.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

> Storia Contemporanea

.

N. 23 - Aprile 2007

 

STALIN E LA CHIESA ORTODOSSA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE

La pacificazione "bellica"

di Stefano De Luca

 

La Chiesa ortodossa costituiva per i dirigenti sovietici l’ostacolo principale a causa del suo antico e profondo radicamento tra la popolazione, e venne combattuta con estrema durezza fino al 1941.

 

Le finalità della nuova ‘religione’ (il comunismo) e, più tardi, del nuovo ‘dio’ (Stalin), molto più materiali, erano in contrasto con quelle della Chiesa ortodossa e delle altre confessioni religiose.

 

Nel 1940 Stalin, per motivare il popolo russo a battersi con tutte le forze contro l’invasore nazista, non fece leva sui valori del comunismo, ma su quelli della Russia. Il primo interlocutore fu per lui la Chiesa ortodossa.

 

Il popolo non avrebbe combattuto volentieri per il comunismo, ma lo avrebbe fatto per difendere la patria in pericolo.

 

La Chiesa ortodossa, capace di mobilitare un numero altissimo di cittadini, venne ‘resuscitata’ da Stalin per convogliarne le rinnovate energie contro la follia hitleriana.

 

Stalin, per ottenere l’appoggio degli ortodossi nella guerra ‘patriottica’, dichiarò che “fin dai tempi più remoti il popolo russo è pervaso di sentimento religioso.

 

La Chiesa, dopo l’avvio delle operazioni militari contro la Germania, si è mostrata nella sua luce migliore […] il Partito non può più privare il popolo delle sue chiese e della libertà di coscienza”.

 

Così, nel 1943 fu permessa l’elezione di un nuovo Patriarca, il metropolita di Leningrado Aleksij, e venne rimessa in moto l’intera vita della Chiesa ortodossa, che tornò al suo livello pre-rivoluzionario.

 

“Il prezzo che la Chiesa dovette pagare per la tolleranza relativa di cui beneficiò prima dell’era Chruščëv”, spiega Dimitrij Pospelovskij, “fu il suo sostegno totale alla politica estera sovietica, attraverso la partecipazione a riunioni internazionali o l’organizzazione di riunioni ecclesiastiche nel corso delle quali i suoi rappresentanti dovevano proclamare che il governo sovietico conduceva una politica autenticamente pacifica, e dovevano condannare gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali”.

 

Con l’arrivo al potere di Chruščëv, e poi ancor più con Breznev, la condizione della Chiesa ortodossa russa peggiorò a tal punto che molti ecclesiastici e fedeli entrarono in aperto dissenso col Partito.

 

Cominciò un nuovo braccio di ferro che si concluse solo dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Urss.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Roberto Morozzo della Rocca, Le chiese ortodosse. Una storia contemporanea

Dimitrij Pospelovskij, L’Ėglise sous le régime soviétique

 



 

 

 COLLABORA

scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.