[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

182 / FEBBRAIO 2023 (CCXIII)


contemporanea

TEORIE RAZZISTE
LE IDEE ELABORATE DALL’AMERICANO LOTHROP STODDARD / PARTE I

di Riccardo Citterio

 

Per tutto l’Ottocento con le teorie di Joseph-Arthur Gobineau, di Robert Knox e con l’eugenetica teorizzata dal cugino di Charles Darwin, Francis Galton, si era ribadita la superiorità della razza bianca su tutte le altre razze umane e pertanto si erano sviluppati studi che volevano dimostrarne l’eccellenza; per provarla furono usati studi sull’anatomia, sulla filosofia, sulla biologia e sulla storia.

 

Questi intellettuali affermarono che i bianchi avevano conquistato il mondo in meno di un secolo grazie alla loro forza e superiorità sia fisica, sia culturale che morale. Queste tesi però vennero stravolte dall’avvento della Prima Guerra mondiale: essa infatti scardinò la sicurezza sulla invincibilità e razionalità della razza cosiddetta superiore, mostrando a tutto il mondo le sue debolezze. Alcuni autori capirono che questo immane conflitto sarebbe stato una svolta per le teorie razziste e che queste ultime non dovevano più esaltare la potenza dei bianchi, ma trovare un modo perché quest’ultima sopravvivesse e ritornasse in auge.

 

Lo zoologo americano Madison Grant scrisse nel suo testo The passing of the great race, datato 1916: «(…) La salvezza dell’umanità risiederà quindi nella possibilità di sopravvivenza di alcuni sani barbari che potrebbero conservare la verità base che l’ineguaglianza e non l’uguaglianza sia la legge base della natura».

 

Grant faceva riferimento alla razza bianca che negli ultimi anni stava perdendo il dominio

del mondo a favore delle razze non bianche considerate appunto inferiori e quindi non degne di pari diritti. Fu questo un punto importante perché, anche se politicamente l’avanzata dei diritti delle popolazioni nere fu fermata, nella cultura e nella mentalità di molti intellettuali bianchi si venne a realizzare che la supremazia della loro razza si stava sgretolando e che doveva essere salvata.

 

Ne è un esempio lo storico americano Lothrop Stoddard che nel suo libro The rising tide of color. The Threat Against White World-Supremacy, opera del 1920, descrisse perfettamente la paura e i doveri che la razza bianca aveva nel periodo dopo la Prima Guerra mondiale. In questo testo Stoddard analizzò in maniera “scientifica” il problema della riscossa delle razze cosiddette “colorate” contro l’uomo bianco. Va ricordato che quest’autore americano era un intellettuale legato al famigerato Ku Klux Klan, quindi la sua formazione era profondamente razzista, ma alcune sue dichiarazioni risultano interessanti per mostrare i timori e lo sgomento di una società bianca che aveva paura dell’ondata delle popolazioni fin a quel momento considerate inferiori.

 

Stoddard analizzò la pericolosità delle stirpi non bianche e non cristiane che si era sviluppata anche prima della Grande Guerra. Il fatto che scatenò l’inizio del reflusso della potenza mondiale bianca fu la guerra russo-giapponese del 1904. Con questo conflitto il paese del Sol Levante aveva fatto vedere al mondo che esisteva una potenza non bianca che poteva avere la forza militare ed economica per partecipare alla spartizione del mondo. Il Giappone per Stoddard era il più grande pericolo perché la sua forza di espansione e la sua capacità militare stavano mettendo in serio pericolo l’ordine mondiale istituito dalla comunità bianca. La vittoria giapponese sull’impero zarista avrebbe causato molto clamore soprattutto nel mondo coloniale, provocando non tanto delle rivolte, ma un risveglio culturale che avrebbe portato molti intellettuali neri a teorizzare un modo per scardinare il dominio coloniale occidentale.

 

A dar man forte a queste teorie fu soprattutto la guerra italo-turca. Stoddard accusò l’impresa italiana della guerra di Libia di essere una pericolosa crociata contro un mondo musulmano che non aveva espresso da anni un movimento unito. La paura che questa guerra potesse avere delle gravi ripercussioni in tutto il mondo fece preoccupare gli inglesi che in India avevano milioni di sudditi musulmani che avrebbero potuto rispondere alla chiamata del sultano ottomano. Ad aggravare la situazione l’anno dopo, nel 1912, fu l’attacco della Grecia e della Serbia contro l’impero ottomano che provocò ancor più sgomento nel mondo musulmano.

