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ARTE


N. 145 - Gennaio 2020 (CLXXVI)

TAORMINA

STORIA DELLA ROCCAFORTE E DEI RESTAURI DEL TEATRO - PARTE II

di Giuseppe Cuscunà

 

Il teatro si staglia sul promontorio che, dalle pendici del monte Tauro, arriva fino al mare. Come usuale nei teatri greci, viene costruito sfruttando il naturale pendio, occupando una posizione straordinaria che lo colloca tra il mar Ionio e l’Etna. È il secondo teatro antico più grande in Sicilia, dopo quello greco di Siracusa: la cavea, infatti, presenta un diametro di circa 109 m.

 

La cavea del teatro presenta una forma semi circolare: questa non ha sistemi di sostruzione ed è suddivisa in tre maeniana e nove cunei. Le tre maeniana si articolano in imum, medium e summum maenianum.

 

La cavea è coronata da un doppio corridoio voltato concentrico. Il corridoio interno è delimitato, verso la cavea, da un muro in opus caementicium con ornamento in mattoni, conservato per un’altezza di 2.60 m ca, che, mediante otto aperture, attraverso klimakes, consente l’accesso alla cavea, suddividendo dunque le maeniana in nove ‘cunei’. Ogni cuneo, sul fronte interno del portico, è decorato da 4 nicchie alternatamente a pianta absidata con copertura a catino e a pianta rettangolare con copertura a doppio spiovente. All’interno di questo corridoio, sono state rinvenute delle strutture convenzionalmente note come plinti: è tutt’oggi discussa l’interpretazione di queste costruzioni, alte 1.00 m ca. Probabilmente rappresentavano degli scalini.

 

L’orchestra è semicircolare e allungata, e si accedeva attraverso dei corridoi aperti (parodoi). È accessibile oggi da ovest tramite un’apertura del muro orientale dell’aula occidentale dell’edificio scenico e dal corridoio a “L” raggiungibile dall’aula orientale.

 

Si accedeva al teatro dal basso, attraverso due grandi ambienti monumentali con ampie volte, le cosiddette versurae o basilicae, ai lati dell’edificio scenico. La questione è dibattuta: l’accesso al teatro non è in effetti una costante, ma cambia in base alle epoche. Nella fase di età imperiale si accedeva anche dalla summa cavea.

 

La versura occidentale è decorata all’interno da nicchie ed è coperta da una volta a botte. Quella orientale presenta una struttura differente, che potrebbe fornire qualche indizio per quanto riguarda la datazione.

 

La scena ha pianta rettangolare e si sviluppava verosimilmente su tre ordini. Il muro di fondo è caratterizzato da due hospitalia a esedra, inquadrate da alte colonne su plinti con capitelli corinzi e ionici. La scaenae frons doveva essere monumentale: alcune ricerche propongono una ricostruzione secondo la quale furono impiegate cinquantaquattro colonne, altre suggeriscono sessantasei colonne, distribuite sui tre ordini.

 

Quello che vediamo oggi è frutto di un pesante restauro ottocentesco, ma i materiali ritrovati inducono a presupporre che le colonne fossero in granito, cipollino, proconnesio, pavonazzetto, breccia di Taormina e di Sciro: l’effetto policromo era ulteriormente decorato da una serie di statue, poste all’interno delle nicchie, ma di queste statue rimangono poche tracce, conservate nell’Antiquarium del teatro, zona museo nella quale è oggi possibile vedere i resti di una testa femminile, dalla difficile interpretazione.

 

Difficoltosa la datazione della scaenae frons: probabilmente, infatti, non si data a un unico periodo. Inoltre, la sua peculiarità rende difficoltosi anche degli ipotetici parallelismi: peculiare perché niches are not niches at all. Ed è proprio in questo particolare che ricorda il teatro di Gerasa in Giordania, che si data all’inizio del II secolo d.C.; la questione è fonte di dibattito e non risulta certamente risolta.

