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N. 20 - Gennaio 2007

NEL BREVE SPAZIO DI QUATTRO SORELLE

Le sorelle Mitford, protagoniste extra-ordinarie di vite parallele

di Alessia Ghisi Migliari

 

Famiglie eccentriche ce ne sono da sempre – più o meno celebri.

Personaggi che, in un unico nucleo di affetti e parentele, si segnalano nel bene o nel male, talvolta in entrambi.

Ma di Mitford Family, senza dubbio, ce n'è una sola.

 

Qui in Italia si conoscono poco, ma altrove hanno un loro seguito, non fosse altro che per la stravaganza e i percorsi di vita apparentemente paradossali di queste quattro sorelle che dovevano per forza distinguersi, quasi fosse un destino o una condanna.

 

Ma partiamo dall'inizio.

 

David (1878-1958) è il secondo barone di Redesdale, non un titolo così pregiato come pare, ma abbastanza per far parte dell'alta società. Si sposa con Sidney, e per la gioia di entrambi si dimostrano coppia assai prolifica – sette bimbi in una quindicina d'anni: Nancy (1904-1973), Pamela (1907-1994), Tom (1909-1945), Diana (1910-2003), Unity (1914-1948), Jessica (1917-1996) e Deborah (1920- alcune fonti sostengono sia morta ventenne, altre che sia addirittura ancora in vita).

 

Non poco, insomma, anche se, ai fini della nostra storia, possiamo abbandonare Pamela, Tom e Deborah, che condussero esistenze piuttosto usuali, per quanto in ambienti aristocratici.

 

E poi eccole, loro: le Mitford sisters, che hanno affascinato e scandalizzato in giro per il mondo, coi loro corpi alti e magri, il loro aspetto terribilmente nordico, con gli zigomi presuntuosi e gli occhi chiari chiari.

 

Nancy (1904-1973) aveva uno spiccato senso dell'umorismo e della scrittura. Amante della Francia, vi si trasferì (nel loro clan pareva fosse insopportabile, stare ferme in una nazione), e divenne celebre romanziera e biografa, apprezzata per la sua wit, per la sua classe e la sua conversazione, creando il personaggio dell'altolocata inglese che, colta ed elegante, intrattiene ospiti e artisti, stando bene al centro della vita sociale.

Ma non bisogna pensare ad una fatua damina, bensì una donna di carattere e personalità: nel 1945 il suo libro The pursuit of Love vendette un milione di copie, e le sue affermazioni dal sapore aforistico avevano sempre una certa anima pungente, un'ironia ben consapevole di sé.

 

Eppure, ebbe anche lei diverse traversie: suo marito, Peter Rodd, il più giovane figlio del primo barone di Rennal, per quanto ambasciatore in Italia, difficilmente riusciva a 'tenere' un lavoro, e se le infedeltà erano reciproche, i conti di casa non tornavano molto, al punto che la raffinata inglesina si mise a lavorare in una libreria, prima di informare l'Europa di saper riempire pagine così bene.

 

Il loro divorzio, arrivato solo nel 1958, iniziò invero assai prima, per quanto l'amicizia non fosse mai venuta meno, e Nancy fu sempre disponibile ad aiutare finanziariamente lo spiantato consorte.

 

E fu proprio nell'adorata Francia che ebbe il suo grande amore, il Colonnello Gaston Pelewski, uomo assai vicino a  De Gaulle, che la fece soffrire, sposandosi poi con un'altra (per quanto l'assistette affettuosamente fino alla morte).

 

Nella sua abitazione in rue Monsieur 7 riceveva senza sosta, sempre avvolta dalle sue firme preferite, Dior e Givenchy, e circondata da giovani e piacenti omosessuali.

Ammaliata dalla dinastia Borbone, riuscì a stabilirsi a Versailles, dove morì, a causa del morbo di Hodgkin, sessantanovenne.

 

Insignita dei titoli di Commander of the Order of the British Empire e di Cavaliere della legione d'Onore (in Francia), sentenziava senza sosta: “Adoro i bambini. Specialmente quando piangono, perchè a quel punto qualcuno li porta via” e “L'aristocrazia in una repubblica è come un pollo a cui è stata tagliata la testa: può correre intorno in modo vivace, ma in realtà è morto” sono solo due esempi del suo modo tutto british di mordere e stupire.

 

Diana (1910-2003) aveva un altro interesse, di fatto più sentito ad Asthall Manor in Oxfordshire (la dimora dei Mitford): la politica.

 

Quando si sposò con l'aristocratico Bryan Walter Guinness, nel 1929, si trattò delle nozze dell'anno – che però durarono poco.

 

Nel 1932 iniziò la sua relazione adulterina con Sir Oswald Mosley, capo dei fascisti inglesi, e da qui il passo per conoscere i nazisti e Hitler fu breve.

 

Divenne amica dell'enturage del Furher, che le diede persino una Mercedes con autista, in occasione dei giochi olimpici di Berlino. Quando infine divenne Lady Mosley, nel 1936, furono i coniugi Goebbels i loro testimoni.