 

Stoddard citò nel suo libro un autore indiano musulmano che incitava i suoi confratelli a dimenticare l’ostilità che c’era nei confronti dell’impero ottomano e a unirsi alla lotta contro il nemico crociato. Il fatto più sconcertante però per l’autore americano era l’appello che questo indiano di religione musulmana rivolgeva ai suoi storici nemici indù, prima considerati degli idolatri e quindi dei miscredenti: li incitava a combattere contro l’Occidente e soprattutto contro i valori che esso rappresentava, cercando di coinvolgerli in una alleanza che avrebbe riunito anche altri popoli orientali sottomessi al potere dei bianchi.

 

Il titolo di questo messaggio era per l’appunto “The Message of the East” perché voleva coinvolgere l’intero Oriente contro l’Occidente. Stoddard non citò solo quest’autore, ma anche l’intellettuale egiziano Yahya Siddyk che considerava il contatto tra Oriente e Occidente sia positivo che negativo. Nel primo caso l’Occidente aveva portato novità intellettuali e materiali all’Oriente, ma nel secondo aveva condannato l’Est a una decadenza morale e politica. L’autore egiziano auspicava quindi che il mondo orientale, non solo musulmano, che aveva espresso negli ultimi anni una grande vitalità, si unisse contro il comune nemico per ottenere la libertà.

 

La Conferenza di pace di Versailles di certo non aiutò a raffreddare gli animi di questi colonizzati. Stoddard infatti citò uno studioso orientalista italiano, Leone Caetani, duca di Sermoneta, che nella primavera del 1919 affermava: «Un terremoto ha scosso nelle sue fondamenta la civiltà insurrezioni in Algeria, il malcontento a Tripoli, i tentativi nazionalisti in Egitto, Arabia e in Libia, sono tutte manifestazioni diverse dello stesso profondo sentimento e hanno come oggetto la ribellione del mondo Orientale contro la civiltà Europea».

 

La paura e il timore permeano il libro di Stoddard. Egli infatti nel suo testo continuò a sciorinare i numeri delle popolazioni cosiddette “colorate” con enorme preoccupazione, avendo constatato che tali popoli negli ultimi anni stavano numericamente avanzando inesorabilmente: stabilì che i Cinesi all’epoca fossero circa 400 milioni, i Giapponesi 60 milioni, i Coreani 16 milioni, 450 milioni di cosiddetti marroni (arabi) dislocati tra il nord Africa, il medio oriente e l’Asia e infine 150 milioni di neri per la maggior parte dislocati in Africa, mentre circa 25 milioni nel nuovo mondo. Alla fine l’autore americano calcola che la popolazione mondiale colorata fosse da stimare in 1.550.000.000 di persone contro solo 550.000.000 di bianchi.

 

Questi numeri sono significativi perché rilevano un fatto per l’epoca molto importante. Dopo la guerra i paesi occidentali calcolarono le perdite di uomini validi al fronte e rimasero sconcertati dalla quantità di morti che i campi di battaglia europei aveva prodotto: il numero totale fu di circa 10.050.600, un numero enorme che doveva essere poi integrato con quello ancora più alto dei feriti, circa 20.352.907. Era vero che anche le colonie e quindi i paesi abitati da genti colorate avevano partecipato alla guerra europea con migliaia di uomini, ma le più grandi perdite furono subite dalla razza cosiddetta superiore. Fu infatti quest’ultima che per una sua volontà di conquista e di potenza volle iniziare quella guerra che Stoddard definì fratricida.

 

Egli paragonò la Grande Guerra allo scontro che frappose Atene e Sparta nel V secolo a.C. e che portò le due grandi città greche alla decadenza sia economica che culturale e che causò la fine del mondo greco-classico, per far assurgere un nuovo popolo a potenza del mondo: i Romani.

 

Questa è una delle più grandi paure che si possono intuire tra le pagine di Stoddard: la perdita da parte del mondo occidentale bianco del primato economico, culturale e infine la cosa peggiore di tutte per un intellettuale razzista, la sostituzione etnica. Quest’ultima paura costituì il motore principale delle nazioni come Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa e per certi versi anche gli USA, nel rifiutare la proposta giapponese di criminalizzare il razzismo. I primi tre paesi erano formati da immigrati bianchi che avevano sottomesso le popolazioni indigene al loro giogo con delle politiche estremamente segregazioniste.

