La Tabula Lugdunensis o
Claudiana, ovverosia il celebre
documento bronzeo rinvenuto a Lione
nel 1528 presso i resti dell’altare
dedicato all’Imperatore e contenente
un’orazione di quest’ultimo in cui
si proponeva di integrare in Senato
dei provinciali, in particolare i
primores della Gallia Comata, è
uno dei documenti più affascinanti e
relativamente complessi da studiare
e analizzare di tutta l’età
imperiale. Il contenuto del
documento epigrafico racchiude
l’intero discorso tenuto
dall’Imperatore di fronte all’alto
consesso nel 48 d.C.. L’intenzione
politica di Claudio fu esplicita:
egli avrebbe voluto introdurre, come
detto, l’élite di una zona specifica
della Gallia nel Senato romano; con
quest’ultimo che però, come
dimostrato dalle parole di uno degli
esponenti più illustri, Lucio Anneo
Seneca, nutrì forti dubbi sulla
linea politica dell’Imperatore.
Infatti, analizzando una delle opere
più illustri del filosofo Seneca, l’Apocolocyntosis,
è possibile asserire all’idea che
l’intenzione di Claudio, almeno per
una parte del Senato, fosse quella
di elargire la cittadinanza romana a
tutti i provinciali, «aveva deciso
infatti di vedere tutti in toga,
Greci, Galli, Spagnoli, Britanni».
Questo ritratto, presente nell’Apocolocyntosis,
non rispecchia la realtà dei fatti.
In merito, lo storico Svetonio,
sicuramente non un adulatore di
Claudio, scrive: «Quanto a coloro
che usurpavano il diritto di
cittadinanza romana, li fece
decapitare nel campo Esquilino».
Questo dimostra che non si trattava
di mera generosità, quindi la
concessione della civitas romana
non deve essere confusa come
un’eccessiva benevolenza nei
confronti dei provinciali. In questi
casi, l’imparzialità dello storico
viene in nostro soccorso e, grazie
ad essa, possiamo affermare che
Claudio si calava perfettamente nel
primo periodo dell’età imperiale.
Infatti, due suoi predecessori,
Augusto e Tiberio, avevano già
iniziato quel processo di
integrazione delle province.
La Tabula di Lione getta luce
sulle intenzioni politiche di
Claudio ma, grazie ad esso, possiamo
estrapolare ulteriori informazioni
riguardanti la cultura letteraria
del I secolo d.C., la storiografia,
il rapporto tra i documenti
epigrafici e le rielaborazioni coeve
e successive e, infine, la storia
del diritto romano, in particolare
la dialettica fra Claudio e il
Senato. In riferimento a
quest’ultimo aspetto, risulta
sorprendente la scelta del Senato di
permettere ai soli Aedui di
entrare nei ranghi senatoriali,
escludendo quindi i Remi e i
Lingones. La motivazione
principale, secondo alcuni studiosi,
si ricollega al principio di
consanguinitas, intesa come
parametro di comune discendenza da
Troia con Roma. Personalmente,
ritengo tale ricostruzione un po’
fuorviante, in quanto non si
detengono documenti che testimoniano
la discendenza troiana da parte
degli Aedui; in merito si può
asserire al fatto che questa
popolazione, a differenza delle
altre due, fosse maggiormente
“romanizzata” e che fosse stata
alleata di Roma in moltissime
spedizioni orchestrate, nei decenni
precedenti, dall’esercito romano. In
conclusione, tornando al concetto
meramente giuridico, questo
documento, insieme alla successiva
risposta del Senato, mostra come
l’opinione dell’Imperatore non fosse
ancora irrimediabilmente cogente.
