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N. 133 - Gennaio 2019 (CLXIV)

BA’TH SIRIANO, BA’TH IRACHENO

UN UNICO PARTITO, DUE STRATEGIE REGIONALI – PARTE iI

di Olimpia Capitano

 

La Siria era un territorio composto da diverse comunità etniche e confessionali, con una maggioranza sunnita e minoranze alauite e druse. Fu Stato mandatario francese fino al 1946, quando ricevette l’indipendenza e vi prese forma un sistema politico liberale altamente instabile e monopolizzato dalla componente sunnita; alauiti e drusi erano invece maggioritari tra le fila dell’esercito, unico spazio utile di mobilità sociale.

 

Sarebbero state le stesse forze armate, sull’onda del 1948, a condurre i tre colpi di stato che rovesciarono il governo liberale nel ‘49. Questi da un lato furono un evidente tentativo di emarginare la classe dirigente sunnita, dall’altro mostrarono la debolezza politica dell’esercito, che non riusciva ad avere ragione del fazionalismo interno, alimentato dal proliferare di gruppi politici in aperto conflitto ideologico, tra cui il Partito Ba’th.

 

Come abbiamo visto questo nacque negli anni ‘40 e progressivamente ne furono delineate linee ideologiche e programmatiche: il primo punto restava il raggiungimento dell’unità politica araba, vista come premessa necessaria per la successiva rigenerazione nazionale ed applicazione delle riforme sociali; il socialismo arabo restò un concetto perlopiù indefinito.

 

Questo impianto teorico puntava all’esautoramento delle precedenti classi di governo e a una omogeneizzazione della società araba ma, di fatto, esercitava poca attrattiva sul ceto subalterno, più interessato all’immediatezza del riformismo sociale.

 

Altrettanta era la diffidenza dei grandi proprietari terrieri e dell’alto ceto urbano, che temevano la possibilità di future politiche sociali mentre, per quanto riguarda la piccola borghesia sunnita cittadina, rimaneva circospetta di fronte alle ipotesi di secolarismo e di un’omogeneizzazione etnico confessionale.

 

La classe media rurale, sunnita e non, era attratta dall’ideologia del partito che prometteva eguaglianza sulla base dell’arabismo e riforme sociali e di sviluppo nazionale che avrebbero dovuto risollevare le campagne senza distruggere le posizioni della classe media secondo logiche proletarie. Un ambiente prolifico per il Ba’th fu l’esercito, perlopiù composto da minoranze e i cui ufficiali provenivano in larga parte dalla classe media rurale.

 

Ammesso che i primi teorici del movimento non ritenessero un elemento necessario la contrapposizione di classe e ambissero ad una effettiva omogeneità nazionale, l’evolversi del gruppo politico condusse in quella direzione.

 

Nel frattempo la fragilità politica siriana non aveva trovato soluzione e si sistematizzò il fenomeno del golpe militare; dopo una serie di convulse vicende politiche ritroviamo al potere al-Quwatli, presidente siriano già dal 1943 al 1948 che, sull’onda dell’entusiasmo panarabo successivo a Suez, e probabilmente alla ricerca di forme di coesione e legittimazione politica nazionale, portò alle estreme conseguenze l’indirizzo panarabo: nel gennaio 1958 nacque la Repubblica araba unita che incluse Egitto e Siria.

 

Tuttavia la RAU vide la fuoriuscita siriana già nel 1961, largamente supportata dalle forze militari a causa dell’eccesso di controllo di Nasser su politica interna ed esercito: l’anno e mezzo successivo fu teatro di scontri continui per il controllo del potere.

 

Dopo questo insuccesso si consolidò l’indirizzo di classe del Ba’th: il grande sforzo unitario era fallito e, al contempo, le politiche di nazionalizzazione industriale e riformismo agrario promosse dall’Egitto avevano mostrato la possibilità di distruggere il potere economico e politico della tradizionale classe dirigente siriana senza la necessità di una rivoluzione proletaria.

 

Contemporaneamente in quegli anni crebbe l’ascendente militare all’interno del partito: alcuni ufficiali nazionalisti siriani, condotti in Egitto per svolgere funzioni diplomatiche, costituirono un comitato pro Bath segreto con lo scopo di restaurare la sovranità nazionale siriana e il controllo sul proprio esercito e contribuirono poi all’evoluzione successiva della lotta politica siriana.