 

Il caso del Sud Africa fu esemplare, perché nonostante combattesse sotto il comando dell’Inghilterra, durante la prima guerra mondiale non voleva assolutamente rinunciare alle proprie mire espansionistiche sulle colonie tedesche, perché i politici sudafricani avevano l’intenzione di accaparrarsi quelle terre per poterle distribuire ai coloni boeri. Questi afrikaner temevano appunto un’ondata demografica indigena che unita alla debolezza post bellum dell’impero inglese avrebbe causato degli sconvolgimenti sociali che avrebbero potuto spazzare via il vecchio ordine sudafricano. Essi infatti dopo la fine del conflitto limitarono con delle leggi speciali la possibilità dei contadini neri di acquistare nuove terre, così facendo lo stato sudafricano tutelava la proprietà dei bianchi e limitava l’espansione economico sociale degli indigeni.

 

Gli USA invece temevano che la propria popolazione nera potesse chiedere la cessazione del regime segregazionista che era d’uso negli stati del sud del paese. Questo avrebbe provocato delle enormi proteste e un indebolimento della base elettorale del Presidente Wilson, che era un esponente del partito democratico, la corrente politica che in quegli anni incarnava i valori degli ex stati secessionisti. Il Presidente aveva però promesso, durante la campagna elettorale per la sua rielezione, miglioramenti civili per la comunità nera americana, che notoriamente in quegli anni appoggiava invece i suoi avversari del partito repubblicano. Il Presidente fu rieletto, ma i miglioramenti che aveva promesso non ci furono, anzi Wilson introdusse leggi segregazioniste all’interno del diritto federale che limitavano la libertà delle persone nere.

 

Un anno dopo la sua rielezione, nel 1917, ci furono ben due rivolte che aumentarono il conflitto tra le due componenti etniche. La prima fu a Saint Louis, dove i lavoratori bianchi si sentivano minacciati dalla concorrenza di quelli neri, nelle fabbriche che erano impegnate nello sforzo bellico. Questa tensione sfociò in un linciaggio di centinaia di cittadini neri della città, perché era circolata la voce che un afroamericano avesse ucciso una donna bianca.

 

La seconda avvenne a Houston, quando la polizia portò fuori dalla sua casa con la forza una donna nera e la umiliò. Uno dei testimoni di questo fatto, un soldato del terzo Battaglione del 24° Reggimento, un’unità composta da soli afroamericani, dopo aver solo chiesto che cosa stesse succedendo, venne arrestato. Un caporale del battaglione andò quindi alla stazione di polizia per avere informazioni sull’arresto e venne imprigionato anche lui. Questo causò la presa delle armi di 156 soldati del Reggimento, che causarono uno scontro dove persero la vita quattro di quei soldati e 15 bianchi. La reazione del governo fu dura: proclamò la legge marziale e molti dei soldati neri furono arrestati, processati e mandati in galera. Nessun bianco venne imprigionato.

 

Con l’entrata in guerra la pressione della richiesta per i diritti civili crebbe ulteriormente. La popolazione afroamericana infatti vedeva nel servizio militare l’occasione di entrare di diritto nella società statunitense, come cittadini con pieni diritti. La dislocazione di queste truppe però causò non pochi problemi al Dipartimento militare americano, che cercò in tutti i modi di impedire che questi soldati raggiungessero il fronte e combattessero a fianco dei loro concittadini bianchi. Il ministero statunitense riuscì a spedire la maggior parte di questi volontari in territori che non avevano niente a che vedere con la guerra, come le Hawaii, e li inserì nel servizio di supplemento. Ci furono però due divisioni che riuscirono a raggiungere la Francia e a combattere sul fronte in prima linea: la 92a e la 93a divisione.

 

Questa esperienza bellica fu molto importante per la comunità nera statunitense, non tanto per l’eroismo che questi soldati dimostrarono in battaglia (vennero assegnate 170 croci di guerra dal governo francese a soldati della 93a), quanto piuttosto per la possibilità di vivere in un paese che non aveva leggi segregazioniste, che impedisse loro di andare in giro liberamente. Fu questo modo di vivere che rafforzò la loro coscienza di emancipazione e fece di conseguenza crescere la paura dei razzisti bianchi nei loro confronti.