Il contenuto della Tabula ci
permette anche di smontare una
retorica che ha ritratto, per molti
secoli, l’Imperatore Claudio come un
“stuttering buffoon”, ossia
un balbuziente buffone. L’immagine
appena avanzata, chiaramente
distorta, è stata considerata per
molto tempo come corrispondente alla
realtà, come dimostrano alcune
trasposizioni cinematografiche. Ad
esempio, Claudius, una serie
televisiva diretta da Derek Jacobi
in cui, attraverso l’utilizzo errato
di fonti primarie, come il già
citato Svetonio e la celeberrima
lettera dell’Imperatore Augusto alla
moglie Livia, si presenta Claudio
come un uomo insicuro e timido e per
nulla esperto nell’arte della
politica. Invece, gli argomenti
adoperati e proposti da Claudio
nella Tabula testimoniano una
grande abilità dialettica, una
grande inclinazione verso la
storiografia romana e, infine,
un’idea molto chiara su come volesse
costruire la sua Roma. L’epigrafe
ruota prevalentemente attorno
all’idea che Roma, sin dalla sua
fondazione, fosse stata aperta
all’inclusione e all’integrazione;
dapprima con il succedersi, a
reges domestici, di reges
alieni et quidam externi
(riferimenti espliciti a Tarquino
Prisco e Servio Tullio), poi
attraverso l’apertura ai plebei e
all’instaurazione della res
pubblica. In merito, lo studioso
Pierangelo Buongiorno scrive: «Una
valenza della società romana che era
pertanto, agli occhi di Claudio,
quella di “innovare” e di servirsi,
attraverso un processo osmotico che
investisse la sfera etnica e
sociale, delle forze nuove emergenti
dai popoli con i quali Roma veniva a
contatto». Questo giudizio,
intersecato a tanti altri,
provenienti da studiosi
prevalentemente stranieri, dimostra
che Claudio possedeva un enorme
bagaglio culturale; relativamente a
questo tema lo studioso Malloch
scrive: «rising to the challange,
Claudius deliveres a powerful speech
[…]. Claudius’
speech combined conventional
rhetorical figures, attention to
rhythm, a varied registrer, and
intricate period to produce
considerable colour and complexity».
In poche parole, Claudio non
si può considerare un “balbuziente
buffone”, semplicemente parafrasando
e decontestualizzando delle opere
come quelle di Svetonio, il quale,
pur essendo stato un suo detrattore,
non lo ritrae solo in chiave
negativa.
Infatti, dalla descrizione
Svetoniana emergono dei tratti
tipici comuni con altri imperatori
romani, come, ad esempio, la volontà
di far erigere statue commemorative,
celebrare feste in onore dei suoi
familiari più stretti, abusare della
magistratura emettendo sentenze
discutibili, istituire giochi ogni
anno pur di assicurarsi l’appoggio
del popolo e, infine, prestare una
particolare attenzione alle feste
religiose. Si può evincere,
elencando queste caratteristiche,
che Claudio non fu così diverso sia
dai suoi predecessori che dai suoi
successori. Un ulteriore
dimostrazione è data dalla sua vita
sentimentale turbolenta e i continui
complotti orchestrati dai suoi
detrattori, sino ad arrivare alla
sua morte, improvvisa e senza una
causa identificata con certezza,
tipico di quasi tutti gli
imperatori. Probabilmente, la
visione distorta della storiografia
coeva e successiva fu dovuta e
condizionata dalle parole utilizzate
da Augusto nella lettera richiamata
poco fa.
Tornando al contenuto della
Tabula e presentando alcune
peculiarità presenti in essa, si può
asserire al fatto che l’Imperatore
sapeva cosa stesse facendo, in
quanto, avanzando tali proposte,
utilizzò una retorica duplice. La
prima forma di retorica vide come
protagonisti i Senatori, i quali
andavano convinti della bontà di
tale proposta; mentre la seconda
retorica riguarda il messaggio, o il
contenuto, che Claudio rivolse ai
Galli. Quest’ultimo aspetto dimostra
che l’Imperatore sapeva della
trascrizione sulla Tabula del
suo discorso, anche se non possiamo
sapere con certezza se l’intervento
tenuto e presentato al Senato sia lo
stesso presente nel Santuario a
Lione. Queste due retoriche
richiamano da un lato quella
politica, chiaramente rivolta
all’alto consesso, e dall’altro
quella epidittica, rivolta ai Galli
con fini commemorativi e
celebrativi. Grazie agli studi dello
studioso Casper de Jonge, oggi
sappiamo che queste due retoriche, o
meglio dire tentativi di
persuasione, sono intrecciate, in
quanto Claudio sapeva di rivolgersi
a questi due interlocutori
contemporaneamente. Infatti, alcune
fonti attestano che alcuni emissari
giunsero dalla Gallia Comata a Roma
e Claudio, forse informato del loro
arrivo e informato della possibile
trascrizione delle sue parole, cercò
sia di autorappresentarsi come una
figura che si calava nella storia
secolare di Roma, sia come una
divinità da venerare dai Galli per
quanto stava cercando di concedere
loro.
