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N. 18 - Novembre 2006

TENZIN GYATSO, XIV DALAI LAMA, A ROMA TRE

L'etica secolare come rimedio ai mali dell'umanità

di Leila Tavi

 

Sabato 13 ottobre nell’aula magna della Facoltà di Lettere dell’Università degli studi Roma Tre il Dalai Lama ha ricevuto la laurea honoris causa in biologia.

 

Alle 8.30 del mattino più di 400 persone si affollavano sulla scala che porta all’aula magna di Lettere e Filosofia nella speranza di poter entrare, anche se i posti a sedere erano già esauriti all’apertura delle porte. Altri gruppetti numerosi attendevano il Dalai Lama all’esterno insieme alla stampa.

 

Non si ricordava una partecipazione così numerosa a Roma Tre dalla visita di papa Giovanni Paolo II.

 

Alle 9.45 l’arrivo di Tenzin Gyatso; il giubilo della folla all’esterno della Facoltà di Lettere e Filosofia, la benedizione a un bambino di pochi mesi di origine tibetana e il bagno di folla: in una frazione di secondo una moltitudine di flash delle macchine professionali e dei cellulari puntati su di lui.

 

Il Rettore lo ha accolto sulla porta con il saluto tibetano e il Dalai Lama lo ha onorato della tipica sciarpa bianca.

 

Alle 10.00 dei tafferugli tra i militanti di Azione Universitaria e la sicurezza fuori dell’aula hanno creato un momento di confusione e in meno di un minuto anche chi non aveva potuto raggiungere l’aula perché già piena ha potuto accedere.

 

Uno spettacolo mai visto, contrariamente a tutte le misure di sicurezza che l’Università avrebbe voluto garantire per un evento del genere, mille persone hanno accolto nell’aula magna di Lettere e Filosofia, che dispone di 500 posti a sedere, il Dalai Lama.

 

Nonostante la preoccupazione che si poteva leggere negli occhi delle guardie del corpo del Dalai Lama e il pericoloso affollamento in caso di incidenti, Tenzin Gyatso era il più tranquillo di tutti.

 

Un’espressione serafica sul volto del settantaseienne nato il 6 luglio del 1935 in un piccolo villaggio nel Tibet nord orientale.

 

Uno sguardo curioso e vivo come quello di un bambino; quella instancabile brama di sapere e quella serenità interiore non sono passate inosservate neanche in quella confusione.

 

La commissione di laurea è stata costretta a farsi largo tra la folla, più di una volta è stato pregato dagli organizzatori di lasciar passare la commissione e il “candidato”.

 

La folla è stata invitata a sedersi, la metà delle persone sedeva a terra, sparsa qua e là nello spazio a disposizione, i giornalisti sedevano come scolaretti a terra davanti alla cattedra.

 

Il Rettore stesso, Guido Fabiani, era emozionato: nel leggere la formula in latino per il conferimento della laurea honoris causa si è confuso un paio di volte.

 

La lezione magistrale del Dalai Lama, benché prevista in tibetano con traduzione in inglese, si è svolta in inglese.

 

Il Dalai Lama ha esordito ricordando che la società odierna ha bisogno di una “secular ethic”, qualcosa che avvicini l’umanità, oggi divisa dalle religioni, dalle tradizioni popolari e dalle differenze di sesso e di razza.

 

L’essere umano necessita di una compenetrazione di intelletto e coscienza e, soprattutto, ha bisogno di cambiare il suo modo tradizionale di pensare.

 

Tenzin Gyatso ha detto ai giovani presenti che l’”atma”, l’anima per gli Indiani, è indipendente dal corpo e che l’anima va a Dio, al Creatore, poi però si è interrotto per un attimo e ha detto: “It seems to be like that!”.

 

Non ha voluto dare ai ragazzi nessuna certezza, nessuna prosopopea da illuminato di Dio sceso in terra, da incarnazione del divino, no!

 

Ha voluto spiegare agli studenti di Roma Tre che la religione appartiene alla sfera individuale e che è l’etica la vera forza interiore dell’uomo, ancora prima della religione.

 

L’etica vista come una sorta di linguaggio universale che fa in modo che l’ateo, il cristiano, il musulmano, l’ebreo, l’induista e il tibetano si comprendano.