 

Stoddard, essendo un rappresentante dell’élite bianca e razzista, sapeva che la popolazione nera nel suo paese non doveva assolutamente prendere potere, perché, come affermava nel suo libro, la grande forza di questi ultimi era nella grande crescita demografica. Egli infatti disprezzava i neri più di tutte le altre genti “colorate”, per la loro mancanza di storia e di cultura e ne temeva la rapida espansione che avrebbe potuto mettere in pericolo la supremazia bianca: era stata la razza europea a impedire che i neri aumentassero a dismisura provocando disordini e guerre e furono sempre i bianchi a civilizzarli.

 

Portò come esempio le leggi segregazioniste del sud degli USA e della repubblica sudafricana che erano l’unico argine che poteva essere frapposto per impedire l’ondata della popolazione nera. Con la fine della guerra e soprattutto con la Conferenza di pace di Versailles il movimento pan africano aveva cercato di emergere per far sentire la propria voce ai vincitori: era un terribile pericolo per la supremazia bianca del mondo e soprattutto preoccupò Stoddard la partecipazione di elementi afroamericani.

 

Questo suo sentimento era già stato espresso da gran parte della società bianca americana; infatti tra Aprile e Novembre del 1919 si erano sviluppate in tutti gli Stati Uniti rivolte contro la comunità afroamericana. Questi attacchi, denominati “Red Summer”, furono mossi sia dagli stereotipi che circolavano nella comunità bianca, sia dalla concorrenza nei posti di lavoro e dalla paura di vedere dei neri armati e addestrati come soldati. Le maggiori rivolte si ebbero a Chicago, dove il presidente Wilson fu costretto a far intervenire le truppe federali e successivamente a Elaine in Arkansas, dove morirono migliaia di afroamericani.

 

La tesi che Stoddard cercò di dimostrare nel suo testo, dopo che aveva introdotto le particolarità e le caratteristiche delle varie razze considerate da lui inferiori, era che il destino del mondo doveva rimanere comunque in mano alla comunità bianca. Le rivolte sopra citate, soprattutto quelle del 1917, si possono leggere come dei disordini causati dall’atteggiamento razzista che i bianchi erano di solito tenere con gli afroamericani. Se si vanno ad analizzare le cause scatenanti di queste sommosse, si può notare infatti che furono tutte causate da delle azioni violente che i bianchi erano soliti perpetrare nei confronti dei neri, perché sicuri di non ricevere nessuna risposta violenta.

 

La comunità bianca non aveva capito che in quel momento non poteva più permettersi di trattare gli afroamericani in quel modo, senza subire delle conseguenze. Con la guerra infatti le comunità nere stavano prendendo coscienza dei loro reali diritti e non si sarebbero più piegate a quelle leggi e atteggiamenti ingiusti. Le azioni che gli afroamericani misero in atto nelle rivolte del 1917 spaventarono molto i bianchi, e aumentarono l’odio razziale tra le due comunità. Le sommosse del 1919 furono dei linciaggi da parte della comunità bianca contro quella nera, proprio perché i bianchi stavano rispondendo a questi tentativi di cambiamento con la violenza. Nel caso di Elaine, dove la violenza dei bianchi fu particolarmente feroce, addirittura la corte suprema degli Stati Uniti stabilì, nel 1923, che lo Stato dell’Arkansas era colpevole di aver violato i diritti costituzionali dei cittadini.

 

Quest’ultimo avvenimento era proprio quello che Stoddard con il suo libro cercava di impedire: la lotta tra bianchi e la rivalutazione delle persone nere. La prima guerra mondiale non era nient’altro per l’intellettuale americano che lo scontro tra persone della stessa razza che egoisticamente anteponevano il bene del proprio paese sui propri simili. È questa l’intuizione sfruttata dall’intellettuale razzista americano: egli infatti basò la sua teoria su una semplice idea che fece emergere dal suo scritto un solidale razzismo biologico bianco. Era questa la linea di condotta che doveva essere perseguita per far che la razza bianca ritornasse a governare il mondo.

 

Nell’Ottocento con lo svilupparsi dei grandi imperi coloniali l’uomo bianco aveva assunto su di l’onore e l’onere di governare la Terra e tutte le altre razze degli uomini. Stoddard affermò anche che la potenza dei bianchi non scaturiva solamente dalla solidarietà razzista, ma anche da un grado di innovazione tecnologico che nessun altro popolo aveva. Le nazioni bianche lo avevano acquistato con la rivoluzione industriale che aveva portato l’Europa da essere un territorio per lo più rurale, a essere un grande continente industrializzato.