 

Nel 1963 gruppi di ufficiali, compreso il comitato pro Ba’th, portarono a termine un colpo di stato con successo. Il Partito stava riformandosi dopo lo scioglimento obbligato durante gli anni del progetto panarabo e accolse la componente militare al suo interno. Questa, prima cercò di conquistare tutti i ruoli di rilevo interni all’esercito, in modo da instaurarvi un comando quasi assoluto, poi si mosse per il controllo delle strutture del partito.

 

Questa alleanza tra componente civile e militare non era tanto strumentale quanto figlia di appartenenza sociale e interessi comuni: infatti gli ufficiali provenivano dall’ambiente della classe media rurale non sunnita e trovavano quindi sincera affinità con il nuovo indirizzo del Partito. Al contempo conveniva anche a quest’ultimo integrare fazioni militari tra le proprie fila, in modo tale da assicurarsi il potere nonostante l’estrema limitatezza della propria base sociale rurale.

 

Nel 1963 fu quindi costituito un nuovo governo che prevedeva la spartizione del potere tra gli ufficiali, ma il gruppo Ba’th, integrato nel partito con cui condivideva l’autorità, ottenne i principali ruoli di presidenza e ministero degli interni.

 

Nei sei mesi successivi emerse più netto il nuovo indirizzo di classe, che prevedeva una forma di revisione ideologica sostanziale: l’unità degli Stati arabi passava in secondo piano rispetto allo sviluppo socialista di ogni regione e l’alterazione delle strutture economiche diveniva strumento prioritario per il distacco dall’egemonia occidentale e per l’applicazione delle riforme sociali. L’indirizzo neo-Ba’th era più affine agli interessi della classe media rurale e si poneva in netto contrasto con la grande proprietà terriera, l’industria privata e la classe mercantile.

 

Tra 1963 e 1965 furono seriamente implementate le leggi relative al riformismo agrario e tutte le terre soggette ad espropriazione passarono alla gestione statale e furono distribuite per l’85% già nel 1972. Questo processò svantaggiò i proprietari terrieri e favorì largamente la classe media, nella posizione di ottenere i prestiti statali per avviare il nuovo sistema delle cooperative. Invece solo un quarto dei contadini privi di terra ottenne qualche concessione; la maggioranza non ne beneficiò affatto e restò spesso soggetta a forme di contratto mezzadrili.

 

Furono poi nazionalizzate l’industria petrolifera e non, e annullate tutte le concessioni alle compagnie occidentali. Il controllo dei settori non agricoli dell’economia passò allo Stato, favorendo anche in tal caso la classe media rurale, dalle cui fila provenne la nuova massa di burocrati.

 

La formulazione dell’indirizzo neo-Ba’th non annullava le fedeltà precedenti e si formarono diverse fazioni interne al Partito, principalmente quella panaraba, che si richiamava al primo Ba’th, e quella regionalista, che attribuiva dimensione prioritaria allo sviluppo interno.

 

Prevalse il revisionismo ideologico poichè sostenuto dal gruppo militare: il Comitato militare conquistò sette dei quindici posti interni al Consiglio regionale del partito e da lì iniziò a collocare i propri fedeli nei posti chiavi di tutte le branche locali del Ba’th. Inoltre fu possibile portare avanti le nuove politiche, nonostante le opposizioni piccolo borghesi e dei contadini più poveri, grazie alla repressione delle manifestazioni anti governative da parte dell’esercito, che nel frattempo aveva subito diverse epurazioni in favore delle minoranze etniche.

 

Simili allontanamenti alterarono la composizione del Comitato militare, che ora era di dominio alauita, gruppo religioso affine allo sciismo. Emergeva un disegno delle minoranze di scalata dei poteri statali e, mentre il contrasto interno al Partito si intensificava, il 23 febbraio 1966 ci fu un ennesimo golpe militare, orchestrato sempre dagli ufficiali Ba’th, che escluse la fazione panaraba da ogni ruolo di rilievo.

 

In questa fase emersero due personalità molto forti all’interno del Comitato: Salah Jadid, che esercitava la propria egemonia negli organi direzionali del Partito e Hafez al-Assad che, oltre ad essere ministro della difesa e Capo dell’Aviazione, aveva molta influenza tra le fila dell’esercito.

 

Gli sviluppi regionali successivi al colpo di stato che portò al potere la fazione regionalista del Ba’th avrebbero di lì a poco comportato una rinnovata esigenza di revisione ideologica. La guerra dei sei giorni ebbe conseguenze disastrose sui Paesi arabi, comportò consistenti perdite territoriali e divenne il simbolo della disfatta politica del nasserismo e dell’inizio del declino del nazionalismo panarabo e socialista. La Siria perse le Alture del Golan e, di fronte alla sconfitta, il malcontento fu direzionato nei confronti del Partito e soprattutto dell’esercito e trovò sostegno in alcuni ufficiali con alla testa Assad, che si pronunciarono per una riformulazione delle priorità politiche. 