Queste due retoriche, quella
politica ed epidittica, sono
rintracciabili già solo leggendo la
prima colonna della Tabula. A
dimostrazione di ciò, nella prima
sezione dell’epigrafe sono presenti
continui riferimenti alla prima fase
della storia romana, richiamando
passaggi cruciali per la retorica,
come ad esempio, l’alternanza tra i
re di origine romana e di origine
etrusca, l’influenza dei costumi
etruschi nella società romana, il
rinnovamento delle strutture
politiche, e, infine, l’apertura
verso le richieste plebee. In questa
sezione Claudio dimostra una grande
abilità retorica in quanto, verso la
fine, afferma di voler ritornare al
focus dell’intervento, ovvero sulla
cittadinanza, pur sapendo però che,
quello presentato sino a quel
momento, sarebbe stato utile per
giungere alla tesi del suo discorso,
presente nella seconda colonna della
Tabula. Difatti, in questa
seconda sezione, oltre a richiamare
le figure di Augusto e Tiberio e del
loro intervento in questo ambito,
Claudio segnala la presenza di
senatori provenienti dalla colonia
di Vienna che contribuirono, a suo
dire, alla crescita dell’ordine
equestre e al regolare funzionamento
delle pratiche religiose a Roma.
Alla fine di questo discorso
l’Imperatore rammenta la salda
fedeltà, dall’occupazione sino a
quel momento, della Gallia Comata
nei confronti di Roma. In sintesi,
il contenuto segue un unico filo
conduttore dall’inizio alla fine e
presenta, ai nostri occhi, una
figura, quella di Claudio, capace e,
a tratti, autorevole anche al
cospetto del Senato, dimostrando che
il giudizio presentato da Augusto a
Livia, nella lettera richiama
svariate volte in questo articolo,
fosse in parte infondata.
Il successo retorico della Tabula
Lugdunensis è dovuto, a mio
parere, a due concetti fondamentali:
la costituzione di un determinato
concetto attraverso gli exempla
e la teoria dell’anchoring
innovation.
Per quanto riguarda il primo
costrutto teorico, Claudio usa gli
exempla come una strategia
retorica, usata in precedenza anche
da altri suoi predecessori.
L’importanza degli esempi nei
discorsi politici è richiamata anche
da Aristotele, il quale indica dei
passaggi da seguire affinché essi
siano efficaci. In merito, ritengo
opportuno richiamare la definizione
di Quintiliano: «[…] exemplum […]
est rei gestae aut ut gestae utilis
ad persuadendum id quod intenderis
commemoratio». In questo
passaggio l’oratore e maestro di
retorica afferma che l’esempio,
inteso come menzione di un evento
passato, può essere usato per
rafforzare il punto di vista di chi
sta esponendo la propria tesi. Tra
le righe si può rintracciare anche
un altro aspetto, non secondario.
L’uso della retorica attraverso gli
exempla non prevede
l’accuratezza storica, infatti molti
studiosi hanno riscontrato alcune
inesattezze circa il contenuto
riguardante i richiami ad Augusto e
Tiberio. Secondo Quintiliano,
l’assenza di scrupolosità storica
nei discorsi pubblici e politici è
alla base delle differenze che
intercorrono tra retorica e storia.
Un’altra differenza, in questo
senso, riguarda l’interlocutore.
Molti studiosi hanno rilevato
l’omissione, forse voluta, di molti
dettagli nei suoi resoconti ma, a
mio parere, hanno sottovalutato
l’aspetto più importante:
l’Imperatore stava interagendo con
il Senato. Quest’ultimo aveva una
grande dimestichezza con i richiami
storici e sicuramente non aveva
bisogno di assistere ad una lezione
sulla storia romana. Quindi, l’uso
degli exempla ci permette di
desumere la volontà, da parte
dell’Imperatore, di
autorappresentarsi e di
autocelebrarsi come uno studioso e,
soprattutto, come libero pensatore
della sua epoca. I continui richiami
alla genealogia dei re di origini
etrusche avvalorano ciò. Inoltre,
grazie a questi passaggi e grazie a
Svetonio, si può affermare con
certezza che Claudio aveva una
grande padronanza nello studio delle
fonti. Ciò è testimoniato da alcune
pubblicazioni di molti testi
relativi alla storia etrusca, alla
storia cartaginese e ad alcuni
scritti in greco. Infine, senza
sottovalutare la seconda retorica,
quella epidittica, questi continui
riferimenti ed esempi avrebbero
sicuramente rafforzato il rapporto
tra Gallia e Roma. In sostanza,
chiunque fosse passato per il
Santuario, in particolare gli
abitanti autoctoni o altre
popolazioni di origini galliche,
avrebbero apprezzato quasi
certamente i continui richiami all’inclusività
e alla fedeltà di questi popoli nei
confronti di Roma.
