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N. 146 - Febbraio 2020 (CLXXVII)

NASCITA, VITA E MORTE DELLA SPANIA

LA PIÙ REMOTA PROVINCIA BIZANTINA – PARTE II

di Roberto Conte

 

Di certo il ricompattamento visigoto valse a porre fine a quella che sembrava una cavalcata trionfale bizantina: non è ben chiaro fino a che punto essa poté proseguire senza intoppi, ma di certo non andò al di là della Sierra Morena, e secondo Thompson si fermò poco più a nord di Cartagena e dei porti della Betica.

 

Una particolare analisi meritano le città di Siviglia e Cordoba: si sa che quest’ultima era scesa in rivolta contro Agila nel 550, ma non è chiaro se in seguito all’intervento dei Bizantini passò sotto il loro controllo. Gli Ispano-romani erano accomunati agli invasori dalla comune fede nicena, e l’imperatore d’Oriente dal punto di vista strettamente legale restava l’unico sovrano legittimo, tuttavia sappiamo dalla testimonianza di Leandro di Siviglia sulla presa di Cartagena che almeno una parte della popolazione indigena non si dimostrò ben disposta verso le forze di Costantinopoli.

 

Siviglia, che. come abbiamo visto, era stata il quartier generale di Atanagildo nel momento della sua rivolta, compare fuori dal suo controllo una volta che fu asceso al trono, e anzi a lui ostile: era finita sotto il controllo bizantino o si era unita alla rivolta autonomista dei Cordobani?

 

Thompson propende per questa seconda ipotesi, facendo notare che la Chronica Caesaraugustana, parlando della riconquista da parte dei Visigoti di Siviglia e del loro attacco al territorio cordobano nel 566 o 567, non menziona per nulla la presenza di truppe imperiali; parimenti, l’altro cronista Giovanni di Biclaro, narrando della presa di Cordoba nel 572 da parte di re Leovigildo, afferma che la città era da lungo tempo ribelle ai Visigoti, ma non fa alcuna menzione di una occupazione bizantina.

 

Non è da escludere che le due città, pur mantenendo una propria autonomia e provvedendo da sole alla loro difesa, riconoscessero l’autorità dell’imperatore.

 

Quello che si sa per certo è che i territori conquistati, insieme alle isole Baleari, furono subito elevati al rango di provincia con il nome di Spania e che al suo governo fu posto un magister militum con un rango pari a quello dei suoi colleghi di Africa e Italia. Tolti questi dati assodati, tuttavia, per il resto della situazione di questo remoto possedimento imperiale si ritorna alla più completa incertezza: non si sa quale città ospitasse la zecca che seguitò a coniare monete sino agli ultimi giorni di vita della provincia, né quale fosse la sua capitale. Le principali candidate per questo ruolo sono Malaga e Cartagena, con l’ipotesi di Cordoba avanzata da coloro che pensano che essa facesse parte della Spania sino alla conquista visigota del 572.

 

Anche gran parte dei magistri militum preposti alla guida della provincia restano ignoti: si conosce solo un Comenziolo, che nel 589-590 curò il rafforzamento dei cancelli delle mura di Cartagena, e un Cesario, sfortunato avversario di Sisebuto nel 615 circa.

 

A causa della sua estrema perifericità, questa provincia poté avvalersi molto raramente e in misura poco rilevante di soccorsi da parte della lontana capitale, e tale circostanza ben presto si aggravò, poiché Costantinopoli si trovò quasi subito a dover fronteggiare le endemiche scorrerie degli Slavi (e dal 568 degli Avari) nei Balcani, l’invasione dell’Italia da parte dei Longobardi (a partire dal 568) e le tradizionali guerre contro i Persiani in Oriente (dal 572 al 591 e soprattutto dal 602 al 629).

