[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 151 / LUGLIO 2020 (CLXXXII)


antica  

OLIMPIA E GIOVANNI CRISOSTOMO

UN AMORE PLATONICO A BISANZIO

di Valerio Acri

 

Città dai molti nomi, splendente di mosaici e di architetture maestose, erede di Roma e Nuova Gerusalemme, simbolo di un Impero che ha segnato l’affermazione del Cristianesimo e ci ha trasmesso un patrimonio culturale capace di illuminare il mondo per oltre un millennio, dalla tardo-antichità all’uscita verso il Medioevo. Ecco cosa è stata Bisanzio – l’odierna Istanbul – ribattezzata nel 330 Costantinopoli, in quanto nuova capitale voluta appunto dall’imperatore Costantino.

 

Si trattò a tutti gli effetti di una vera rifondazione per una città dall’antico passato legato ai miti dell’eroe eponimo Byzas e della moglie Philadeia e, in seguito, alle costruzioni romane degli imperatori Settimio Severo e Caracalla.

 

Quando vi nacque Santa Olimpia, nel 381, Costantinopoli aveva conosciuto una notevole espansione, al punto di avere diritto a un prefetto urbano, come Roma. Dopo un’educazione improntata alle Sacre Scritture, la giovane Olimpia andò in sposa proprio al prefetto della città, tale Nebridio, il quale però la lasciò vedova morendo prematuramente. In quel tempo l’imperatore era Teodosio il Grande, che portò avanti un ulteriore programma di estensione urbana della città, facendole definitivamente superare in grandezza e importanza le altre sedi apostoliche come Alessandria e Antiochia.

 

Dalla sua nuova cattedrale di Santa Sofia (Hagia Sophia), l’imponente costruzione voluta da Costantino e completata dopo la sua morte nel 360, ricca di marmi, pietre preziose, colonne provenienti dalla Grecia e dall’Egitto e splendidi mosaici, il vescovo Nettario fu strenuo difensore di Olimpia quand’ella, rifiutando un nuovo matrimonio con il cugino di Teodosio, si attirò le ire dell’imperatore che le sequestrò ogni bene fino al compimento dei trent’anni. La nobile vedova non si perse d’animo e condusse onorevolmente cinque anni di vita in ristrettezze fin quando Teodosio, ammirato al punto di pentirsi, le restituì ciò che le aveva confiscato.

 

Olimpia utilizzò il denaro riacquisito finanziando la costruzione di un ospizio per l’accoglienza di forestieri di passaggio e poveri viaggiatori, guadagnandosi così la nomina a diaconessa da parte di Nettario. Quest’ultimo era stato eletto patriarca nel 381, a margine del secondo Concilio Ecumenico della storia, tenutosi proprio a Costantinopoli, che ribadì la condanna dell’arianesimo, già pronunciata a Nicea nel Concilio del 325, smentendo che il rapporto tra le tre Persone della Trinità era tale per cui il Figlio non aveva la stessa Divinità del Padre e “non sarebbe esistito se Dio non ci avesse voluto creare” (tesi sostenuta da Ario).

 

Il Concilio di Costantinopoli del 381 fu importante anche per altre due ragioni: sancì di fatto la prevalenza d’onore della città su tutte le sedi, elevando così il rango del suo vescovo a un importanza seconda solamente a quello di Roma, e fu l’ultimo al quale prese parte San Gregorio Nazianzeno, illustre predecessore di Nettario. Cresciuto teologicamente a fianco di San Basilio e secondo molti coniatore del termine “patriarca”, il Nazianzeno si ritirò dopo aver denunciato le bramosie vanagloriose che inquinavano i dibattiti conciliari, come scrisse pochi anni più tardi lo storico Evagrio Pontico, suo discepolo, concludendo che la gente era legata alla propria idea di Dio al punto di preferire la morte piuttosto che addivenire a un accordo.

