La sofferenza dei bambini di ieri e
di oggi
RIFLETTERE SU LA PESTE DI
CAMUS
di Giovanna
D'Arbitrio
In questi tempi difficili il
costante dualismo tra Bene e Male è
sempre più marcato ed evidente, anzi
negli ultimi anni, tra pandemia e
guerre, il Male sembra imperversare
sul nostro pianeta e ci viene in
mente il passato con tutte le lotte
dell’Umanità per cercare in qualche
modo di progredire, malgrado i
vichiani corsi e ricorsi storici.
Per cercare le cause di tutto ciò,
ci immergiamo spesso in letture di
testi filosofici, saggi, romanzi e
quant’altro. E pertanto se
rileggiamo un romanzo sempre
attuale, La Peste di Albert Camus,
pubblicato nel dopoguerra (1947),
noteremo che esso offre spunti di
riflessione sul tema del dolore
umano, in particolare sulla
sofferenza dei bambini.
Il libro viene così presentato da
Bompiani: «Orano (Algeria) è colpita
da un’epidemia inesorabile e
tremenda. Isolata, affamata,
incapace di fermare la pestilenza,
la città diventa il palcoscenico e
il vetrino da laboratorio per le
passioni di un’umanità al limite tra
disgregazione e solidarietà. La fede
religiosa, l’edonismo di chi non
crede alle astrazioni né è capace di
‘‘essere felice da solo”, il
semplice sentimento del proprio
dovere sono i protagonisti della
vicenda; l’indifferenza, il panico,
lo spirito burocratico e l’egoismo
gretto gli alleati del morbo.
Scritto da Albert Camus secondo una
dimensione corale e con una
scrittura che sfiora e supera la
confessione, La peste è un romanzo
attuale e vivo, una metafora in cui
il presente continua a
riconoscersi».
La storia finisce con la vittoria
sulla peste, ma non sulla Malattia
intesa in senso simbolico, poiché è
l’uomo a essere malato, né l’Umanità
che lotta costantemente contro la
propria fragilità, miseria,
caducità. La Peste, uscito subito
dopo la fine della seconda guerra
mondiale, ottenne grande consenso,
in quanto riflessione allegorica sul
Male della guerra che, come la
peste, non viene mai debellata del
tutto, ma resta latente in attesa di
una nuova esplosione.
Ricordiamo che anche il Covid-19
mise a dura prova le nostre
sicurezze, facendoci vivere un senso
di smarrimento su un mondo già
colpito da altri flagelli, come
crisi valoriale, economica,
ecologica a cui poi si sono aggiunte
altre guerre, come quella in Ucraina
e Medio Oriente.
E così, volenti o nolenti, i tempi
attuali ci impongono come nel
passato di scegliere tra distruzione
e costruzione, unione e
disgregazione, egoismo e
solidarietà. Nel suo romanzo Camus
ci fa riflettere su tutto ciò
attraverso diversi personaggi: Rieux,
il medico che al di là di scelte
politiche o religiose, lotta con
onestà contro l’assurdità della
morte; Tarrou, il collaboratore
volontario; Cottard, profittatore
che lucra sui generi di prima
necessità; Padre Paneloux, il
religioso che considera la peste una
punizione divina; Rambert che
rinuncia a interessi personali per
non abbandonare coloro che soffrono;
Castel, in apparenza distaccato che
si impegna a trovare un vaccino e si
commuove di fronte all’agonia di un
ragazzino; Othon, freddo giudice che
cambia solo dopo la morte del figlio
e decide di collaborare con il
medico.
La sofferenza dei bambini nel
romanzo di Camus è un tema centrale
che sottolinea la fragilità umana,
l’impotenza di fronte al dolore, il
simbolo dell’assurdità della vita
alla quale comunque bisogna dare un
senso malgrado sofferenza e morte
siano inevitabili, perfino per
esseri innocenti come i bambini.
La descrizione della morte di un
bambino, il figlio di Othon, è uno
dei momenti più toccanti. La sua
agonia osservata da Rieux, Tarrou e
Padre Paneloux scatena in loro
reazioni diverse che vanno da
disperazione, rabbia, fede. E
comunque i tre personaggi sono
costretti a cercare almeno un
significato condiviso nelle loro
vite e lo trovano nel lavoro, nella
solidarietà, nella ribellione
all’assurdità.
Ancor oggi, come in passato, milioni
di bambini muoiono per guerre, fame,
malattie, abusi di ogni genere, in
una continua violazione dei loro
diritti umani, soffrendo atrocemente
spesso nell’indifferenza di un mondo
in cui valgono di più le “terre
rare” che gli esseri umani, in
particolare quelli più indifesi.
Nel romanzo di Camus, Rieux alla
fine decide di non tacere e di
redigere un rapporto non solo per
testimoniare ingiustizie e violenze
fatte contro gli appestati, ma anche
per evidenziare ciò che s’impara
lottando contro i flagelli: sapeva
tuttavia che la sua cronaca non
poteva essere quella su una vittoria
definitiva, poiché il bacillo della
peste (il Male) non muore né
scompare mai, restando per decine di
anni addormentato per poi svegliare
di nuovo i suoi topi e mandarli a
infestare un altro luogo tranquillo.
Concludendo, quindi, negli esseri
umani c’è il bacillo della peste e
ci potremmo contagiare a vicenda: la
solidarietà è l’anticontagio,
l’antidoto contro violenza e guerra,
le malattie dell’uomo. Anche se il
Male non si può eliminare, tuttavia
lo si può combattere. Questo
dovrebbe essere il compito
dell’Educazione nell’insegnare ai
giovani il valore di sentimenti,
sincerità, impegno, libertà,
rapporto con la Natura e con Dio.