[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

176 / AGOSTO 2022 (CCVII)


filosofia & religione

SUL DOLORE
RIFLESSIONI DAL SAGGIO DI BYUNG-CHUL HAN

di Raffaele Pisani

 

In quest’opera agile e snella, Byung-Chul Han, filosofo tedesco di origine coreana, tratteggia chiamando in causa numerosi pensatori il tema del dolore; lo fa per mettere in luce il tempo che stiamo vivendo caratterizzato da una società che invece di affrontare il problema si adopera per marginalizzarlo e nasconderlo.

 

Sia il titolo: La società senza dolore, come anche il sottotitolo: Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, presi alla lettera potrebbero indurre a pensare che si parla di una comunità felice. L’autore intende invece farci vedere come la società attuale sia caratterizzata da un’anestesia permanente.

 

Se accettiamo questa tesi possiamo dire di essere diventati l’opposto degli antichi Greci di cui ci diciamo eredi: il bello e il tragico sono spariti dai nostri orizzonti per lasciare spazio a un sistema culturale e sociale che l’autore definisce democrazia palliativa. Leggiamo: «Il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione. Esso non è compatibile con la performance. La passività della sofferenza non ha alcun posto nella società dominata dal poter fare. Oggi il dolore viene privato di qualsiasi possibilità diespressione: viene condannato a tacere. La società palliativa non permette di animare, verbalizzare il dolore facendone una passione» (p. 7).

 

La politica palliativa non ha il coraggio di guardare gli aspetti dolorosi della realtà e preferisce accontentare nel presente la sua base popolare di riferimento, anche l’arte diventa compiacente e consumabile. Ma così si scorda la funzione catartica del dolore, comunque si possa intendere il termine.

 

A questo proposito vale forse la pena di confrontare l’attualità presentata dall’autore con la condizione umana nel lungo periodo. Il dolore come privazione: il deserto purificatore del popolo ebreo contrapposto alla tentazione di un ritorno a una cattività, che comunque garantisce cibo abbondante. Al giorno d’oggi l’alternativa che si propone per il cittadino è tra una vita politica coraggiosamente partecipata e la prospettiva, peraltro sempre meno certa, di un benessere economico capace di mettere a tacere ogni idealità sociale.

 

La verità si trova spesso a essere legata al dolore; nel caso di Socrate gli Ateniesi, feriti da una verità che li vedeva colpevoli, preferirono eliminare il filosofo. Re Davide invece, che aveva fatto in modo che Uria perisse in battaglia e si era preso la moglie Betsabea, richiamato dal profeta Natan, prende atto della dolorosa verità che lo vede colpevole e affronta la situazione.

 

La verità purificante si accompagna al dolore, Hadewijch di Anversa, poetessa mistica del XIII secolo, dice in un verso di Mengeldicht: «un pensiero tanto puro ferirebbe la lingua di chi volesse parlarne».

 

Nel breve e intenso paragrafo intitolato La verità del dolore, il Nostro fa tante affermazioni perentorie che richiedono qualche riflessione. Leggiamo: «Il dolore è realtà. Sortisce un effetto di reale. Noi percepiamo la realtà a partire dalla resistenza che provoca dolore. L’anestesia permanente della società palliativa derealizza il mondo» (p. 41).

 

Nella stessa pagina leggiamo anche: «Provo dolore quindi sono». Scontato il riferimento a Cartesio, si può cercare di procedere nell’analogia. Se il cogito cartesiano conduce alla consapevolezza di essere pensiero, il soffrire byung-chulhaniano (sic!) porta a riconoscersi come dolore.

 

«Tutto ciò che è vero è doloroso», troviamo scritto in corsivo a pagina 39; poco dopo parla del rapporto tra la totalità di un organismo e un qualunque organo, di cui si prende coscienza nel momento in cui duole. Questo porterebbe a una visione radicalmente pessimista di tipo leopardiano e schopenhaueriano.

 

Quando respiriamo aria fresca o siamo accarezzati dal tepore del sole scopriamo gli organi corrispondenti nella piacevolezza, quando Byung-Chul Han coltiva il suo giardino segreto, come egli stesso racconta nel suo Elogio della terra, prende coscienza di una realtà profonda senza che il dolore la faccia da padrone.

 

Se il dolore è una modalità di conoscere la verità, pensiamo lo possa essere anche l’armonia, da quella di un corpo organico ben funzionante a quella cosmica. Tutto ciò senza mettere in discussione la tesi fondamentale del saggio, che vede la società attuale bandire la sofferenza dalle nostre vite e che giudica il dolore come un imbarazzante residuo privo di significato.

 

La società palliativa riesce talvolta a tenerlo lontano, ma il dolore ritorna in altre forme: i progressi della medicina hanno messo ai margini tante malattie, ma il male si prende le sue rivincite con le patologie degenerative, la noia e l’autolesionismo; per questo nel libro si parla della dialettica e dell’astuzia del dolore.

 

Questo non si limita a perseguitare l’uomo ma fa in modo di essere reclamato, qualora fosse assente; la produzione artistico-letteraria lo richiede. Riportando un discorso di Proust: «Malgrado mi amareggi il fatto di dover patire dolori fisici così insopportabili, divenuti soprattutto negli ultimi mesi inesorabili accompagnatori delle mie ambasce, io m’aggrappo a questi miei dolori e detesto il sol pensiero che possano andarsene» (p. 43).

 

Il dolore dell’altro, con il quale un soggetto genuinamente umano dovrebbe entrare in un rapporto empatico sentendosi per così dire ferito nella propria carne, viene oggi svilito nell’abbondanza di immagini di violenza, che con gli attuali mezzi di diffusione ci raggiungono continuamente, quando non siamo noi stessi a cercarle.

 

La trasformazione dell’altro in oggetto e in numero porta l’autore a riprendere per un po’ il tema della pandemia già trattato nel paragrafo intitolato "Sopravvivere" (pp. 19-25). Leggiamo all’inizio: «Il virus fa breccia nella zona di benessere palliativa e la trasforma in una quarantena in cui la vita s’irrigidisce diventando mera sopravvivenza. Più la vita è sopravvivenza, più si ha paura della morte. In fin dei conti, l’algofobia è tanatofobia. La pandemia rende di nuovo visibile la morte da noi meticolosamente rimossa e sfrattata. La sovraesposizione della morte ci rende nervosi».

 

Alla società palliativa, permissiva e pervasiva, se ne contrappone nei periodi pandemici una caratterizzata da barriere e divieti; dove prima eravamo sovrani pressoché assoluti ora dobbiamo fare i conti con un avversario invisibile e perciò ancor più temibile.

 

L’autore racconta come la società reagisca medicalizzando e monitorando l’esistenza della popolazione, tutto ciò al fine di una mera sopravvivenza biologica, con il sacrificio dell’essenza di umanità, la sola che possa rendere significativa la vita.

 

Il testo non accenna a soluzioni alternative che le istituzioni dovrebbero attuare e non accenna neppure alle posizioni negazioniste, queste sì palliative. Nascondono il dolore e la morte, oppure, come il manzoniano don Rodrigo colto dai sintomi della peste che vorrebbe attribuire al vino e alla calura estiva, fanno riferimento a un’altra origine che forse inquieta meno.

 

Chiedersi nel momento della tribolazione quale sia l’essenza del dolore pare essere una questione oziosa; analoga a quella che don Ferrante, altro personaggio manzoniano, poneva nei confronti della peste. Il buon senso spinge piuttosto ad azioni pratiche come fuggire o anche affrontare per tentare di porre qualche rimedio.

 

Nel paragrafo intitolato "Ontologia del dolore", il Nostro parla della posizione di Heidegger in proposito. Interpretando arditamente il pensiero del filosofo di Friburgo e il rapporto tra essere e dolore, giungerà ad affermare che «Heidegger direbbe addirittura: essere è dolore» (p. 54).

 

A Ernst Jünger che tratta l’argomento nel saggio intitolato appunto: Sul dolore, presupponendo che ognuno sappia cos’è, Heidegger risponde: «Dimmi il tuo rapporto con l’essere, nel caso tu ne abbia presentimento, e ti dirò come e se ti “occuperai” “del dolore” o se ti è possibile riflettere su di esso col pensiero» (pp. 53-54).

 

Ma cos’è il dolore? Byung-Chul Han si confronta con Heidegger il quale «Vuole penetrare nell’essenza del dolore passando per l’essere» (p. 54). L’uomo come gli altri enti sgorga per così dire dall’essere «viene colpito e chiamato da una voce (Stimme) che suona tanto più pura, quanto più senza suono essa risuona attraverso ciò che è sonoro» (p. 55), in riferimento all’opera Heideggeriana: Il principio di ragione.

 

La morte, che condiziona l’intera umana esistenza, è relazione con il completamente Altro, con ciò di cui non possiamo disporre; il male è una sorta di morte in miniatura. «Il dolore rende l’essere umano ricettivo nei confronti dell’indisponibile che gli offre soggiorno e appiglio. Il dolore regge l’esistenza umana» (p. 56).

 

La voce dell’essere del completamente Altro appare quando la parola nella sua sonorità viene meno; la poesia è quel residuo cantabile che ci avvicina al silenzio. Il sentimento del dolore e della morte, che accompagna l’esistenza umana ci mette in relazione con il totalmente Altro, per questo esso si configura, paradossalmente, come un dono.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Byung-Chul Han, La società senza dolore, Einaudi, Torino 2022;

Byung-Chul Han, Elogio della terra, Nottetempo, Milano 2021;

Martin Heidegger, Il principio di ragione, Adelphi, Milano 1991;

Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Mursia Editore, Milano 2014.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]