 

Per il Defence Regulation 18B, tornati in Inghilterra, viste le loro amicizie, furono imprigionati per due anni e, grazie a intercessione di Churchill, poterono stare assieme, in un piccolo cottage con giardino (all'interno del penitenziario), ma divisi dagli altri detenuti.

Rilasciati nel 1943 per i problemi di salute di Oswald, trascorsero il resto della guerra agli arresti domiciliari.

 

In seguito si trasferirono a Parigi, nella casa Temple de la Gloire, dove instaurarono più che gentili rapporti con gli illustri vicini: il Duca e la Duchessa Windsor, con cui condividevano non pochi ideali.

 

Dovettero comicamente ridiventare marito e moglie, perchè i documenti della splendida cerimonia tra nazisti erano andati perduti.

Diana ebbe quattro figli, tra cui il conservatore Desmon Guinness e lo scrittore Jonathan Guinness.

 

Non smise mai di ammirare Hitler.

Solo, preferì precisare che riconosceva alcuni suoi...errori.

 

Jessica (1917-1996), detta Decca, era una filantropa.

Nel vero e più profondo senso della parola.

 

Voleva scappare dalla famiglia sin da giovanissima, e crebbe socialista e pacifista.

Si innamorò di Esmond Romilly, nipote di Churchill, che faceva il reporter nel bel mezzo della guerra civile spagnola, più per passione di raccontare gli oppressi che per ambizione.

 

Decca fuggì con lui, senza neanche terminare gli studi, e questo segnò una frattura insanabile con la famiglia – il padre, ammesso che sia possibile, la cancellò definitivamente.

 

La coppia si trasferì a New York e Miami, sopravvivendo coi lavori più disparati e spesso umili.

 

Quando Esmond morì in volo, membro della Canadian Air Force, lei fu vedova ventiquattrenne con figlia neonata.

E ricominciò.

 

Nel 1943 si sposò nuovamente con l'avvocato Bob Treuhaft, anche lui impegnato nei diritti civili, e insieme proseguirono la loro strada di gente impegnata e combattiva.

Non era facile essere comunisti negli Stati Uniti, ma Decca non desistette mai.

Lavorò per il Civil Rights Congress, occupandosi dei temi più svariati: a lungo approfondì la questione apparentemente lugubre dell'industria funeraria, che speculava non poco sulle morti, e scrisse a proposito The American way of death. Dunque scrittrice come la sorella, per quanto di altro genere, oggi esiste il Mitford Institute, che si interessa dei senzatetto, delle riforme in campo penitenziario, della violenza domestica, della cura della salute, di giornalismo etico e, ovvio, di questioni...funerarie.

Fu povera e osteggiata e fu, probabilmente la più 'grande' delle sorelle.

Possibile vederla anche nel film di Woody Allen Play it again, Sam, dove interpreta se stessa.

 

Cronologicamente si sarebbe dovuta inserire prima.

Però è stata la più triste, la più disperata – meglio lasciarla ultima, come riflessione.

Unity (1914-1948), che di secondo nome faceva (guarda un po') Valkyrie, seguì Diana in Germania.


E iniziò così la sua ossessione per Hitler.

Lo idolatrava, senza riserve. Fino ad essere definita “la più nazista tra i nazisti”.

Il suo Adolf aveva sempre ragione: così divenne terribilmente antisemita e fanatica, fiera che il suo idolo la considerasse un magnifico esempio di femmina ariana.

Si videro spesso, poiché al Fuhrer faceva piacere avere accanto gente aristocratica, e per di più inglese.

 

Unity non smise mai di sperare in un connubio fra i due popoli, e quando fu dichiarata guerra tra il Reich e la Gran Bretagna, si sparò in testa.

In un luogo simbolico: il giardino inglese a Monaco.

Era poco più che ventenne, ma non morì.

Il suo cervello rimase gravemente danneggiato, ed ebbe sia problemi motori che di parola.

 

Non poterono estrarre la pallottola, e tornò tristemente a casa via Svizzera, ormai invalida, per un uomo che non si occupò più di lei.

La madre le fu accanto fino alla fine, che avvenne, per meningite, anni dopo.

Qualcuno potrebbe far notare che in fondo fece tutto da sola – non si può parlare di disgrazia.

Effettivamente, di lei resta solo la pietà per una vita breve e spesa così.

 

Sarebbe interessante capire, dal punto di vista psicologico, tutte queste fughe e queste passioni nel piccolo spazio di quattro sorelle.

Così simili fisicamente e forse, malgrado tutto, nell'impeto con cui seguirono la loro via.

Senza dubbio, furono extraordinarie – sul come, è altra questione.

Di Mitford Family, ce n'è una sola.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Lambert A., “La donna che amò Hitler. La storia sconosciuta di Eva Braun”, Rizzoli 2006.

http://www.toutcourt.net/Recensioni_libri/ces_extravagantes.htm

http://findarticles.com/p/articles/mi_qa3724/is_200102/ai_n8945557

http://en.wikipedia.org/

http://www.mitford.org/pathsdecca.htm

http://www.spartacus.schoolnet.co.uk/WRmitfordU.htm

 



 

 

 

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