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N. 16 - Settembre 2006

LA TERZA INVASIONE ISRAELIANA DEL LIBANO

Ragioni, interessi e timori del conflitto che rischia di infiammare l’intera area mediorientale

di Francesco Dobrovich

 

Il Libano si trova nuovamente pervaso dalla paura di un nuovo conflitto. Dal 1991, anno di decorso della pax siriana, la popolazione libanese stava cercando di seppellire i pregiudizi che si erano creati tra le comunità nel corso dei sedici anni di guerra.

 

La Guerra in Libano fu fortemente condizionata dalle pressioni geopolitiche reginali, esercitate in maniera diretta dai Paesi confinanti, Israele e Siria, e dall’Olp.Oggi la certezza di una nuova crisi è ancora macchiata dalla consapevolezza che le pressioni esterne possano duramente ricondizionare il difficile equilibrio intercomunitario.

 

IL maggior partito islamo-sciita che rappresenta la comunità più presentre in Libano si trova infatti in guerra con lo Stato di Israele, che sabato 22 Luglio 2006 ha invaso il confine addentrandosi con il suo esercito nella regione Sud del Libano. Questa che lo Tsahal(esercito israeliano) sta compiendo è la terza invasione in terra libanese.

 

La terza dopo le operazioni “Litani” del 1977 e dell’operazione “Pace in Galilea” del 1982 , si presenta come il nuovo tentativo dello stato ebraico atto a conservare il controllo su una fascia di sicurezza della profondità di 20 km oltre il corso del fiume Litani. Fascia di sicurezza che servirebbe per tenere sotto controllo gli attacchi missilistici condotti dalla milizia armata degli Hezbollah. Il termine del conflitto è facilmente riassumibile dietro il citato interesse di annientare le sacche terroristiche che secondo i servizi segreti israeliani si troverebbero nel Sud, nella Valle della Beqaa e nella periferia meridionale di Beirut. Ma dietro a ciò le possibilità che questo scontro armato significhi qualcos’altro sono reali e soprattutto sono sentite dalla popolazione locale, abituata a non fermarsi alle apparenze di una politica difficile come quelle libanese e mediorientale.

 

Partendo dalla punta di quello che si spera non sia un iceberg, bisogna innanzitutto capire chi sono gli attori di questo inizio di conflitto e che ruolo essi anno nella politica libanese. Hezbollah ed Israele  hanno interessi, sostenitori ed oppositori in Libano.

 

Hezbollah nasce nel 1978 sotto la spinta del capo religioso Musa Sadr, il quale creò il Partito di Dio per dar sostegno alla comunità sciita, sino ad allora poco organizzata politicamente e mal rappresentata nel sistema inter-confessionale dal partito Amal, dell’attuale Presidente della Camera Nabih Berry.  La politica di Hezbollah si può definire dal doppio velo, se da una parte infatti la politica interna è tesa a dare il massimo sostegno alla popolazione, garantendo tutti i servizi primari dalla sanità all’istruzione, dall’altro lato dello chador la politica estera si pone come un elemento fondamentale e radicale.

 

I due aspetti che Hezbollah intende portare avanti sono stati condivisi e accettati per merito dell’appellativo che il partito di Dio si è dato in questi anni, ossia quello di essere il partito della resistenza islamica in Libano, resistenza naturalmente all’occupazione israeliana sul territorio libanese. Occupazione quella di Israele che si è protratta dal 1982 sino al 26 maggio 2000, data in cui Israele ha attuato la risoluzione 1559 dell’ONU che gli impone di lasciare il Sud al controllo dello stato sovrano del Libano. I due lati del velo degli Hezbollah hanno indotto così le altre comunità e gli altri partiti alla tolleranza della complessa organizzazione militare che il partito islamo-sciita ha nella sua milizia. Nel 2000 però la giustificazione del secondo fine, quello relativo alla politica estera e alla connessa necessità di Hezbollah ad armarsi, è in parte decaduto a seguito della decisione del governo di Tel Aviv a ritirare le truppe dello Tsahal dal Sud. Il sostegno del resto dei partiti è appunto solo in parte decaduto, questo perché il partito di Dio ha continuato ad opporsi alla politica estera di Israele, considerata sproporzionata, in merito in particolare alla detenzione dei prigionieri sia libanesi che palestinesi nei carceri israeliani.

 

Israele per il Libano è il Paese confinante a sud, ma soprattutto è lo Stato che ha invaso il suo territorio per due volte, tre con quella corrente. E’ difficile credere che lo Stato ebraico non goda di un buon vicinato con la sola comunità sciita se si pensa alle restrizioni severamente imposte dallo Stato centrale del Libano che vietano ai suoi cittadini di metter piede in Israele, ma che vietano in eguale modo l’ingresso agli stranieri che vi si sono recati. Le tre Invasioni del Libano hanno un minimo comune denominatore e differenti ragioni che singolarmente le hanno caratterizzate.