 

 

Planimetria del teatro

 

Le fasi di realizzazione del teatro possono essere cronologicamente così riassunte:

 

I fase; III-II secolo a.C.: età ellenistica

 

La prima costruzione del teatro si fa risalire a questa data: i supporti archeologici sarebbero alcuni tratti di muratura in blocchi squadrati e isodomi, sotto la scena. Alcuni studi più recenti inducono a pensare che potrebbero essere in parte dei reimpieghi.

 

Vi sono inoltre cinque blocchi in pietra, lavorati e squadrati, che presentano delle iscrizioni in greco. Forse la loro posizione originaria era nelle file più vicine all’orchestra, a contrassegnare la proedria del teatro. Non è raro rinvenire, in architetture teatrali affini, blocchi di simile natura: essi erano concepiti come elementi della gradinata, da inserire in terrapieni; questo spiegherebbe perché i blocchi non risultano lavorati né posteriormente né superiorment.

 

Da un’analisi paleografica emergono i seguenti dati: nei primi due blocchi è leggibile quello che sembra un genitivo plurale dorico, ΙΕΡΕΙΑΝ. L’interpretazione che ne consegue è che l’iscrizione stesse a indicare la zona della cavea riservata alle Hiereiai.

 

Problematico risulta l’antroponimo presente in due iscrizioni: ΦΙΛΙΣΤΟΥΣ, seguito in un blocco da ΔΒ e in un altro da ΔΙ. Alcuni studiosi hanno voluto leggere in questo antroponimo il nome della regina Filistide, moglie di Ierone II e dunque collocarne la datazione al III secolo a.C.; tuttavia, dopo un’attenta analisi paleografica, l’omogeneità delle lettere e la totale assenza di apicature fa supporre più verosimilmente una datazione al II secolo a.C.; parrebbe oltretutto curioso che in una sede ufficiale, come quella che il teatro rappresentava per un tiranno greco del III secolo a.C., venisse usato un diminutivo per contrassegnare il posto della regina (Φιλιστος è infatti genitivo singolare dal nominativo Φιλιστώ, forma abbreviata da Φιλιστίς, il cui genitivo sarebbe Φιλιστδος).

Suggestiva la teoria che vede le due lettere dopo il genitivo dell’antroponimo come fila e numero del posto a sedere.

La suddivisione in nove cunei è rara nei teatri romani ma molto comune nel mondo Ellenistico: probabilmente i Romani innovarono e incorporarono elementi già in situ, costruiti nel teatro; ma un’innovazione deve esserci stata, perché nel periodo Ellenistico la cavea non poteva estendersi tanto: prova ne sono i resti di una piccola costruzione Ellenistica, forse un tempio. Potrebbe essere questo un ulteriore indizio di datazione.

 

II fase; I secolo a.C.- I secolo d.C.: età augustea e Giulio-Claudia

 

È in questa fase che viene collocato il muro di contenimento posto a Ovest (analemma), l’adiacente passaggio a forma di ‘L’ e le nove scale in laterizio costruite sul muro del passaggio anulare interno intorno la parte superiore della cavea. Questa fase viene posposta talvolta all’epoca dei flavi.

 

III fase; II sec d.C.-III sec d.C.: età traianeo-adrianea

 

Durante questa fase, il teatro fu completamente ricostruito: questo restauro includeva il doppio corridoio porticato costruito sulla summa cavea, le due basilicae (così questo tipo di costruzioni vengono chiamate in Vitr., V, 6-8) a volte, il fronte scenico e, conseguentemente, la sua columnatio. L’intera parte retrostante la scena (post scaenium): è questo il periodo di maggior diffusione della costruzione in mattoni, dell’uso dei marmi e delle pietre policrome.

 

IV fase; III secolo d.C.: età severiana

 

Questo è il periodo nel quale il teatro viene stravolto nel suo intento funzionale: il teatro diventa un’arena. A questa fase si ascrive il corridoio anulare a volte intorno l’arena e lo scavo di una camera sotterranea esattamente al centro dell’arena: probabilmente conteneva le gabbie entro cui venivano (probabilmente) posti gli animali.

 

I dati provenienti dallo studio degli elementi architettonici della frontescena, condotto da Pensabene, quelli desunti dal confronto dei mattoni impiegati in questa trasformazione, spessore cm 3,5/4, con i pochi esemplari siciliani editi porterebbero a fissare la cronologia di questa trasformazione al III sec d.C. Gran parte della struttura resiste al terremoto del 365 d.C.

