[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 213 / SETTEMBRE 2025 (CCXLIV)


antica

Omnia quae nunc vetustissima credentur, nova fuere
SULLa Tabula Lugdunensis

di Andrea Piscitelli

 

La Tabula Lugdunensis o Claudiana, ovverosia il celebre documento bronzeo rinvenuto a Lione nel 1528 presso i resti dell’altare dedicato all’Imperatore e contenente un’orazione di quest’ultimo in cui si proponeva di integrare in Senato dei provinciali, in particolare i primores della Gallia Comata, è uno dei documenti più affascinanti e relativamente complessi da studiare e analizzare di tutta l’età imperiale. Il contenuto del documento epigrafico racchiude l’intero discorso tenuto dall’Imperatore di fronte all’alto consesso nel 48 d.C.. L’intenzione politica di Claudio fu esplicita: egli avrebbe voluto introdurre, come detto, l’élite di una zona specifica della Gallia nel Senato romano; con quest’ultimo che però, come dimostrato dalle parole di uno degli esponenti più illustri, Lucio Anneo Seneca, nutrì forti dubbi sulla linea politica dell’Imperatore. Infatti, analizzando una delle opere più illustri del filosofo Seneca, l’Apocolocyntosis, è possibile asserire all’idea che l’intenzione di Claudio, almeno per una parte del Senato, fosse quella di elargire la cittadinanza romana a tutti i provinciali, «aveva deciso infatti di vedere tutti in toga, Greci, Galli, Spagnoli, Britanni».

 

Questo ritratto, presente nell’Apocolocyntosis, non rispecchia la realtà dei fatti. In merito, lo storico Svetonio, sicuramente non un adulatore di Claudio, scrive: «Quanto a coloro che usurpavano il diritto di cittadinanza romana, li fece decapitare nel campo Esquilino». Questo dimostra che non si trattava di mera generosità, quindi la concessione della civitas romana non deve essere confusa come un’eccessiva benevolenza nei confronti dei provinciali. In questi casi, l’imparzialità dello storico viene in nostro soccorso e, grazie ad essa, possiamo affermare che Claudio si calava perfettamente nel primo periodo dell’età imperiale. Infatti, due suoi predecessori, Augusto e Tiberio, avevano già iniziato quel processo di integrazione delle province.

 

La Tabula di Lione getta luce sulle intenzioni politiche di Claudio ma, grazie ad esso, possiamo estrapolare ulteriori informazioni riguardanti la cultura letteraria del I secolo d.C., la storiografia, il rapporto tra i documenti epigrafici e le rielaborazioni coeve e successive e, infine, la storia del diritto romano, in particolare la dialettica fra Claudio e il Senato. In riferimento a quest’ultimo aspetto, risulta sorprendente la scelta del Senato di permettere ai soli Aedui di entrare nei ranghi senatoriali, escludendo quindi i Remi e i Lingones. La motivazione principale, secondo alcuni studiosi, si ricollega al principio di consanguinitas, intesa come parametro di comune discendenza da Troia con Roma. Personalmente, ritengo tale ricostruzione un po’ fuorviante, in quanto non si detengono documenti che testimoniano la discendenza troiana da parte degli Aedui; in merito si può asserire al fatto che questa popolazione, a differenza delle altre due, fosse maggiormente “romanizzata” e che fosse stata alleata di Roma in moltissime spedizioni orchestrate, nei decenni precedenti, dall’esercito romano. In conclusione, tornando al concetto meramente giuridico, questo documento, insieme alla successiva risposta del Senato, mostra come l’opinione dell’Imperatore non fosse ancora irrimediabilmente cogente.

 

