TANNU TUVA
STORIA DI UN PAESE DIMENTICATO TRA
RUSSIA E MONGOLIA
di Lorenzo
Riva
Consultando una mappa dell’Asia
orientale prodotta nel periodo
interbellico, si può notare la
curiosa presenza di uno Stato
sconosciuto ai più, incastonato tra
la Mongolia e l’Unione Sovietica. Si
tratta di Tuva, un Paese che
oggigiorno non esiste più – almeno
come Paese indipendente – essendo
una delle repubbliche che compongono
la Federazione russa, nonostante sia
abitata soprattutto da popolazioni
non slave. I tuvani, infatti,
parlano una lingua imparentata con
l’uzbeco, il kazako o il kirghiso,
in quanto appartenente alla famiglia
linguistica turca. Sotto altri punti
di vista, però, gli abitanti
appaiono affini ai mongoli, con i
quali condividono tradizioni
culturali, pastorizia nomade e
confessione buddista, anche se
quest’ultima risulta mescolata alle
pratiche sciamaniche preesistenti.
D’altronde, in passato i tuvani
impiegavano il mongolo come lingua
colta, mentre Tuva era considerata
parte della Mongolia.
Dalla metà del XVIII secolo Tuva
fece parte dell’Impero cinese –
all’epoca guidato dalla dinastia
Qing – che inquadrò la regione nella
Mongolia Esterna. Il controllo delle
autorità centrali sui territori
settentrionali, però, era piuttosto
labile, in quanto fondato sulla
fedeltà dei notabili locali
all’imperatore. Peraltro, l’assenza
di minoranze Han rendeva ancora più
precaria la sovranità di Pechino su
quelle terre, facilitando spinte
centrifughe e interferenze
straniere. Nell’800, infatti, la
Russia volse il proprio sguardo
verso le terre tuvane, attratta da
risorse minerarie e appezzamenti
coltivabili. Inizialmente, San
Pietroburgo cercò di penetrare
pacificamente, tanto che nel 1881
stipulò un accordo con le autorità
cinesi: in particolare, il documento
garantiva ai russi la possibilità di
commerciare e trasferirsi
liberamente all’interno di Tuva. In
tal modo, nel giro di pochi decenni
migliaia di coloni provenienti
dall’Impero zarista – soprattutto
contadini, minatori, cacciatori e
avventurieri – si stabilirono nei
nuovi insediamenti appositamente
edificati nell’area, tra i quali
spiccava Belotsarsk – oggi nota come
Kyzyl – attuale capitale della
Repubblica tuvana. Secondo le stime
del 1912, nella regione vivevano ben
12.000 russi, a fronte di una
popolazione indigena che non
superava le 50.000 unità.
Nel 1912 la Cina fu scossa dalla
rivoluzione Xinhai, che consegnò
alla storia la monarchia in favore
di un governo repubblicano.
Contemporaneamente, nelle zone
nordoccidentali del Paese si
verificarono sommosse anticinesi,
che comportarono da un lato la
formazione di uno Stato mongolo
indipendente, dall’altro la
separazione di Tuva tanto dalla Cina
quanto dalla Mongolia Esterna.
L’élite tuvana – composta
principalmente da aristocratici e
monaci – era divisa in due grandi
fazioni: la prima – numericamente
maggioritaria – abbracciava
posizioni filo-mongole, dato che
sperava di unirsi alla Mongolia
indipendente in virtù di legami
storici e culturali; la seconda,
invece, esprimeva istanze russofile.
A prevalere fu quest’ultima, tanto
che nel 1913 i suoi esponenti
scrissero una petizione indirizzata
allo zar Nicola II, affinché il
sovrano intervenisse in protezione
dei tuvani. Di conseguenza,
nell’estate del 1914 San Pietroburgo
decise di trasformare la regione in
un protettorato russo, senza
incorporarla direttamente nel suo
impero.
Nondimeno, la Rivoluzione d’ottobre
e lo scoppio della guerra civile
mutarono nuovamente la situazione
sul campo, aprendo la possibilità di
sottrarsi alla dominazione
straniera. In effetti, agli occhi di
molti abitanti il controllo russo
non era differente da quello cinese,
risultando sgradito a una fetta
considerevole della popolazione. Per
questo motivo, il Congresso
pan-tuvano proclamò l’indipendenza
della regione nel 1918, consacrata
l’anno successivo da una rivolta
anti-moscovita. In tal modo, il
territorio finì per essere conteso
tra nazionalisti indigeni, mongoli,
bolscevichi e bianchi: a spuntarla
furono i comunisti – usciti
vittoriosi dal conflitto civile –
che crearono la Repubblica Popolare
di Tannu Tuva (“Tannu” significa
“taiga” in tuvano), uno Stato
formalmente indipendente e separato
dall’Unione Sovietica.
