri - estranei a quella cultura - avrebbe potuto svalutarli significativamente. Una permanenza troppo prolungata e un uso estremo della forza in un contesto straniero avrebbe difatti trasformato il governo americano spingendolo a comportarsi in maniera meno democratica anche in casa propria.

Guantanamo docet.



 

 

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