 

Ogni azione umana, ha ricordato il Dalai Lama, dipende da chi agisce, dall’ “attore”; noi riconosciamo perciò azioni buone o cattive. Senza un attore e un oggetto non sarebbe possibile l’agire umano. E le azioni sono prodotte dagli stati d’animo delle persone, dalle emozioni e sottostanno a certe condizioni esterne.

 

Alcune volte le azioni portano beneficio agli altri, altre volte causano infelicità. Ogni azione dipende dalla motivazione.

 

Concetti sbagliati e negligenza ci portano a compiere azioni che creano infelicità.

 

Il terrorismo proviene dall’odio interiore; il degrado ambientale, il “global warming” è il risultato dello sfruttamento sconsiderato dell’ambiente.

 

A ben vedere si tratta di una serie di azioni che causa tutto ciò e con questo il nostro disagio.

 

Tutte queste azioni procurano all’uomo sofferenza e nella realtà odierna, ha ricordato ancora il Dalai Lama, ci sono ancora più sofferenza e ancora più problemi.

 

Knowledge of the reality is important!”; bisogna cercare di rimpiazzare il sentimento dell’ odio e del disprezzo con il rispetto, la comprensione, la cura per l’altro e per l’ambiente.

 

Tenzin Gyatso mette in guardia i ragazzi da non considerare le religioni come la panacea dei problemi dell’umanità, tanto meno il buddismo: “World problems could not be solved through tibetan religion. Don’t expect much. You should relate on your own tradition; you should count on yourself. […] Religion is an individual thing. Secular ethic means common experience and more scientific finding.”

 

E’ importante oggi più che mai avere un sentimento comune di non violenza.

 

La condizione dei Tibetani, oppressi e perseguitati dal regime cinese, non deve essere migliorata attraverso azioni dettate dall’odio; bisogna, secondo il Dalai Lama, minimizzare i sentimenti negativi.

 

Le azioni umane sono generalmente intraprese seguendo delle azioni che non hanno mai come fondamento la realtà che ci circonda, ma il nostro stato d’animo e ciò causa problemi e sofferenza.

 

Il Dalai Lama ha portato ad esempio la storia di un suo amico e connazionale che ha trascorso otto anni in un gulag cinese come prigioniero politico e che, alla domanda di Tenzin Gyatso, cosa più gli aveva causato sofferenza durante gli otto lunghi anni di prigionia, il suo amico ha risposto di aver avuto paura di perdere la compassione per i Cinesi.

 

Per il Dalai Lama i Cinesi sono fratelli, bisogna avere un’anima così forte da non farsi accecare dall’odio e dal sentimento di vendetta, anche se migliaia di tibetani sono stati perseguitati per 47 anni dal regime cinese.

 

“Sua Santità” ha dichiarato che il Tibet non ha bisogno di vendetta, ma di scienziati e studiosi che siano in grado di contribuire allo sviluppo del paese.

 

Molti intellettuali cinesi condividono le idee e le speranze del Dalai Lama, ma il governo cinese è ancora “suspicious”.

 

Il Dalai Lama è fermamente convinto che la situazione migliorerà e che entrambe le parti, Cinesi e Tibetani, capiranno che la soluzione migliore è un vivere pacifico, magari anche in una federazione, che il Dalai Lama ha soprannominato “United Happy States”, forse a fare il verso agli altri States, che adesso non rappresentano certo l’immagine della felicità.

 

Nella realtà di oggi le nazioni devono camminare insieme, non ci possono essere alternative, e scambiare dei “mutual benefits”.

 

Con simpatia il Dalai Lama ha ricordato ai presenti che noi Italiani prima avevamo la lira svalutata e ora abbiamo l’euro.

 

Al di là della battuta, Sua Santità sa benissimo che non basta una moneta comune a rendere unito un popolo è necessario avere interessi comuni.

 

I Tibetani vogliono modernizzare il loro paese e per questo servono più scienziati, non più religione.

 

Il governo cinese deve riconoscere più autonomia al Tibet.

 

Secondo il Dalai Lama non dovrebbe essere la formula “lingua, stupidità e unità” ha regnare sul vasto territorio cinese, che porta crisi e instabilità, ma “genio, stabilità e unità”.

 

Per permettere che ciò si realizzi è necessario un approccio realistico, soltanto attraverso un’obiettiva e distaccata analisi della realtà, e non attraverso un emotivo coinvolgimento personale, si arriva a capire il mondo.

 

Prima ancora di fare questo percorso interiore e individuale c´è bisogno in Cina di libertà di stampa e di opinione e di diritti civili e umani.

 

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