 

D’altra parte l’avanzamento industriale portò secondo l’autore americano anche degli svantaggi. La ricchezza e l’agio fecero perdere di vista i valori e la sua forza vitale che avevano permesso all’uomo bianco di poter dominare il mondo e quindi fecero perdere alla razza dominatrice parte della sua forza. Una delle cause più evidenti fu la caduta della crescita demografica, come risultava essere molto evidente in Francia. Questo crollo delle nascite fece decrescere, sempre secondo il pensiero del razzista Stoddard, anche la società europea che percorse un lento declino biologico lasciando lo spazio alle razze inferiori.

 

Il declino della società occidentale infatti non fu solamente demografico, ma anche culturale. Di fondamentale importanza per l’Occidente doveva essere l’unità della razza, la sua superiorità, la sua potenza, andando al di là di certe ideologie, che per Stoddard, furono le cause della guerra e del declino dell’Europa. Egli cita un suo connazionale, Madison Grant, che nel suo libro del 1916 The Passing of the Great race, come lui riteneva che la razza era ciò che distingueva gli esseri superiori dagli esseri inferiori. Grant affermava che: «La lezione è sempre la stessa, vale a dire che la razza è tutto. Senza razza non ci sarebbe nulla a parte uno schiavo che veste i panni del padrone, ruba l’orgoglioso nome del padrone, usa la lingua del padrone e vive nelle rovine del palazzo del suo padrone».

 

Per Stoddard queste rovine erano le macerie che la Grande Guerra aveva provocato nella civilizzata Europa. Per colpa di questo conflitto, dunque, le razze cosiddette inferiori avrebbero occupato gli spazi che prima appartenevano ai loro padroni, rappresentandone però delle mere e ridicole copie, secondo i due autori americani.

 

Stoddard nel suo testo affermò che l’uomo bianco aveva da sempre espresso le sue potenzialità nei periodi di pace come la Pax Romana, la Civitas Dei durante il Medioevo e infine l’equilibrio diplomatico del XIX secolo, che era stato creato dopo le guerre napoleoniche. Tutto questo però stava crollando per colpa delle idee nazionaliste e internazionaliste che si erano sviluppate nell’Ottocento. Stoddard citò Renè Pinon, un giornalista francese che in alcune sue dichiarazioni, datate 1905, affermava: «(…) nell’Europa di oggi ci potrebbe esse il principio di un’intesa e su cosa si potrebbe basare? Ci sono troppi interessi divergenti, troppi rivali ambiziosi, troppi odi manifesti, troppi morti che parlano, che zittiscono la Coscienza dell’Europa».

 

Le ideologie che in quegli anni si erano sviluppate avevano infatti creato un clima di tensione enorme che poi sarebbe sfociato nella Prima Guerra mondiale, che per Stoddard era da paragonare, come si è detto poco prima, a una guerra del Peloponneso, una vera e propria guerra civile di popoli civilizzati. La volontà di potenza, l’imperialismo, il nazionalismo e il sindacalismo avevano provocato per Stoddard quella fiammella che avrebbe incendiato il vecchio continente, portandolo a una veloce distruzione. La potenza dell’Europa venne incanalata nello sforzo bellico, le spese che i vari Stati sostennero furono enormi e le vite che furono sprecate per pochi chilometri di terra troppe per poterne giustificare il sacrificio.

 

Stoddard portò l’esempio della Francia che arruolò 8 milioni di uomini perdendone 1.400.000 e avendo il doppio dei feriti. Questo causò danni alla crescita della popolazione, perché ci fu una perdita di nuove leve bianche che il mondo, per Stoddard, non poteva permettersi. L’autore aggiunse nel suo testo il commento di un corrispondente americano, Will Irwing, sulle perdite che sia la Francia, ma anche la Germania, avevano subito durante la guerra: «Ma nei paesi a leva obbligatoria, come Francia e Germania, c’è un processo di selezione in cui in generale i migliori muoiono e i peggiori restano. I sottosviluppati, i deboli, i deboli di mente, gli uomini che soffrono di malattie ereditarie o sono portatori di malattie restano per portare avanti la razza».