 

Tutte comunque si riconducono alla necessità di controllare una fascia di sicurezza. Questa nel 1977 era giudicata indispensabile per prevenire gli attacchi dei guerriglieri dell’Olp, che dal lunedì 3 novembre 1969 avevano legittimato con gli Accordi del Cairo il loro quartier generale in Libano, mentre la motivazione di contorno in quel caso fu la difesa delle comunità cristiana del Sud. Nel 1982 lo Tshal entrò nuovamente per arrivare però fino a Beirut, con l’intento di sradicare definitivamente l’Olp ed appoggiare l’ascesa al potere del leader falangista Gemayel, il quale era dal 1975 in piena guerra con i palestinesi di Arafat. In quella fattispecie l’avanzata si protrasse sino a Beirut anche e soprattutto per assicurare alla destra libanese una facile vittoria, che al tempo era riassumibile anche come una vittoria sull’influenza siriana alla politica libanese.

 

Con quest’ultima operazione Israele si garantì il ruolo di primo interferente, ottenendo un ridimensionamento di Damasco in Libano e la fuga di Arafat da Beirut, ma i suoi alleati interni, il partito falangista, non assicurarono la stabilità di governo che Israele si aspettava. L’assassinio del neo presidente Gemayel per mano della Siria ed il ritorno di questa sulla scena libanese scoprirono nuovamente l’interesse israeliano di salvaguardare il controllo sulla fascia di sicurezza, dove il suo esercito vi rimase per altri diciotto anni, fino appunto al 26 maggio 2000.

 

L’invasione corrente ha più di una analogia con le operazioni condotte in precedenza dallo Tsahal, ora l’intento è di sconfiggere le installazioni Hezbollah nel sud e di minare il suo quartiere generale nella periferia meridionale di Beirut, come fu nel 1977 e poi nell’82 per l’Olp, ma a differenza delle precedenti situazioni oggi il Libano non si trova in uno stato di disordine lontanamente paragonabile a quello della Guerra. Hezbollah non è l’Olp, ne sul piano internazionale ne soprattutto sul piano della politica interna. Se infatti ai tempi della Guerra l’Olp era considerata un elemento esterno da una grande parte della popolazione e dalle sue rappresentanze politiche, oggi Hezbollah è un partito attivo nella politica libanese, con due ministri nel gabinetto di Governo: il ministro dell’energia e risorse idriche Mohamad Fneich ed il ministro del lavoro Trad Hamadé, a questi si può in parte aggiungere anche il ministro degli esteri Faouzi Salloukh, indipendente ma appoggiato da Hezbollah. Un Governo quello libanese che oggi come non mai deve dimostrare di poter gestire le proprie risorse e far fronte alle proprie crisi interne.

 

Risulta dunque di delicata importanza l’effetto che questa missione evasiva dell’esercito israeliano avrà sui delicati rapporti tra i partiti interni, che oltre a dover gestire i problemi sempre difficili della convivenza intercomunitaria, si trovano oltremodo condizionati e divisi sulla necessità di attuare una politica di avvicinamento vuoi con il vicino siriano vuoi con quello israeliano. I due interlocutori regionali sono infatti divisi sull’attuazione del piano di pace 1559 delle Nazioni Unite. Questo piano prevede il ritiro siriano ed israeliano dal territorio libanese (già effettuati, uno nel 2000, l’altro nel 2005) ed il disarmo totale di Hezbollah. Quest’ultimo punto resta il nodo di un’intesa mai fortemente accettata da ambo le parti, con Israele che preme per una direzione che si oppone a quella siriana che vede in Hezbollah (partito direttamente finanziato da Damasco e Theran) un importante braccio di pressione sul confine nord dello stato ebraico.

 

In Libano chi appoggia Hezbollah, oltre per la buona condotta in politica assistenziale, lo fa per timore di un nuovo ingresso di Israele. Ora che questo è avvenuto, si recrimina la necessità di disarmare Hezbollah, ma se si vuole arrivare ad un compromesso che doni degli effetti non si deve trascendere dall’intesa tra le parti libanesi. Parti che storicamente si sono dimostrate più forti e più pericolose dei potenti cannoni stranieri. Il rischio che il gioco delle alleanze con le diverse potenze regionali (Israele, Siria, Theran)  possa poi portare nuovamente alla creazione di milizie di partito è sempre alto, ma c’è una generazione per cui il ricordo della guerra totale è ancora troppo vivo.

 

La soluzione alla crisi deve essere imprescindibilmente cercata all’interno. Con un governo che si è dimostrato per bocca del presidente del Consiglio Fouad Siniora, lontano dal volere escludere Hezbollah dalla scelta definitiva, e dunque lontano dall’idea di scendere a patti con Israele rinunciando alla richieste di scarcerazione che Hezbollah fa allo stato ebraico, lontano anche dall’idea di assoluzione piena al partito di Dio reo di aver scatenato un caso internazionale in cui resta coinvolta tutta una Nazione.

 

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