Le autorità della Mongolia
socialista – satellite della Russia
bolscevica – chiesero a Mosca di
poter annettere Tuva nel 1921;
tuttavia, la risposta ottenuta fu
ambigua, perché non conteneva né un
diniego né un’approvazione nei
confronti della domanda. In realtà,
i sovietici avversavano l’unione
delle due nazioni, temendo di
perdere il controllo di un’area
strategicamente importante e abitata
da una folta minoranza russa. Ulan
Baataar, dunque, dovette accettare
l’indipendenza del vicino,
abbandonando ogni velleità
irredentista. Ad ogni modo, va
specificato che la Repubblica
Popolare di Tannu Tuva – dal 1926
denominata solo Tuva – ottenne il
riconoscimento soltanto dall’Unione
Sovietica e dalla Mongolia.
Il regime alla guida del Paese –
incentrato sul Partito
Rivoluzionario del Popolo Tuvano (PRPT)
– traeva ispirazione da quello
bolscevico; eppure, le politiche
perseguite nei primi anni
divergevano sensibilmente da quelle
moscovite. Invero, Donduk Kuular –
leader della nazione – non
celava le proprie posizioni
filo-mongole e filo-buddiste, che
gli valsero la diffidenza
dell’Unione Sovietica. Infatti,
negli anni ‘20 le autorità scelsero
il buddismo come religione di Stato,
vietarono la propaganda
antireligiosa, incoraggiarono lo
studio della lingua mongola,
tollerarono la proprietà privata e
inviarono molti giovani a formarsi
in Mongolia. La comunità russofona –
rimasta in loco nonostante i
rivolgimenti politici – viveva
separata dal gruppo etnico
maggioritario: sottostava a leggi
moscovite, deteneva passaporti
sovietici e frequentava scuola
apposite, sfuggendo de facto
al controllo di Kyzyl.
Nonostante Tuva si proponesse come
nazione indipendente alleata di
Mosca, in realtà costituiva
piuttosto uno Stato satellite
dell’Unione Sovietica. Basti pensare
che i dicasteri preposti agli affari
interni e alla sicurezza – assieme
alla stampa di regime e al settore
minerario – erano eterodiretti dal
Cremlino, che limitava fortemente
l’autonomia decisionale della
repubblica. Perfino sul versante
economico la dipendenza
dall’ingombrante vicino era palese:
dirigenti russi presiedevano le
industrie più importanti, mentre la
popolazione adoperava il rublo come
valuta, rimpiazzato dall’akşa
soltanto negli anni ‘30. L’esercito
tuvano – numericamente contenuto –
non poteva certo competere con
l’Armata Rossa, vera garante della
sicurezza nazionale.
L’orizzonte politico di Kuular –
decisamente disallineato ai progetti
sovietici – spinsero Stalin a
caldeggiare un colpo di Stato,
effettuato nel 1929 da elementi
fedeli a Mosca. Tra costoro figurava
Salchak Toka – nuovo capo della
nazione – che appariva decisamente
più ligio alle direttive staliniste,
segnando una discontinuità rispetto
alla linea del predecessore. Il
golpe fu accompagnato da una
grande purga che colpì quasi la metà
dei membri del PRPT, caduti
rovinosamente in disgrazia. La nuova
leadership cercò di
cancellare tanto i legami con la
Mongolia quanto la confessione
buddista, attraverso una capillare
operazione di ingegneria sociale:
lama e sciamani furono duramente
perseguitati, mentre i templi – non
più impiegati per scopi religiosi –
subirono l’abbattimento. I dati del
1928 riportano 4813 lama e 28
monasteri, ridotti rispettivamente a
15 e 1 nel 1932, dopo tre anni di
persecuzioni antireligiose. La
lingua tuvana – fino ad allora
scritta in caratteri mongoli –
divenne il nuovo idioma letterario,
impiegato prima con l’alfabeto
latino e poi – a partire dai primi
anni ‘40 – con quello cirillico.
Invece, l’imposizione della
collettivizzazione delle campagne
riscontrò scarso successo, dato che
la maggioranza della popolazione
continuava a praticare la pastorizia
nomade.