 

Anche in Italia questi argomenti vennero discussi durante la guerra. Alcuni studiosi infatti dovettero ammettere che, secondo le idee eugenetiche, la razza bianca avrebbe subito delle enormi perdite a causa della guerra:

1. Perché, non portando più alla distruzione completa dei vinti, questi continuano a propagarsi e a perpetuare quelle qualità che dovrebbero essere meno desiderabili;

2. Perché le perdite essendo spesso più gravi per la parte vincitrice che per la vinta, il popolo vittorioso può uscir dalla guerra ancor più danneggiato del vinto dal punto di vista della bontà della razza;

3. Perché in causa delle perdite, la proliferazione, tanto presso il popolo vincitore che presso il vinto, è, dopo la guerra, affidata a dei riproduttori fisicamente e moralmente inferiori, sicché la razza umana ne esce nel suo complesso deteriorata;

4. Perché la distruzione di ricchezze materiali, causata dalla guerra, abbassando il tenore di vita di ogni popolo belligerante e accrescendo la miseria ne diminuisce la resistenza alla morbilità.

 

Riguardo a queste affermazioni bisogna specificare che le perdite che importavano erano quelle bianche, non dei soldati neri. Gli accademici italiani non furono gli unici che fecero risaltare questo enorme problema per la razza bianca. Stoddard infatti nel suo libro citò altri studiosi che affermarono che la guerra appena conclusa avrebbe avuto sulla popolazione bianca un effetto estremamente negativo.

 

Uno di questi è il biologo Seth K. Humphrey, che nel suo testo Mankind: Racial Values and the Racial Prospect, edito nel 1917, affermò: «È sicuro affermare che tra i milioni di morti, ce ne sarà un milione che trasporta superbe caratteristiche ereditarie, ciò da cui dipende la razza. Non c’è niente di più assurdo di una nazione che pensi di rimpiazzare queste eredità in poche generazioni incoraggiando la riproduzione da parte dei sopravvissuti. Essi sono persi per sempre. I sopravvissuti trasmetteranno le loro inferiori caratteristiche. Non ci sono parole per descrivere questa terribile perdita».

 

Il vecchio continente però non doveva subire solamente la perdita del materiale biologico, destinato a far progredire ancora di più la razza bianca, ma doveva prevedere che non avrebbe più ottenuto quelle condizioni economiche, politiche e sociali che erano presenti prima che il conflitto scoppiasse. Stoddard sottolinea questo fattore usando le parole di un professore italiano, l’antropologo Giuseppe Sergi che, in suo scritto datato 1916, si espresse su tale argomento così: «(…) la prosecuzione della guerra è all’origine di questo fenomeno (della relativa sterilità), non solamente nella generale perdita di uomini in battaglia, ma anche attraverso una serie di condizioni speciali che si presentano contemporaneamente in uno squilibrio dei processi vitali e che creano in quest’ultimo un fenomeno difficile da esaminare in ognuno dei suoi elementi. Il disturbo biologico non dipende solamente dalla perdita di giovani vite, quelle meglio adatte a procreare, ma anche delle pessime condizioni in cui viene lasciata inaspettatamente una nazione: da ciò derivano disturbi di natura mentale e sentimentale, nervosismo, ansia, dolore e pene di ogni tipo a cui contribuiscono anche le gravi condizioni economiche del tempo di guerra; tutte queste cose hanno un effetto dannoso sull’economia generale della nazione».

 

L’economia, lo sviluppo, l’industria che avevano reso grande la razza bianca ora sarebbero stati anche la sua rovina, perché le condizioni economiche che i popoli delle nazioni bianche avrebbero dovuto affrontare dopo il conflitto sarebbero state disperate e avrebbero causato a loro notevoli disagi, ma contemporaneamente grandi vantaggi per quelle popolazioni che prima erano sotto il loro giogo. Stoddard riportò anche il commento di quello che sarebbe diventato il 30° Presidente degli Stati Uniti, Herbert Hoover, che nel 1919 faceva parte di una commissione per la gestione dei rifornimenti alimentari all’Europa. Il futuro Presidente descrisse che il vecchio continente aveva subito troppe gravi perdite per poter ritornare la potenza che era prima della Grande Guerra. Hoover infatti affermò: «In generale non è solo molto al di sotto del livello di produzione rispetto al periodo prima della firma dell’armistizio, ma non è in grado di mantenere la vita e la salute senza un alto tasso di importazione (…). Da tutte queste cause accumulate in maniera diversa in zone diverse, vi è il fatto sostanziale che se la produttività non possa essere rapidamente aumentata, non ci può che essere caos politico, morale ed economico».

 

Con queste parole Stoddard cercò di mostrare la pericolosità e l’insensatezza di una divisione tra le varie nazioni bianche. Che senso aveva avuto combattere una guerra per il dominio del mondo da parte di una sola nazione quando in realtà quel potere era già in mano ai bianchi?

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]