Il contenuto della Tabula ci permette anche di smontare una retorica che ha ritratto, per molti secoli, l’Imperatore Claudio come un “stuttering buffoon”, ossia un balbuziente buffone. L’immagine appena avanzata, chiaramente distorta, è stata considerata per molto tempo come corrispondente alla realtà, come dimostrano alcune trasposizioni cinematografiche. Ad esempio, Claudius, una serie televisiva diretta da Derek Jacobi in cui, attraverso l’utilizzo errato di fonti primarie, come il già citato Svetonio e la celeberrima lettera dell’Imperatore Augusto alla moglie Livia, si presenta Claudio come un uomo insicuro e timido e per nulla esperto nell’arte della politica. Invece, gli argomenti adoperati e proposti da Claudio nella Tabula testimoniano una grande abilità dialettica, una grande inclinazione verso la storiografia romana e, infine, un’idea molto chiara su come volesse costruire la sua Roma. L’epigrafe ruota prevalentemente attorno all’idea che Roma, sin dalla sua fondazione, fosse stata aperta all’inclusione e all’integrazione; dapprima con il succedersi, a reges domestici, di reges alieni et quidam externi (riferimenti espliciti a Tarquino Prisco e Servio Tullio), poi attraverso l’apertura ai plebei e all’instaurazione della res pubblica. In merito, lo studioso Pierangelo Buongiorno scrive: «Una valenza della società romana che era pertanto, agli occhi di Claudio, quella di “innovare” e di servirsi, attraverso un processo osmotico che investisse la sfera etnica e sociale, delle forze nuove emergenti dai popoli con i quali Roma veniva a contatto». Questo giudizio, intersecato a tanti altri, provenienti da studiosi prevalentemente stranieri, dimostra che Claudio possedeva un enorme bagaglio culturale; relativamente a questo tema lo studioso Malloch scrive: «rising to the challange, Claudius deliveres a powerful speech […]. Claudius’ speech combined conventional rhetorical figures, attention to rhythm, a varied registrer, and intricate period to produce considerable colour and complexity». In poche parole, Claudio non si può considerare un “balbuziente buffone”, semplicemente parafrasando e decontestualizzando delle opere come quelle di Svetonio, il quale, pur essendo stato un suo detrattore, non lo ritrae solo in chiave negativa.

 

Infatti, dalla descrizione Svetoniana emergono dei tratti tipici comuni con altri imperatori romani, come, ad esempio, la volontà di far erigere statue commemorative, celebrare feste in onore dei suoi familiari più stretti, abusare della magistratura emettendo sentenze discutibili, istituire giochi ogni anno pur di assicurarsi l’appoggio del popolo e, infine, prestare una particolare attenzione alle feste religiose. Si può evincere, elencando queste caratteristiche, che Claudio non fu così diverso sia dai suoi predecessori che dai suoi successori. Un ulteriore dimostrazione è data dalla sua vita sentimentale turbolenta e i continui complotti orchestrati dai suoi detrattori, sino ad arrivare alla sua morte, improvvisa e senza una causa identificata con certezza, tipico di quasi tutti gli imperatori. Probabilmente, la visione distorta della storiografia coeva e successiva fu dovuta e condizionata dalle parole utilizzate da Augusto nella lettera richiamata poco fa.

 

Tornando al contenuto della Tabula e presentando alcune peculiarità presenti in essa, si può asserire al fatto che l’Imperatore sapeva cosa stesse facendo, in quanto, avanzando tali proposte, utilizzò una retorica duplice. La prima forma di retorica vide come protagonisti i Senatori, i quali andavano convinti della bontà di tale proposta; mentre la seconda retorica riguarda il messaggio, o il contenuto, che Claudio rivolse ai Galli. Quest’ultimo aspetto dimostra che l’Imperatore sapeva della trascrizione sulla Tabula del suo discorso, anche se non possiamo sapere con certezza se l’intervento tenuto e presentato al Senato sia lo stesso presente nel Santuario a Lione. Queste due retoriche richiamano da un lato quella politica, chiaramente rivolta all’alto consesso, e dall’altro quella epidittica, rivolta ai Galli con fini commemorativi e celebrativi. Grazie agli studi dello studioso Casper de Jonge, oggi sappiamo che queste due retoriche, o meglio dire tentativi di persuasione, sono intrecciate, in quanto Claudio sapeva di rivolgersi a questi due interlocutori contemporaneamente. Infatti, alcune fonti attestano che alcuni emissari giunsero dalla Gallia Comata a Roma e Claudio, forse informato del loro arrivo e informato della possibile trascrizione delle sue parole, cercò sia di autorappresentarsi come una figura che si calava nella storia secolare di Roma, sia come una divinità da venerare dai Galli per quanto stava cercando di concedere loro.

 

Queste due retoriche, quella politica ed epidittica, sono rintracciabili già solo leggendo la prima colonna della Tabula. A dimostrazione di ciò, nella prima sezione dell’epigrafe sono presenti continui riferimenti alla prima fase della storia romana, richiamando passaggi cruciali per la retorica, come ad esempio, l’alternanza tra i re di origine romana e di origine etrusca, l’influenza dei costumi etruschi nella società romana, il rinnovamento delle strutture politiche, e, infine, l’apertura verso le richieste plebee. In questa sezione Claudio dimostra una grande abilità retorica in quanto, verso la fine, afferma di voler ritornare al focus dell’intervento, ovvero sulla cittadinanza, pur sapendo però che, quello presentato sino a quel momento, sarebbe stato utile per giungere alla tesi del suo discorso, presente nella seconda colonna della Tabula. Difatti, in questa seconda sezione, oltre a richiamare le figure di Augusto e Tiberio e del loro intervento in questo ambito, Claudio segnala la presenza di senatori provenienti dalla colonia di Vienna che contribuirono, a suo dire, alla crescita dell’ordine equestre e al regolare funzionamento delle pratiche religiose a Roma. Alla fine di questo discorso l’Imperatore rammenta la salda fedeltà, dall’occupazione sino a quel momento, della Gallia Comata nei confronti di Roma. In sintesi, il contenuto segue un unico filo conduttore dall’inizio alla fine e presenta, ai nostri occhi, una figura, quella di Claudio, capace e, a tratti, autorevole anche al cospetto del Senato, dimostrando che il giudizio presentato da Augusto a Livia, nella lettera richiama svariate volte in questo articolo, fosse in parte infondata.