 

Data questa situazione, fu inevitabile che la Spania assumesse quasi sempre un atteggiamento difensivo nei continui conflitti contro i Visigoti, facendo affidamento anche sul fatto che questi ultimi erano spesso costretti a contrastare a nord del loro regno le incursioni di Franchi e Suebi e il perenne stato di rivolta dei montanari asturi, cantabri e vasconi.

 

Come già accennato, lo stesso Atanagildo si adoperò a riconquistare il terreno perduto in Spagna meridionale subito dopo aver rotto la sua alleanza con Bisanzio, riportando anche diversi successi, almeno secondo Isidoro (Storia dei Goti, 47). Come già accennato, non è chiaro se il trattato tra il re visigoto e Giustiniano, ricordato da Gregorio Magno nel 599, fosse in realtà l’accordo concluso nel 551 per ottenere l’aiuto imperiale contro Agila (come dovrebbe essere nel caso che la presa di Siviglia del 566 sia avvenuta a spese dei Bizantini, dato che all’epoca Giustiniano era già morto da un anno) o non risalisse piuttosto a questo periodo più tardo.

 

Il fratello e successore di Atanagildo, Leovigildo (568-586) riconobbe al momento della sua ascesa al trono l’autorità dell’imperatore Giustino II, tuttavia nel 570 riprese le ostilità e devastò il territorio di Malaga e Baza, senza però riuscire a prendere le città, o almeno non la prima: il fatto che nel 589 il vescovo di Baza Teodoro partecipasse al III Concilio di Toledo sembrerebbe indicare che in quella data questo centro era ormai in mano visigota, ma non è sicuro che esso fosse caduto proprio nel 570. l’anno successivo Leovigildo espugnò Medina Sidonia (Giovanni di Biclaro), mentre, come per il caso di Siviglia, non è chiaro se la presa di Cordoba nel 572 sia avvenuta a spese dei Bizantini.

 

Alcuni storici riportano che verso il 576 un certo Romano figlio di Anagarto condusse una spedizione vittoriosa contro il regno degli Suebi, annettendone anche una parte, ma questa notizia nasce dal fraintendimento di una vicenda riportata nel Chronicon di Giovanni di Biclaro, che in realtà si riferisce agli Suani, popolazione del Caucaso, e non agli Suebi.

 

Nel 580, tuttavia. una nuova lotta intestina all’interno dello stato visigoto sembrò fornire ai Bizantini l’occasione per recuperare il terreno perduto e addirittura per accrescere i propri territori: Ermenegildo, figlio di Leovigildo e governatore della parte gota della Betica, che aveva aderito al credo niceno, scese in rivolta contro il padre, con l’appoggio di una gran parte dei locali ispano-romani, e chiese e ottenne il sostegno delle forze imperiali.

 

All’inizio la sua azione sembrò avere successo, ma nel 583 Leovigildo, dopo aver sistemato momentaneamente i Vasconi, mosse decisamente contro il figlio e, se mai i Bizantini avrebbero potuto trarre vantaggi considerevoli da questa insurrezione, li persero a causa della cupidigia dei loro capi, che assicurarono a Leovigildo la loro neutralità in cambio di 30.000 monete d’oro.

Nonostante questa occasione sprecata, poco dopo per la Spania sembrò giungere un periodo piuttosto favorevole, soprattutto dopo la pace che l’imperatore Maurizio concluse con la Persia nel 591, consentendogli di dirottare reparti militari nel lontano occidente.

 

Durante il regno del successivo sovrano visigoto, Recaredo I (586-601), stando alla testimonianza di Isidoro di Siviglia (Storia dei Goti, 54), le forze imperiali riuscirono a passare addirittura all’offensiva e sembra anche che riscuotessero un certo successo. Infatti nel 599 lo stesso Recaredo scrisse a papa Gregorio Magno, chiedendogli di farsi avere dall’imperatore Maurizio una copia del trattato siglato tra Atanagildo e Giustiniano, in modo da riproporne l’attuazione per mettere fine al conflitto; una simile iniziativa porterebbe a supporre che il re goto credesse che i confini stabiliti con quel documento sarebbero stati preferibili alla situazione contemporanea.