 

La fazione legata a Jadid e maggioritaria all’interno del Ba’th sosteneva lo sviluppo economico nazionale direzionato in favore del ceto medio e la sua diffusione regionale nei termini della lotta di classe, ciò rifiutando di collaborare con le forze nazionali non allineate tra i “progressisti”.

 

Assad e il corpo degli ufficiali invece si focalizzarono sulla perdita della guerra contro Israele come indice della debolezza siriana di fronte all’offensiva imperialista e dell’esigenza di una svolta programmatica. In questo senso si voleva dare priorità allo sviluppo militare oltre che economico e cercare di rioccupare i territori perduti; per fare questo servivano il coordinamento con l’Egitto ed ingenti finanziamenti.

 

Da un lato però l’Egitto stava vivendo una svolta moderata in politica interna che lo allontanava dal fronte progressista; dall’altro un’eccessiva dipendenza economica dall’Unione sovietica preoccupava Assad, che aveva intenzione di rivolgersi all’Arabia saudita e agli altri piccoli stati petroliferi, simboli del tradizionalismo politico.

 

Assad tendeva verso una politica regionale proiettata alla cooperazione pragmatica con gli altri Stati arabi e, per quanto non rigettasse l’indirizzo classista, favoriva l’avvicinamento ad altre organizzazioni nazionaliste e alla classe media urbana. Questa sua posizione era in linea con la nuova tendenza moderata che stava attraversando il mondo arabo dopo il ‘67 e risultava più incline alle esigenze di mercanti e imprenditori, necessitando quindi di una parziale liberalizzazione economica che era osteggiata dal Partito.

 

L’attitudine militare di Assad e il suo controllo su larga parte dell’esercito lo portarono ad un’azione militare: l’ala Neo Ba’th decise di intervenire in Giordania nel settembre del 1970 a supporto dei gruppi palestinesi e, di fronte all’opposizione di Assad, cercò di emarginarlo dalle cariche di potere e di condurre l’esercito sotto il proprio controllo.

 

Tuttavia alla fine del Congresso che ne aveva proposto le dimissioni, questi prese controllo dei quartieri militari e condusse un colpo di stato senza spargimento di sangue, cui seguirono ingenti epurazioni delle frange militari e politiche dell’opposizione; era il 13 novembre del 1970.

 

Per consolidare la propria posizione, dopo essersi installato alla Presidenza della Repubblica, pose al vertice dei comandi militari, dei servizi segreti e delle principali istituzioni, membri della sua famiglia e della propria confederazione tribale alauita. Forte dell’egemonia su esercito e Partito, e dato il dominio di questi sul complesso statale, poté: avviare il cosiddetto “movimento correttivo” che si concretizzò nella Costituzione del 1973, mutare nuovamente l’indirizzo Ba’th e creare una sorta di “monarchia presidenziale”.

 

Tutte le istituzioni ne uscirono indebolite e soggette al controllo presidenziale, compreso il Partito, che fu ridotto a uno strumento di mobilitazione di massa sorvegliato dall’esercito.

 

Il nuovo corso politico trovò le sue fondamenta ideologiche in un pragmatico regionalismo associato ad una nuova forma di panarabismo che, più che aspirare alla creazione di un’unione tra Stati arabi, ambiva a imporre manu militari l’egemonia siriana nel segno dello scontro con Israele.

 

In politica interna furono attuate parziali liberalizzazioni economiche che favorirono la classe medio alta sunnita e permisero un’estensione della base di consenso. In questo senso Assad aprì alla collaborazione politica e fu formato un Fronte nazionale progressista multipartitico ma, nei fatti, questo ampliamento dello spazio politico fu irrisorio dal momento che il potere era completamente accentrato nella figura presidenziale e all’interno della sua cerchia clientelare.

 

In più l’allargamento della base sociopolitica del regime non annullava il dominio della classe media e della minoranza alauita. In termini di politica di potenza strumentalizzò il conflitto israelo-palestinese, sia per cementare il consenso intorno al regime, sia per allargare lo spazio di azione regionale: in questa chiave vanno letti la guerra dello Yom Kippur, il “progetto Grande Siria” e l’intervento in Libano e la successiva affinità con l’Iran khomeinista.

 

Il Partito Ba’th restava formalmente “guida della società e dello Stato”, ma linea ideologica, prassi politica ed istituzionale e riferimento sociale avevano intrapreso una drastica svolta.



 

 

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