 

V fase; datazione incerta

 

La camera sotterranea venne allargata e delimitata da irregolari pietre di calcare non lavorate.

 

VI fase; X-XI secolo d.C.: età arabo-normanna

 

Il teatro nella sua interezza comincia a essere riempito da costruzioni private. Fu infatti trasformato in un palazzo destinato a ospitare la famiglia Termes, che accompagnava in Sicilia la prima moglie di Federico II, Costanza d’Aragona.

 

Nel 1465 il teatro era ancora adibito a residenza privata: soggiornava qui infatti, proprio durante questi anni, la nobile famiglia Zumbo; tre frammenti di fregi decorati risalirebbero proprio a quest’epoca.

 

Illecite opere di spoliazione del teatro e restauri ben poco accurati furono ampiamente praticati nel corso degli anni: nel 1747 il Duca di Santostefano, al fine di restaurare la costruzione, ottenne il permesso di rivendere i rinvenimenti archeologici.

 

I primi scavi archeologici, che permisero di rinvenire buona parte delle strutture visibili oggi, si devono a Ignazio Paternò Castello Principe di Biscari: il suo fine era quello di conoscere la pianta architettonica, così da poterne tracciare una pianta finalmente coerente attraverso un accurato lavoro di ricostruzione archeologica.

 

Visitatore d’eccezione del teatro fu Johann Wolfang Goethe, che il 7 e l’8 maggio del 1787 soggiornò a Taormina durante il suo ‘Italienische Reise’. Questa la sua celebre descrizione:

 

“Setzt man sich nun dahin, wo ehmals die obersten Zuschauer saßen, so muß man gestehen, daß wohl nie ein Publikum im Theater solche Gegenstände vor sich gehabt (...) Wir stiegen gegen das Theater hinab, verweilten in dessen Ruinen, an welchen ein geschickter Architekt seine Restaurationsgabe wenigstens auf dem Papier versuchen sollte”. (J.W. Goethe, Italienische Reise: Sizilien).

 

“Quando ci si siede dove un tempo si trovavano gli spettatori della cavea più alta, mai, probabilmente, a teatro, un pubblico ebbe davanti a sé una simile prospettiva (...) Siamo scesi a teatro, soffermandoci tra le sue rovine, in cui un architetto esperto dovrebbe provare a restaurarlo, quantomeno su carta”.

 

Negli anni 1803-1813 l’archeologo Saverio Landolina visitò il teatro, e indignato descrisse lo stato di degrado e abbandono dell’edificio: con dovizia di particolari racconta della mandria di mucche che pascolava proprio sopra l’orchestra.

 

È opera di Cavallari, che si occupò del teatro dal 1868 al 1883, poi, il discutibile ripristino del frontescena: l’archeologo infatti era contrario al restauro di opere antiche attraverso materiali moderni e decise dunque di rendere maggiormente fruibile il monumento integrando nel frontescena delle colonne non compatibili con gli studi sull’architettura del teatro eseguiti.

 

Ma la configurazione attuale del teatro è opera della campagna di scavi svolta dal 1949 al 1956, opera dell’architetto Sebastiano Agati, coadiuvato dall’archeologo Luigi Bernabò Brea: per il restauro delle opere in laterizio si aggiunsero nuovi mattoni, uguali per dimensione agli originali, ma, affinchè gli autentici fossero sempre riconoscibili, furono collocati qualche centimetro indietro rispetto a essi; vennero inoltre smontate alcune colonne, la cui opera va fatta risalire al Cavallari.

 

Il teatro è ancora oggi fonte di grande interesse, tanto archeologico quanto turistico. Il suo reimpiego valorizza certamente una grande opera architettonica tuttavia il frequente utilizzo potrebbe progressivamente condurre la struttura a un logoramento (assiduo è il reimpiego per spettacoli ad alte frequenze, come ad esempio concerti). Bisognerebbe pertanto attuare delle misure di protezione atte alla salvaguardia del complesso.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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