 

Tuttavia, la Spania aveva subito in tempi precedenti, soprattutto a causa di Leovigildo, decurtazioni territoriali più significative dei guadagni ottenuti più di recente, e infatti il pontefice, dopo aver riferito a Recaredo che le copie del vecchio trattato erano andate perdute a causa di un incendio, gli consigliò di stabilire una pace con i Bizantini sulla base dello status quo (Gregorio Magno, Epistolae, IX, 229), suggerimento che venne poi accortamente seguito.

 

Questa apparente riscossa imperiale nella penisola iberica ebbe però breve vita: la ripresa della guerra contro i Persiani nel 602 coinvolse ben presto la quasi totalità delle risorse di Costantinopoli in una lotta per la sua stessa sopravvivenza, mentre le forze residue dovevano essere impegnate in Italia contro i Longobardi e nei Balcani contro gli Avaro-slavi, e fatalmente la remotissima Spania fu nuovamente abbandonata a se stessa di fronte al rinnovarsi delle offensive visigote verso sud.

 

All’inizio le difese provinciali sembrarono tutto sommato riuscire a tenere: re Vitterico (603-610), o meglio qualcuno dei suoi generali, espugnò Gigonza (Isidoro di Siviglia, Storia dei Goti, 58), ma non andò oltre questo limitato risultato, e anche la campagna condotta nel 611 da Gundemaro non pare che portasse significativi successi (Isidoro di Siviglia, Storia dei Goti, 59)

Tuttavia i Visigoti continuavano a mantenere l’iniziativa, e i Bizantini erano costretti a fare affidamento unicamente sulla robustezza delle loro difese; senza l’arrivo di significativi rinforzi, la loro sorte era segnata, e così avvenne.

 

Verso il 615, quando i Persiani si erano ormai resi padroni di Gerusalemme e di Damasco e minacciavano direttamente l’Egitto e la stessa Costantinopoli, il nuovo sovrano di Toledo, Sisebuto, poté avanzare con una certa facilità contro le indebolite forze imperiali: sconfisse il magister militum Cesario in due battaglie campali e recuperò quasi tutte le città ancora in mano bizantina (Isidoro di Siviglia, Storia dei Goti, 61; Fredegario, 33).

 

Quasi certamente tra le sue conquiste figurarono anche Malaga (il suo vescovo Teodolfo compare tra i partecipanti del Secondo Concilio di Siviglia nel 619) e Cartagena, e quest’ultima probabilmente fu la prima a cadere. Infatti essa venne completamente distrutta (Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XV, I, 67), sorte che in genere i Visigoti, così come tutti i Germani, riservavano a quelle città che potevano costituire una base per i loro nemici nel caso essi fossero riusciti a riconquistarle, data la loro scarsa abilità nella poliorcetica. Da ciò è stato dedotto che Cartagena fu espugnata quando l’esito della guerra non era ancora chiaramente deciso, mentre Malaga sfuggì alla triste sorte della prima proprio perché al momento della sua caduta i Bizantini non costituivano più un pericolo.

 

Se davvero i due principali centri della Spania caddero a opera di Sisebuto, resta da chiarire quali città rimanessero nelle mani dell’Impero d’Oriente negli anni successivi: forse si trattava di quelle più occidentali, o di quelle più prossime alla costa mauretana.

 

Qualunque esse fossero, il loro destino era ormai segnato, e sotto il regno di Swinthila (621-631) i Visigoti se ne impossessarono facilmente intorno al 624 (Isidoro di Siviglia, Storia dei Goti, 62) e raggiunsero finalmente l’obiettivo di unificare tutta la Penisola Iberica sotto il loro dominio; della loro provincia più occidentale, ai Bizantini non rimasero che le Baleari che, abbandonate a se stesse, nel secolo successivo divennero facile preda della flotta saracena.



 

 

 

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