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N. 117 - Settembre 2017 (CXLVIII)

romani e barbari
La pubblicistica sulla politica filo-barbarica di Teodosio

di Manuel Giuliania

 

Dopo la battaglia di Adrianopoli (378 d.C.) – in cui i Goti avevano distrutto l’esercito dell’Impero romano d’Oriente – e la morte dell’imperatore Valente, al comando dell’Oriente e delle truppe rimaste fu messo, dall’imperatore della parte occidentale, Graziano, un abile generale: Teodosio.

 

Il nuovo imperatore cercò immediatamente di mettere alle strette i Goti ma, resosi conto dell’impossibilità di ricacciarli oltre il Danubio, decise di siglare un trattato con loro, il Foedus del 282 d.C., con cui i essi avevano il diritto di stanziarsi nel territorio romano come una forza alleata e indipendente dell’Impero, rispondendo solamente all’imperatore Teodosio.

 

Questi accordi con le popolazioni barbariche furono viste in maniera sia favorevole sia sconveniente da parte di molti intellettuali e oratori romani: c’era chi metteva in risalto le grandi capacità di Teodosio e chi invece vedeva il pericolo derivato dall’ingresso di questi barbari che non si sottomettevano ai generali romani.

 

Tra le opinioni più favorevoli c’era quella dell’oratore Temistio, il quale benediceva l’azione di Teodosio poiché essa dimostrava il livello di civiltà dello Stato romano: «Perché la vittoria della ragione e dell’umanità è appunto questa: non distruggere ma rendere migliori quelli che ci hanno recato pena». E allo stesso tempo poneva l’accento sui grandi vantaggi che questa politica avrebbe portato: «È meglio riempire la Tracia di cadaveri o di agricoltori? Di tombe o di uomini vivi? [...] sento dire da chi viene da quella zona che ora il ferro delle spade e delle corazze viene adoperato per fabbricare falci e zappe, e che il culto è rivolto a Demetra e a Dioniso, mentre Ares è salutato da lontano».

 

Temistio poneva quindi l’accento sia sul carattere di civilizzazione e ideologico sia su quello utilitaristico: la politica teodosiana era giusta perché da una parte mostrava la superiorità civile dei Romani e dall’altra perché sarebbe risultata utile allo Stato che, in tal modo, avrebbe avuto l’opportunità di sfruttare le terre ancora incolte nei Balcani.

 

Temistio non fu l’unico intellettuale ad esprimersi favorevolmente alla politica di accoglienza imperiale; molti descrissero questa come la miglior soluzione possibile per lo Stato, come Claudiano o il retore gallico Pacato, il quale scrisse: «O cosa degna di nota! Chi era stato un tempo nemico dei Romani, marciava sotto i comandanti e vessilli romani, [...] Il Goto, l’Unno e l’Alano imparava ad esprimersi secondo il regolamento e prestava turni di guardia e aveva paura di essere rimproverato nei rapporti».

 

Queste considerazioni, quasi idilliache, dell’integrazione non erano però condivise da altre figure di spicco del mondo intellettuale romano. Accanto alle opinioni favorevoli possiamo trovare quindi molti contrari alla politica seguita da Teodosio.

 

Tra i più famosi che si scagliarono contro l’azione filo-barbarica possiamo segnalare Sinesio di Cirene, il quale in un’orazione dedicata al figlio di Teodosio (Arcadio) con cui criticava la politica paterna che aveva sottomesso i Romani ai barbari, infatti scriveva: «Temide e il Dio degli eserciti debbon velarsi il volto, per non veder uomini vestiti di pelli comandare chi indossa la clamide, [...] adornarsi della toga e deliberare, insieme ai magistrati romani sedendo essi addirittura a fianco del console e stando dietro a loro i dignitari legittimi». Sinesio, quindi, si rammaricava soprattutto del fatto che questi nuovi alleati fossero giudicati dallo Stato superiori ai cittadini legittimi e ciò rappresentava un’offesa morale per cui gli stessi Dei si sarebbero rifiutati di guardare tale scempio istituzionale. Inoltre egli dichiara che essi, in realtà, non erano neanche davvero sottomessi allo Stato e alle leggi romane, e che stavano solamente fingendo una loro presunta uniformità, mentre dentro di loro erano rimasti barbari pericolosi per l’Impero.

 

Questo concetto di “barbari” che in realtà non si sottomettono alle leggi romane fu espresso anche da altri intellettuali, come Sulpicio Severo, il quale scrisse che ci sono numerosi barbari «nei nostri eserciti e nelle nostre città, che vivono in mezzo a noi [...] che tuttavia non vediamo adattarsi ai nostri costumi». Anche alcuni storici antichi posero l’accento sulla barbarizzazione dell’impero e sul trattamento di favore che i barbari ottenevano dallo Stato rispetto sia ai cittadini sia ai contingenti nazionali; tra questi ricordiamo Socrate con la sua Storia ecclesiastica e Zosimo con la sua opera: Storia nuova.

 

Possiamo quindi vedere come la politica teodosiana venne accolta in maniera molto disparata dagli uomini del periodo; su chi avesse ragione non è nostro compito decretarlo, ma possiamo sottolineare come spesso questi casi si ripresentino ciclicamente all’interno della nostra storia, con argomentazioni simili e con rimostranze molto vicine e anche il nostro tempo sembra essere rimasto ancora ancorato agli stessi argomenti.

 

 

Riferimenti bibiliografici:

 

Temistio. I discorsi, a cura di R. Maisano, Torino, UTET, 1995.

Garzya, Terzaghi, and Lacombrade (a cura di), Opere di Sinesio di Cirene, Classici greci, Turin: Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1989

Barbero, A. Barbari, Roma, Ed. Laterza, 2010.



 

 

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