 

In mezzo alle controversie circa la natura umana e/o divina di Cristo che imperversavano in quegli anni in tutto l’Impero d’Oriente, l’opera caritatevole di Sant’Olimpia brillò agli occhi di San Giovanni Crisostomo, in visita alla città nel 397, poco prima di essere nominato patriarca come successore di Nettario. La vedova aveva fatto costruire all’interno del portico meridionale di Hagia Sophia un monastero le cui religiose appartenevano alle illustri famiglie di Costantinopoli. Nacque così una santa amicizia tra la pia matrona e lo zelante patriarca, esaltato dal riconoscere in lei il profilo di una donna ricca e nobile che preferì rinunziare ai vantaggi della sua condizione sociale scegliendo l’ascesi felice dell’essere a servizio degli altri.

 

Il Crisostomo, esponente di spicco della Patristica del secondo periodo, quella impegnata nella formulazione di una filosofia a partire dai princìpi del Vangelo, aveva suo malgrado abbandonato la natìa Antiochia per rispondere alla chiamata dell’imperatore Arcadio che lo aveva scelto alla guida del Patriarcato di Costantinopoli. Diresse la Chiesa affidatagli con forza e rigore, predicando uno stile di vita improntato all’austerità, secondo l’ideale monastico portato avanti dal suo contemporaneo San Basilio. A quest’ultimo lo accomunò anche un’erudizione frutto di un’ampia apertura verso la cultura greca, un atteggiamento tutt’altro che scontato in un periodo nel quale la Chiesa e gli imperatori erano impegnati nell’avversare la circolazioni di testi pagani. Di entrambi è conservata una rappresentazione in mosaico nella monumentale Hagia Sophia, maestosamente ricostruita nel 532 da Giustiniano e poi riconvertita in museo dopo essere stata anche moschea in seguito alla dominazione ottomana.

 

I fermenti politici della Costantinopoli del IV secolo, le dispute teologiche che infuriavano e, soprattutto, le sciagurate connivenze tra il potere imperiale e quello ecclesiastico lo investirono però secondo dinamiche simili a quelle che poco prima avevano indotto all’abbandono il Nazianzeno. Un gruppo di vescovi capeggiati da quello di Alessandria, Teofilo, riuscirono a deporlo illegalmente ed esiliarlo determinando peraltro una frattura (un anticipo del definitivo Scisma del 1054) tra i patriarcati orientali e la Chiesa di Roma rappresentata da Papa Innocenzo solidale col Crisostomo. L’opera di rinnovamento spirituale che aveva portato avanti era mal digerita dalla corte imperiale mentre incontrò il fiero sostegno di Olimpia, pretestuosamente accusata dell’incendio che intorno al 402 distrusse Santa Sofia nel mezzo dei tumulti seguiti alla deposizione di Giovanni.

 

Condotta in giudizio davanti al prefetto Optato, la difesa di Olimpia fu la fierezza dell’innocenza – “l’occupazione della mia vita è la costruzione delle chiese di Dio e non la loro distruzione”, riporta un testo anonimo – e, su tutto, una fedeltà encomiabile verso il Crisostomo: la diaconessa avrebbe potuto evitare l’esilio forzato se avesse riconosciuto come nuovo vescovo Arsace in luogo di Giovanni e invece le ritorsioni contro i “giovanniti” la colpirono anche quando si era ormai ritirata a Cizico, l’odierna Erdek nella regione turca di Marmara. Da lì venne condotta a Nicomedia (oggi Izmit, nella Turchia asiatica) dove morì conservando fino all’ultimo un legame epistolare con il vescovo al quale poco tempo dopo fu imposto un nuovo trasferimento nei pressi di Comana Pontica che gli risultò fatale.

 

Nobilitati da un sentimento che la sofferenza dell’esilio rese ancora più solido, Olimpia e Giovanni inaugurarono probabilmente quell’archetipo di amore tra uomo e donna rivestito di Grazia e illuminato da una spiritualità altissima, mille anni prima di Chiara e Francesco e del Dolce Stilnovo dantesco che esalterà lo sguardo casto rivolto alla creatura femminile in quanto portatrice di Bellezza.

 

Animati dall’esigenza evangelica, Olimpia e Giovanni hanno espresso l’esserci l’una per l’altro nel combattere insieme con coraggio la buona battaglia compenetrandosi come esempi di fede.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

C. Mango, La civiltà bizantina, edizione italiana curata da Paolo Cesaretti, Laterza, Bari 1991. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]