Oltre alla costruzione di un
argomento con gli exempla, la
Tabula Lugdunensis ci
permette di introdurre anche il
concetto di anchoring innovation,
che in italiano si può tradurre con
“radicare l’innovazione”. Con questa
formula si intende, almeno per
quanto riguarda la prassi politica,
l’introduzione di una nuova riforma
che diventerà, nel tempo, un
fondamento e, quindi, parte
integrante della tradizione del
popolo in questione. Ma, restando
circoscritti alla Tabula,
questo concetto assume un
significato leggermente diverso.
Infatti, Claudio sostiene che questa
apertura ai popoli stranieri non è
una novità, in quanto la storia
romana ha sempre avuto periodi in
cui ha subito influenze
dall’esterno. Con questo
ragionamento si può dedurre che,
dietro le parole di Claudio, ossia
la sua volontà di introdurre i
senatori provenienti dalla Gallia
Comata, non risultava esserci una
novità, bensì si rifaceva alla
tradizione e alla storia romana. In
sostanza, Claudio non si considerava
un innovatore. L’anchoring
innovation è un costrutto
storiografico che ha visto molti
storici confrontarsi, in particolare
nel contesto accademico olandese.
Segnatamente lo
storico Sluiter ha definito questo
concetto: «Innovations may become
acceptable, understandable, and
desirable when relevant social
groups can effectively integrate and
accommodate them in their conceptual
categories, values, beliefs and
ambitions. This is the case when
they can connect what is perceived
as new to what they consider
familiar, known, already accepted,
when, that is, innovations are
“anchored”». Questa
definizione ci permette di affermare
che il popolo romano, qualora la
proposta di Claudio fosse stata
accettata, non avrebbe percepito
questo cambiamento come innovazione,
ma come estensione di un qualcosa
appartenente già alla tradizione,
quindi “ancorato” al passato. Le
parole utilizzate da Claudio, nella
prima parte della Tabula sono
emblematiche: «In verità vi chiedo
di allontanare prima fra tutte
quella riflessione comune agli
uomini, che prevedo mi si opporrà
assolutamente per prima, in modo
tale che non inorridiate al pensiero
che venga introdotta codesta
questione come se fosse una novità».
L’Imperatore asserisce al fatto che
tutto è cambiamento e tutto evolve
per un motivo. Inoltre, all’inizio
della seconda colonna della
Tabula, egli “ancora” la sua
proposta ai suoi predecessori,
Augusto e Tiberio, i quali permisero
l’entrata in Senato di cittadini
provenienti da Lione e Vienna. Con
questi richiami, nemmeno troppo
velati, mise in difficoltà il
Senato, in quanto, rifiutando i
Galli Comati, avrebbero criticato
esplicitamente l’apertura fatta in
precedenza da due grandi imperatori.
All’inizio di questo articolo, ho
presentato la Tabula come un
documento attraverso cui estrapolare
molteplici informazioni riguardanti
la Roma del I sec. D.C.. In
particolare, il contenuto ha
permesso di analizzare lo stile
letterario, essendo stato
quest’ultimo fortemente influenzato
dagli echi ciceroniani e dalle
orazioni attribuite da Livio al
tribuno Canuleio; inoltre ha reso
possibile esaminare il rapporto tra
il Senato e l’Imperatore, il diritto
romano nel I secolo e le
rielaborazioni successive, in
particolare quella di Tacito. Oltre
a ciò, la Tabula ha smontato
ogni critica e accusa nei confronti
di un Imperatore da sempre
bistrattato e considerato un “clumsy
stutterer”, ossia un balbuziente
impacciato. Come detto in
precedenza, sebbene la sua orazione
non rappresenti un esempio di prosa
fluente e sebbene non abbia
raggiunto l’obiettivo iniziale,
ossia elargire la cittadinanza agli
abitanti della Gallia Comata, le sue
parole dimostrano una grande
conoscenza dei dettami aristotelici
nella produzione degli exempla
e dimostrano anche una
spropositata conoscenza della storia
romana. Claudio costruì un discorso
con cura, preoccupandosi delle
possibili obiezioni degli oppositori
e considerando le possibili reazioni
degli abitanti di Lugdunum.
Infatti, egli capì, forse
anticipando qualche suo successore,
l’importanza di estendere la
cittadinanza e, conseguentemente,
aprire le porte del Senato anche
alle popolazioni extra-italiche,
rinnovando così i luoghi di potere,
sia per scongiurare delle rivolte,
sia perché aveva afferrato
l’intrinseco significato di Impero.
Riferimenti bibliografici: