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filosofia & religione


N. 51 - Marzo 2012 (LXXXII)

"adoranti" vs "non adoranti"
Storia di ribelli, libri e idee cristologiche nell'unitarianesimo del '500

di F.M. Sudbury

 

Forse è il destino delle idee religiose elitarie, radicali, quello di frantumarsi in più rivoli interpretativi, di rivoltarsi in pieghe legate a questa o quell’ottica. Forse è naturale che sia così, a pensarci bene: se sei così forte da non piegarti all’ortodossia ufficiale, se sei così certo della tua fede da non aver paura di essere minoranza, a volte anche estrema, se sei così coraggioso da sfidare l’ordine costituito rischiando anche la tua vita (ed è capitato spesso), non puoi, non devi accettare compromessi e, per quanto tu possa essere aperto al dialogo, non ti adeguerai mai al pensiero altrui se non ne sarai più che convinto.


E se è vero che ogni uomo si costruisce la propria immagine di Dio e che, per certi versi, la "libera interpretazione" sta alla radice stessa del senso della Riforma, allora le scissioni dottrinarie sono quasi normali, in fin dei conti implicite nel sistema di pensiero all'interno del quale sorgono. C’è una storia esemplare in questo senso, una storia della riforma radicale del XVI secolo, quella della divisione degli Unitariani.

Questa storia ha uno sfondo ideologico tragico, lo sfondo della Controriforma, dell'Inquisizione onnipresente, della ricattolicizzazione forzata dell'Europa e della volontà asburgica di costruire un impero universale cattolico, apostolico e romano. Ha lo sfondo tragico di centinaia di liberi pensatori che "non ci sono stati", che non hanno piegato la testa e che, per questo, hanno dovuto abbandonare i loro paesi troppo strettamente sottomessi all'imperium teologico papale per rifugiarsi in provvisorie oasi di libertà nel cuore centro orientale del continente, laddove i confini con l'Islam insorgente da est si facevano sfumati e i troppi campi di battaglia impedivano un controllo ideologico di stampo poliziesco.

Questa storia ha anche un "padre nobile", un medico e cartografo aragonese, con ogni probabilità di lontane ascendenze marrane, di nome Miguel Serveto Conesa . Miguel è un giovane umanista erasmiano che conosce greco, latino ed ebraico mentre, viaggiando al servizio del frate francescano Juan de Quintana, confessore dell'imperatore Carlo V, conosce, tra il 1530 e il 1531 (quando ha solo vent'anni) alcuni dei grandi nomi della Riforma, da Ecolampadio a Martin Bucer e Capito. Probabilmente era già protestante ma certamente il frutto di questi incontri è una profonda meditazione cristologica che lo porta a pubblicare, in meno di 18 mesi e sotto lo pseudonimo di Michel de Villeneuve, tre trattati ("De Trinitatis Erroribus", "Dialogorum de Trinitate" e "De Iustitia Regni Christi") in cui osa esprimere ciò che nessuno, cattolico o riformato che sia, a quel tempo vuole sentire: che Dio è uno, che la trinità non esiste e che Cristo era un uomo.

 

Dopo questa prima fiammata, si dedica alla medicina, si laurea a Parigi, diventa addirittura medico dell'arcivescovo di Vienne. Ciononostante, evidentemente, il fuoco del libero pensiero non si spegne dentro di lui: inizia una corrispondenza con Calvino (che non lo ama particolarmente per le sue idee così "a-dogmatiche" e non sa di rispondere all'antitrinitario Michel de Villeneuve) e, soprattutto, nel 1553 ha l'ardire di pubblicare quello che sarà il suo testo fondamentale, la "Christianismi Restitutio", in cui giunge a negare l'innegabile sia per Cattolici che per Riformati, che Dio condanni l'anima dei reprobi in eterno.

 

In qualche modo, con questo testo firma la sua condanna a morte: deve scappare dalla prigione della cattolica Vienne dove, denunciato come eretico, era stato incarcerato per 17 giorni e, sulla via per l'Italia (forse per la più "libera" Venezia), inspiegabilmente fa tappa a Ginevra, dove lo aspetta un Calvino inferocito dalla lettura del libro che lo spagnolo gli aveva precedentemente inviato. Il resto è storia nota: Serveto viene arrestato e, con il parere favorevole di tutti i cantoni protestanti, di Lutero dalla Germania e di Melantone, viene condannato per "negazione della trinità" e "anabattismo" e viene arso sul rogo il 27 ottobre 1553, diventando la prima vittima dell'intolleranza di quei Riformati che, altrove, erano a loro volta vittime dell'intolleranza cattolica.

Le sue idee, però, non muoiono su quel rogo. La "Christianismi Restitutio" circola negli ambienti umanistici di tutta Europa e influenza profondamente quelli che saranno i protagonisti di questa storia, anzi i suoi protagonisti e coprotagonisti. Sì, perché questa storia ha ben due protagonisti (o antagonisti, dipende da che punto la si veda) e due coprotagonisti. I loro nomi, così poco noti al mondo cattolico e così fondamentali per la storia della libertà religiosa, sono, da un lato, Fausto Sozzini e Giorgio Biandrata e dall'altro Ferenc David e Giacomo Paleologo.

Forse non è un caso, dal punto di vista teologico, che i primi due, le cui idee mostrano qualche vago retaggio cattolico, siano italiani e i restanti due stranieri, ma, dal momento che questa storia è soprattutto la storia dei loro cammini di fede, del loro intrecciarsi, compiere tratti di strada insieme e separarsi, è il caso che, prima di azzardare ipotesi, conosciamo meglio i nostri soggetti.

Iniziamo con Fausto Sozzini, il primo coprotagonista. Per certi versi Fausto Sozzzini è quasi un personaggio "doppio", perché parlare di lui significa anche dover parlare di suo zio, Lellio Sozzini. Quest'ultimo, senese di nascita (1525), studente (per altro non particolarmente brillante e interessato) di diritto a Bologna, si trovò legato a quella "strana cerchia" di coraggiosi proto-riformatori italiani che mettevano in dubbio le "sante verità" del Cattolicesimo nel momento meno opportuno per tentare di esprimere opinioni anche velatamente divergenti da quelle pontificie.

 

Questo lo portò, appena diciottenne, a doversi rifugiare nella Repubblica di Venezia, allora centro dell'Evangelismo italiano, dove risulta tra gli animatori dei "Collegia Vicentina" nel periodo 1546-1547, poi in Svizzera (nei Grigioni), Francia, Inghilterra, Paesi Bassi e di nuovo in Svizzera. Con ogni probabilità l'idea, fatta circolare un secolo dopo da Christof Van Den Sand e Andrzej Wiszowaty, di un suo proto-Unitarianesimo è falsa, essendo la prospettiva di Lellio piuttosto quella riformata in senso stretto (nonostante una certa tendenza al libero pensiero che diede qualche preoccupazione a Calvino, suo corrispondente). Ciò non toglie che idee di Lellio relative alla teoria della salvezza e alla non pre-esistenza di Cristo (sulla scorta di Gv. 1:1) influenzarono certamente suo nipote Fausto, di quattordici anni più giovane, quando quest'ultimo raccolse il testimone dello zio, vinto soprattutto dalle ristrettezze economiche.

Umanista dedito a studi giuridici come lo zio e in "odore" di Luteranesimo, Fausto a ventuno anni parte per Lione per ragioni commerciali e, l'anno seguente, fa visita allo zio Lellio a Ginevra, ma non entra mai nella sfera calvinista, per lui troppo moderata, e anzi, nella "Brevis explicatio" (Lione, 1562) attribuisce già a Cristo una sorta di divinità funzionale ma non essenziale, in una posizione chiaramente anti-trinitaria, e in una lettera del 1563 rifiuta addirittura l'immortalità dell'anima. Nel 1563 ritorna in Italia e, postosi al servizio di Isabella de'Medici, ritorna almeno formalmente nell'alveo del Cattolicesimo, restandovi per i dodici anni successivi (da lui poi definiti "inutili").

 

Alla morte della sua patrona (strangolata dal marito), però, tra 1575 e 1576, ritorna in Svizzera, a Basilea, e si dedica interamente agli studi biblici, esponendo le sue teorie nel "De Jesu Christo Servatore" del 1578. A questo punto la sua teologia è sistematicamente compiuta e sta già da qualche anno circolando per l'Europa: in sostanza la sua posizione cristologica in materia di culto (che è l'elemento che più ci interessa) crea una distinzione tra "adoratio Christi", l'omaggio del cuore a Gesù (che resta comunque un uomo investito da una missione divina dal Padre) indispensabile a tutti i Cristiani, e "invocatio Christi", l'indirizzo diretto della preghiera a Cristo permesso a chi lo desidera nell'ottica, comunque unicamente di una mediazione del Figlio tra fedeli e Padre celeste.

Questa distinzione, con ogni probabilità, non viene colta a pieno da uno dei due protagonisti della nostra storia, Giorgio Biandrata, esule piemontese divenuto medico alla corte prima di Polonia, poi di Transilvania, che lo chiama in quell'oasi di libertà religiosa che era stata la Transilvania di Giovanni Sigismondo Zapolya e che era ora molto meno sotto il "governatore" asburgico Stefano Bàthory, per difendere le sue idee "adoranti" contro quelle "non-adoranti" dell'ex amico Ferenc David .

È in Transilvania che le strade di tutti i nostri attanti si incrociano, ma per comprendere che cosa accadde realmente dobbiamo fare un passo indietro e riferire brevemente proprio sul percorso di David. Per molti versi, la sua è una storia emblematica del percorso di ripensamento religioso compiuto da tanti "spiriti liberi" in quel periodo di "repressione romana". David è un quarantaquattrenne sacerdote cattolico transilvano di famiglio ungro-sassone, già studente dei Francescani, del capitolo della cattedrale di Alba Julia e dell'università di Wittemberg quando, nel 1554, mentre è parroco di un villaggio dopo essere stato anche rettore della scuola cattolica di Bistrita, viene a contatto con le idee luterane e le fa sue, convertendosi.

 

In meno di un anno diviene pastore capo della sua città natale (Kolozsvàr) e, tre anni dopo, è già capo indiscusso della Riforma in Transilvania e sovrintendente dei Luterani ungheresi. All'apice della sua carriera ecclesiastica luterana, però, forse a seguito di dibattiti pubblici con esponenti del Calvinismo, dopo un profondo ripensamento partito dalla rilettura della "Coena Domini", si fa calvinista (1559), divenendo, nel 1564, vescovo della Chiesa Riformata di Transilvaniae cappellano personale del re Giovanni II Sigismondo. Non è l'ultima tappa della sua evoluzione religiosa.

Dal 1562, è presente a Gyulafehérvár (Alba Julia), proveniente dalla Polonia, il già menzionato Giorgio Biandrata, una delle figure più contraddittorie del radicalismo religioso cinquecentesco: laureato in medicina a Montpelier, ex riformato esule nei Grigioni prima e a Ginevra poi (dove Calvino mostrò di aver pochissima stima di lui per le sue idee allora vagamente anti-trinitarie), divenuto medico personale della regina di Polonia (anti--trinitaria dopo la lettura di Ochino), aveva seguito la di lei figlia alla corte di Transilvania, dove era divenuto un paladino dell'Untarianesimo di stampo socciniano, che vedeva come la forma unitariana più moderata e vicina alle Scritture.

E' alla corte di Transilvania che Biandrata diventa amico di Ferenc David e gli fa leggere una copia della "Christianismi Restitutio" di Serveto, introducendolo all'antitrinitarismo.
La conversione di David diventa evidente nel 1566, quando il vescovo riformato di Transilvania fa rimuovere un docente della scuola di Kolozsvár per aver insegnato la dottrina della trinità. Ciò gli attira l'ira del calvinista Melius, che ottenne dal re la convocazione di un sinodo nazionale e, successivamente, di una Dieta a Torda nel 1568.

Come è noto, la "Dieta di Torda" si concluse, grazie all'abilità predicatoria di David e di Biandrata (e all'evidente favore di re Giovanni Sigismondo), con il trionfo degli Unitariani e con il celebre "Editto di Tolleranza", certamente non poco influenzato dal testo davidiano (scritto praticamente a quattro mani con Biandrata) "De Vera et Falsa Unius Dei, Filii et Spiritus Sanctii Cognitione", nel quale si ridicolizzava la dottrina della trinità e si perorava la causa della tolleranza religiosa per tutte le fedi.
Le strade di David, divenuto vescovo unitariano di Transilvania, e Biandrata si sarebbero, però, ben presto divise.

Nel 1568 la figlia di Ferenc David aveva sposato Johann Sommers, già segretario del despota di Moldavia e rettore dell'accademia di Brasov prima e di quella di Kolozsvár poi. Attraverso Sommers (meglio noto come Ioannes Sommerus), David era entrato in contatto con il quarto e ultimo dei personaggi di questa storia: lo studioso greco Giacomo Paleologo.

Paleologo era certo, tre gli "eretici" di metà '500, uno dei più radicali. Ex ortodosso, ex domenicano, proto-universalista con la sua idea che anche Ebrei e Musulmani potessero salvarsi (per la quale venne incarcerato a Roma), "latitante" per l'Inquisizione cattolica dal 1562, rifugiato prima in Francia e poi in Moravia, infine preside dell'Accademia della quale Sommers era rettore, Paleologo, nei suoi numerosissimi trattati (dalla "Catechesis Christiana" alle "Dissolutio de Iusticia" e "Ad Quaesita pro Thesibus ad Dissolutionem Quaestionis pro Iusticia" contro la dottrina della giustificazione, dalla "Disputatio Scholastica", in cui traccia un quadro storico dell'antitrinitarismo est europeo, al "Commentarius in Apocalypsin", duro attacco contro il papato, e alle molte apologie in difesa di famosi antitrinitari), oltre a propagandare l'idea unitariana, aveva aperto una durissima polemica contro il Socinianesimo.

Sostanzialmente, mentre per Fausto Sozzini Gesù Cristo era un vero uomo crocefisso, il cui compito era di rivelare Dio agli uomini che potevano salvarsi seguendo il Suo esempio (corrente "adorante"), Paleologo negava il ruolo di Messia salvifico del Cristo e rifiutava, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù (corrente "non adorante").

Probabilmente intorno al 1570 Ferenc David assorbì la teologia "non adorante " e la fece propria nel momento politicamente meno opportuno per una operazione di questo genere: l'anno seguente, infatti, alla morte a soli 31 anni di Giovanni II Sigismondo, salì al trono di Transilvania il cattolico Stefano I Báthory (1571-1586) che gli tolse l'incarico di cappellano personale del re e gli impedì di pubblicare altri scritti.

A questo punto, con l'assunzione dell'idea "non adorante", David perse molti dei suoi antichi sostenitori e, anzi, entrò in una lunga polemica con Biandrata, fervente sociniano che, probabilmente, temeva anche che una posizione così intransigente potesse danneggiare politicamente il movimento unitariano, facendogli perdere gran parte dei suoi sostenitori.

Nel marzo del 1578 Biandrata arrivò a chiamare Sozzini dalla Polonia (dove si era trasferito diventando il leader indiscusso della "Ecclesia minor" dei Fratelli Polacchi) nella speranza che questi convincesse David a rivedere i suoi assunti teologici.
Sozzini, ospitato per quattro mesi a casa di David, fece del suo meglio per convincere il vescovo unitariano, ma tutto fu inutile e, anzi, David, in quel periodo, forse spinto proprio dai colloqui con l'illustre teologo, produsse una serie di sermoni in cui denunciava ogni forma di culto a Cristo.

A questo punto Biandrata, esasperato, si risolse a compiere due atti estremi contro l'ex compagno di lotta che ora considerava un traditore convertito all'Israelitismo:
a) in primo luogo decise di portare la questione di fronte al Sinodo delle Chiese unitariane polacche, perché si pronunciassero definitivamente sul problema dell'adorantismo cosicché la loro decisione fosse adottata comunemente da tutte le chiese di Transilvania, Polonia, Moldavia e Lituania;
b) nello stesso tempo denunciò David per violazione della legge sull'innovazione (una legge emanata dopo la Dieta di Torda che, per impedire il proliferare di correnti teologiche, sanciva l'illegalità di qualsiasi innovazione religiosa successiva alla Dieta del 1568), ma il sinodo di Torda, il 28 febbraio 1579, respinse l'accusa, sostenendo che la posizione davidiana non rappresentava un'innovazione ma uno sviluppo di una dottrina già esistente.

Fino a questo punto , le azioni di Biandrata vengono appoggiate da Sozzini che desiderava che a David fosse impedito di predicare da un sinodo interno ma che si conforma alle decisioni sinodali e riparte in tutta fretta per Cracovia subito dopo il verdetto, non avendo nessuna responsabilità nel successivo sviluppo degli aventi.