 

Il successo retorico della Tabula Lugdunensis è dovuto, a mio parere, a due concetti fondamentali: la costituzione di un determinato concetto attraverso gli exempla e la teoria dell’anchoring innovation.

 

Per quanto riguarda il primo costrutto teorico, Claudio usa gli exempla come una strategia retorica, usata in precedenza anche da altri suoi predecessori. L’importanza degli esempi nei discorsi politici è richiamata anche da Aristotele, il quale indica dei passaggi da seguire affinché essi siano efficaci. In merito, ritengo opportuno richiamare la definizione di Quintiliano: «[…] exemplum […] est rei gestae aut ut gestae utilis ad persuadendum id quod intenderis commemoratio». In questo passaggio l’oratore e maestro di retorica afferma che l’esempio, inteso come menzione di un evento passato, può essere usato per rafforzare il punto di vista di chi sta esponendo la propria tesi. Tra le righe si può rintracciare anche un altro aspetto, non secondario. L’uso della retorica attraverso gli exempla non prevede l’accuratezza storica, infatti molti studiosi hanno riscontrato alcune inesattezze circa il contenuto riguardante i richiami ad Augusto e Tiberio. Secondo Quintiliano, l’assenza di scrupolosità storica nei discorsi pubblici e politici è alla base delle differenze che intercorrono tra retorica e storia. Un’altra differenza, in questo senso, riguarda l’interlocutore. Molti studiosi hanno rilevato l’omissione, forse voluta, di molti dettagli nei suoi resoconti ma, a mio parere, hanno sottovalutato l’aspetto più importante: l’Imperatore stava interagendo con il Senato. Quest’ultimo aveva una grande dimestichezza con i richiami storici e sicuramente non aveva bisogno di assistere ad una lezione sulla storia romana. Quindi, l’uso degli exempla ci permette di desumere la volontà, da parte dell’Imperatore, di autorappresentarsi e di autocelebrarsi come uno studioso e, soprattutto, come libero pensatore della sua epoca. I continui richiami alla genealogia dei re di origini etrusche avvalorano ciò. Inoltre, grazie a questi passaggi e grazie a Svetonio, si può affermare con certezza che Claudio aveva una grande padronanza nello studio delle fonti. Ciò è testimoniato da alcune pubblicazioni di molti testi relativi alla storia etrusca, alla storia cartaginese e ad alcuni scritti in greco. Infine, senza sottovalutare la seconda retorica, quella epidittica, questi continui riferimenti ed esempi avrebbero sicuramente rafforzato il rapporto tra Gallia e Roma. In sostanza, chiunque fosse passato per il Santuario, in particolare gli abitanti autoctoni o altre popolazioni di origini galliche, avrebbero apprezzato quasi certamente i continui richiami all’inclusività e alla fedeltà di questi popoli nei confronti di Roma.

 