Di conseguenza, la socializzazione
fu abbandonata già nel 1933,
parallelamente alla riapertura di
alcuni monasteri e alla
reintroduzione del commercio
privato. Inoltre, il controllo delle
miniere passò da Mosca a Kyzyl,
mentre la minoranza slavofona
incominciò ad essere soggetta alle
leggi tuvane, perdendo lo status
peculiare di cui aveva goduto fino a
quel momento. Tuttavia, una nuova
feroce purga – accuratamente
orchestrata dall’NKVD – colpì il
partito nel 1938, riavvicinando il
Paese alla linea stalinista.
Pertanto, nel 1941 i coloni
sovietici – che formavano quasi ¼
della popolazione – ricevettero la
cittadinanza di Tuva assieme al
permesso di entrare nel PRPT, mentre
l’insegnamento del russo divenne
obbligatorio nelle scuole, così come
l’utilizzo dell’alfabeto cirillico
per la scrittura della lingua tuvana.
L’indipendenza di Tuva si concluse
nel pieno della Seconda guerra
mondiale, poiché il Cremlino decise
di annettere la repubblica nel 1944.
L’integrazione all’Unione venne
giustificata adducendo alla volontà
delle masse lavoratrici tuvane,
desiderose di far parte della grande
famiglia sovietica. In realtà,
Stalin intendeva controllare
direttamente un territorio ricco di
uranio, cobalto, mercurio, carbone,
oro, amianto e zinco, lanciando al
contempo un monito alla Cina, che
ancora sperava di recuperare la
Mongolia Esterna. Inutile dirlo, del
cambiamento si occuparono soltanto i
rappresentanti moscoviti e tuvani,
senza curarsi minimamente
dell’opinione pubblica locale. La
regione venne così incorporata
all’interno della Repubblica
Socialista Federativa Sovietica
Russa (RSFSR) come oblast’
autonoma, elevata al rango di
repubblica socialistica sovietica
autonoma (RSSA) nel 1961.
L’annessione comportò da un lato la
collettivizzazione delle campagne,
dall’altro la russificazione della
società, riconducibile soprattutto a
due fattori. Anzitutto, nel sistema
scolastico divenne predominante
l’utilizzo della lingua di Puškin,
che finì per oscurare la presenza
della parlata autoctona. In seconda
battuta, le politiche moscovite
incentivarono il trasferimento di
manodopera russa, necessaria per
sviluppare l’industria locale.
Inoltre, spesso i prigionieri
reclusi nelle colonie penali tuvane
sceglievano di rimanere in loco
una volta scarcerati,
incrementando la componente
russofona.
Le relazioni tra Mosca e Kyzyl
rimasero pacifiche fintanto che
l’URSS si mostrò unita e stabile: la
dissoluzione dell’Unione, al
contrario, favorì l’emersione di
tensioni interetniche nella
repubblica siberiana. Difatti, parte
dei tuvani covava un forte rancore
nei confronti delle istituzioni
centrali, alimentato dalla
russificazione e dalle critiche
condizioni socioeconomiche. La
minoranza russa, dal canto suo, si
percepiva marginalizzata, data la
diffidenza che riscontrava tra gli
autoctoni. Peraltro, la situazione
linguistica della regione non
favoriva la distensione dei
rapporti: la maggioranza della
componente slava, effettivamente,
ignorava completamente la lingua
tuvana, mentre appena il 60% degli
indigeni era in grado di comunicare
in russo. In questo contesto nacque
Khostug Tyva, un partito
nazionalista che proponeva la
secessione di Tuva dalla Russia,
nella speranza di conseguire
l’indipendenza al pari dell’Ucraina
o del Kazakhstan. Le tensioni
accumulatesi sfociarono nel 1990 in
una rivolta russofoba, durante la
quale gruppi estremisti tuvani
attaccarono civili russi intermi.
Gran parte della minoranza slava –
terrorizzata dal clima sedizioso e
insoddisfatta delle magre
prospettive socioeconomiche – decise
di migrare altrove tra la fine del
XX e gli inizi del XXI secolo,
incentivata dall’assenza di legami
consolidati con un territorio in cui
risiedeva da pochi decenni.
Nonostante il fermento nazionalista,
la maggioranza degli abitanti non
riteneva concretizzabile il sogno
indipendentista, soprattutto a causa
della dipendenza economica di Tuva
dai sussidi elargiti dal Cremlino.
Ancora oggi la regione – colpita da
disoccupazione, alcolismo e
criminalità – rappresenta una delle
repubbliche più povere della
Federazione Russa, dalla quale
continua a ricevere lauti
finanziamenti.
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