Chi ha piena responsabilità è, invece, Biandrata che, proditoriamente, porta la questione davanti al reggente Kristóf Báthory (cugino di Stefano e governatore della Transilvania da quando questi assume il titolo di re di Polonia nel 1576). Kristóf, un noto fanatico cattolico, non aspettava altro: immediatamente confina David nella sua casa di Kolozsvár per proibirgli di predicare e convoca una dieta, formalmente per dirimere la questione ma, praticamente, per ufficializzare una decisione da lui già presa.
Il 2 giugno 1579, alla dieta di Gyulafehérvár, Dávid si difende dall'accusa di innovazione sostenendo di non essere un innovatore dal momento che aveva sempre insegnato che Cristo era un uomo e che le Scritture impongono soltanto il culto di Dio, ma il suo destino è già segnato: come riconosciuto riformatore religioso viene condannato al carcere a vita nella fortezza di Déva, dove, vinto dalle durissime condizioni di detenzione, muore il successivo 15 novembre.

Biandrata, ora, è libero di far adottare una confessione di fede secondo la quale Cristo deve essere onorato e adorato, fa riconoscere il battesimo e la comunione degli infanti e fa in modo che a capo della Chiesa venga nominato il suo seguace Demetrio Hunyadi, il quale indirizza l'Unitarianesimo verso quella forma adorante che ha mantenuto fino alla fine del XIX secolo.

La "vittoria" di Biandrata fu, comunque, una vittoria di Pirro: da lì a qualche anno la pressione cattolico-asburgica sarebbe divenuta sempre più forte, culminando con il famigerato "Accordo di Des" che mise l'Unitarianesimo fuori dalla legge, costringendolo per oltre 150 anni ad una esistenza sotterranea.

Per quanto riguarda i protagonisti e coprotagonisti della disputa di cui abbiamo parlato, solo Biandrata riuscì ad avere una vita relativamente tranquilla, astenendosi da qualsiasi altra attività teologica (anche perché, ovviamente, visto con estremo sospetto sia da Cattolici che da Unitariani), rientrando in seguito nell'alveo del Cattolicesimo (sotto pressione dei Gesuiti che avevano posto l'abiura come condizione per permettergli un ritorno in Italia) e godendosi le ingenti fortune accumulate fino alla morte, avvenuta all'età di 73 anni (un'età notevole per un "eretico" del tempo) forse per mano di un nipote desideroso di ereditare.

Fausto Sozzini, rientrato in Polonia, poté animare la Chiesa dei Fratelli Polacchi solo per altri 4 anni: la repressione cattolica lo costrinse a lasciare Cracovia nel 1583 e la confisca dei suoi beni italiani da parte dell'Inquisizione nel 1590 lo ridusse in povertà e l'obbligò a cercar rifugio in case di amici. Morì, solo e dimenticato (nonostante l'importanza dei suoi scritti e la circolazione delle sue idee) in un villaggio a 30 chilometri da Cracovia.

Giacomo Paleologo venne arrestato sotto mandato imperiale nel dicembre 1581 in Moravia dal vescovo d'Olomouc, Stanislav II Pavlovský. Estradato a Vienna e poi a Roma, venne qui condannato a morte per eresia nel 1583 ma la sua esecuzione mediante rogo venne rinviata per una sua abiura palesemente strumentale, che, in ogni caso, non gli salvò la vita: venne infatti decapitato nel carcere papale di Tor di Nona il 22 Marzo 1585 e il corpo fu arso sul rogo il giorno dopo a Campo dei Fiori.

Per un curioso (e tragico) gioco del destino, tutta la vicenda che vide l'intreccio delle vite di questi uomini animati da idee e posizioni diverse ma accomunati dalla stessa volontà di poter esprimere a pieno la propria religiosità, ebbe come conclusione, come si accennava, a fine XIX secolo, una decisione che oggi ci appare ovvia: il Sinodo dei vescovi unitariani transilvani decise che entrambe le posizioni, sia quella adorante (prevalente nell'Unitarianesimo ungherese) che quella non adorante (prevalente nell'Unitarianesimo transilvano) sono ugualmente accettabili e la scelta su quale adottare risiede unicamente nella libera coscienza del singolo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Blount Mott, F., A Short History of Unitarianism Since the Reformation, BiblioBazaar 2008.
Cottle, J., Essays on Socinianism, General Books 2010.
Lovci, R., Michael Servetus, Heretic Or Saint?, CreateSpace 2008.

Tarrant, G. W., Unitarianism, IndyPublish 2007.
Wilbur, E.M., A History of Unitarianism: Socinianism and its Antecedents, V.I, Harvard University 1947.
Wilbur, E.M., A History of Unitarianism: In Transylvania, England, and America, V.II, Harvard University 1948.
Sito della Congregazione Italiana Cristiano Unitariana <http://www.cicu.altervista.org>



 

 

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