Oltre alla costruzione di un argomento con gli exempla, la Tabula Lugdunensis ci permette di introdurre anche il concetto di anchoring innovation, che in italiano si può tradurre con “radicare l’innovazione”. Con questa formula si intende, almeno per quanto riguarda la prassi politica, l’introduzione di una nuova riforma che diventerà, nel tempo, un fondamento e, quindi, parte integrante della tradizione del popolo in questione. Ma, restando circoscritti alla Tabula, questo concetto assume un significato leggermente diverso. Infatti, Claudio sostiene che questa apertura ai popoli stranieri non è una novità, in quanto la storia romana ha sempre avuto periodi in cui ha subito influenze dall’esterno. Con questo ragionamento si può dedurre che, dietro le parole di Claudio, ossia la sua volontà di introdurre i senatori provenienti dalla Gallia Comata, non risultava esserci una novità, bensì si rifaceva alla tradizione e alla storia romana. In sostanza, Claudio non si considerava un innovatore. L’anchoring innovation è un costrutto storiografico che ha visto molti storici confrontarsi, in particolare nel contesto accademico olandese. Segnatamente lo storico Sluiter ha definito questo concetto: «Innovations may become acceptable, understandable, and desirable when relevant social groups can effectively integrate and accommodate them in their conceptual categories, values, beliefs and ambitions. This is the case when they can connect what is perceived as new to what they consider familiar, known, already accepted, when, that is, innovations are “anchored”». Questa definizione ci permette di affermare che il popolo romano, qualora la proposta di Claudio fosse stata accettata, non avrebbe percepito questo cambiamento come innovazione, ma come estensione di un qualcosa appartenente già alla tradizione, quindi “ancorato” al passato. Le parole utilizzate da Claudio, nella prima parte della Tabula sono emblematiche: «In verità vi chiedo di allontanare prima fra tutte quella riflessione comune agli uomini, che prevedo mi si opporrà assolutamente per prima, in modo tale che non inorridiate al pensiero che venga introdotta codesta questione come se fosse una novità». L’Imperatore asserisce al fatto che tutto è cambiamento e tutto evolve per un motivo. Inoltre, all’inizio della seconda colonna della Tabula, egli “ancora” la sua proposta ai suoi predecessori, Augusto e Tiberio, i quali permisero l’entrata in Senato di cittadini provenienti da Lione e Vienna. Con questi richiami, nemmeno troppo velati, mise in difficoltà il Senato, in quanto, rifiutando i Galli Comati, avrebbero criticato esplicitamente l’apertura fatta in precedenza da due grandi imperatori.

 

All’inizio di questo articolo, ho presentato la Tabula come un documento attraverso cui estrapolare molteplici informazioni riguardanti la Roma del I sec. D.C.. In particolare, il contenuto ha permesso di analizzare lo stile letterario, essendo stato quest’ultimo fortemente influenzato dagli echi ciceroniani e dalle orazioni attribuite da Livio al tribuno Canuleio; inoltre ha reso possibile esaminare il rapporto tra il Senato e l’Imperatore, il diritto romano nel I secolo e le rielaborazioni successive, in particolare quella di Tacito. Oltre a ciò, la Tabula ha smontato ogni critica e accusa nei confronti di un Imperatore da sempre bistrattato e considerato un “clumsy stutterer”, ossia un balbuziente impacciato. Come detto in precedenza, sebbene la sua orazione non rappresenti un esempio di prosa fluente e sebbene non abbia raggiunto l’obiettivo iniziale, ossia elargire la cittadinanza agli abitanti della Gallia Comata, le sue parole dimostrano una grande conoscenza dei dettami aristotelici nella produzione degli exempla e dimostrano anche una spropositata conoscenza della storia romana. Claudio costruì un discorso con cura, preoccupandosi delle possibili obiezioni degli oppositori e considerando le possibili reazioni degli abitanti di Lugdunum. Infatti, egli capì, forse anticipando qualche suo successore, l’importanza di estendere la cittadinanza e, conseguentemente, aprire le porte del Senato anche alle popolazioni extra-italiche, rinnovando così i luoghi di potere, sia per scongiurare delle rivolte, sia perché aveva afferrato l’intrinseco significato di Impero.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Aristotele, Retorica, trad. it. a cura di C. Viano, Retorica, Laterza, Bari 2021

P. Buongiorno, La tabula Lugdunensis e i fondamenti ideologici e giuridici dell’adlectio inter patricios di Claudio, in O. Licandro, C. Giuffrida, M. Cassia, Senatori, Cavalieri e Curiali fra privilegi ereditari e mobilità verticale, in «L’Erma», Roma 2020

C. de Jonge, Gauls in the Roman Senate: A Rhetorical Analysis of Claudius’ Speech Preserved on the Tabula Lugdunensis, «Millenium», 21(1), De Gruyter 2024

A. De Vivo, Tacito e Claudio. Storia e codificazione letteraria, Liguori, Napoli 1980

S. J. V. Malloch, Tacitus and the Speech of Claudius on the Tabula Lugdunensis, «Lampas», 56(4), Amsterdam 2023, pp. 319-331

S. J. V. Malloch, The Tabula Lugdunensis: A Critical Edition with Translation and Commentary, Cambridge University Press, Cambridge 2020

Quintiliano, Instituto oratoria, trad. it. a cura A. Pennacini, La formazione dell’oratore, Einaudi, Torino 2001

L. A. Seneca, Divi Claudii Apocolocyntosis, trad. it. a cura di R. Mugellesi, Apocolocyntosis, Rizzoli, Milano 2022

I. Sluiter, “Anchoring Innovation: A Classical Research Agenda”, «European Review», 25(1), Cambridge 2017, pp. 20-38

Svetonio, De vita Caesarum, trad. it. a cura di E. Noseda, Vita dei Cesari, Garzanti, Milano 2000

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]