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N. 130 - Ottobre 2018 (CLXI)

IL FENOMENO MIGRATORIO CINESE

NELLA SINGAPORE DEL XIX SECOLO
STORIA DI UNA DIASPORA SECOLARE - PARTE II
di Emilio Paolo Delogu

 

Alla metà degli anni cinquanta del XIX secolo, l’immigrazione a Singapore raggiunse un vero e proprio record registrando l’arrivo di circa 13.000 nuovi migranti nel biennio 1853/54 (S. Swee-Hock): questi individui erano in larga parte rifugiati che cercavano riparo dalla guerra civile esplosa nel sud della Cina (nota come rivolta dei Taiping), ribelli alla dinastia imperiale Qing, emarginati e banditi di vario genere (molti dei quali affiliati a società segrete cinesi quali la Società del Cielo e della Terra (Tiandihui) e la Società Triade (Sanhehui).
 
 Alla base di un così massiccio flusso migratorio si situano diversi e decisivi fattori contingenti fra cui la penetrazione forzata dell’Occidente in Cina a seguito della disastrosa (per l’Impero del Centro) disfatta nella cosiddetta guerra dell’oppio del 1839/42 e il successivo trattato di Nanchino, la cessione dell’isola di Hong Kong alla Gran Bretagna nonché l’apertura di cinque porti del trattato (Fuzhou, Ningbo, Shanghai, Xiamen e Canton).
 
 D’altra parte di non meno rilevanza sono le cause esterne che hanno provveduto ad alimentare la diaspora cinese verso Singapore e fra queste è necessario ricordare il rafforzamento e l’istituzionalizzazione del dominio occidentale nel Sud-est asiatico come risultato della galoppante industrializzazione in Europa, la crescita dei mercati grazie all’aumento esponenziale nella domanda di alcune materie prime fra cui stagno, ferro, carbone e il conseguente aumento vertiginoso della richiesta di manodopera a basso costo.
 
Tutte queste motivazioni contribuirono significativamente a qualificare la Città del Leone (Singapura deriva dal Sanscrito e significa, per l’appunto, Città del Leone) come meta preferenziale dei flussi migratori provenienti dalla Cina sia in ragione della favorevole posizione geo-strategica, posta a guardia dell’entrata di un trafficato e stretto braccio di mare passante fra la penisola malese e la grande isola di Sumatra, sia perché luogo di grandi opportunità economico-lavorative e di rivalsa sociale.


La posizione di Singapore fece sì che diventasse meta privilegiata di un gran numero di cinesi d’oltremare che, da un lato, aumentarono l’offerta di manodopera, consentendo ai cinesi ivi stanziati di diventare più ricchi e, dall’altro, contribuirono a formare un lauto bacino di potenziali nuovi imprenditori che di lì a poco, si sarebbero potuti inserire all’interno del circuito economico della città (W. Gungwu).

In origine, la zona riservata all’immigrazione cinese a Singapore si trovava nella parte sud della città in un’area nota, per l’appunto, come Chinatown o Chinese Kampung (nuovo villaggio in lingua malese, in cinese era Xīncūn). Tuttavia, in poco tempo, l’impetuoso e costante aumento della popolazione di etnia e lingua sinica costrinse i nuovi coloni a cercare ulteriori spazi dove potersi stabilire: dapprima venne occupata una grande area d’insediamento a nord del fiume Singapore, inizialmente adibita alla immigrazione europea, e in seguito un’ulteriore posizione nell’area portuale adiacente al kampung.

Prima della fine del XIX secolo, precedentemente all’editto imperiale del 1877 che stabiliva una sorta di protettorato sulla comunità cinese di Singapore, l’intervento britannico all’interno della vita associativa degli immigrati era ridotto ai minimi termini.

Per buona parte del XIX secolo i cinesi di Singapore vissero la loro vita senza grandi interferenze da parte del governo locale; l’immigrazione non era soggetta ad alcuna regolamentazione pertanto, un sinkeh (lavoratore cinese sottopagato) di nuovo arrivo non conosceva altra autorità che quella della società segreta disposta a offrirgli protezione e assistenza ogni volta che fosse necessario. Poco dopo il suo arrivo nella città, infatti, ogni sinkeh era costretto a unirsi a una di queste organizzazioni di stampo criminale (N.S. Yoong).

Il ruolo giocato dalle società segrete nella gestione della comunità cinese si rivelò di primaria importanza: diversi gruppi legati alla Società Triade si erano stabiliti nella città tra gli anni ‘20 e ‘30 dell’Ottocento arrivando ad annoverare fra le proprie fila circa 6.000 aderenti nell’anno 1840 (C.C. Foon). Le funzioni che tali raggruppamenti criminali svolgevano spaziavano dalla protezione degli immigrati di fresca data alla distribuzione di incarichi lavorativi e politici, dalla risoluzione delle controversie giuridiche interne alla collettività financo alle questioni inerenti il sentire religioso di ciascun individuo.

I settori in cui l’attività delle Triadi e di altre cricche delinquenziali era più concentrata e redditizia si individuavano nello sfruttamento della prostituzione (che in condizioni di scarsità di individui di sesso femminile costituiva una grande fonte di guadagno) e nel commercio di manodopera non qualificata a basso costo (i cosiddetti coolies o sinkeh); gli immigrati che appartenevano a questa categoria di lavoratori venivano tenuti prigionieri a bordo delle imbarcazioni sulle quali giungevano a Singapore fintantoché il datore di lavoro non pagava la somma necessaria al loro riscatto; da quel momento il lavoratore contraeva un debito nei confronti del suo padrone che doveva saldare con un intero anno di lavoro sottopagato. Scaduto l’anno era libero di cercare un nuovo impiego.

Un primo passo verso la regolazione e il graduale smantellamento del sistema di controllo della comunità cinese costruito dalle società segrete, venne concepito dall’ufficiale e responsabile del protettorato imperiale William A. Pickering che, in accordo con il maggiore S. Dunlop, ispettore generale del corpo di polizia di Singapore, era convinto del fatto che soltanto cooptando i capi divisione delle cosche criminali all’interno della struttura istituzionale di governo sarebbe stato possibile eliminare i problemi legati allo sfruttamento del lavoro, della prostituzione e in generale all’immigrazione clandestina.

Quantunque discutibili in relazione alle modalità di intervento (era intollerabile per l’opinione pubblica e per le alte sfere di comando che si inserissero nella pubblica amministrazione elementi criminali), le misure adottate dall’ufficiale britannico tolsero letteralmente il terreno sotto i piedi alle società segrete che dovettero concentrare i propri affari esclusivamente nel settore del gioco d’azzardo.

Le bische offrivano un ottimo introito economico e consentivano alle cricche di aggirare i controlli governativi o quantomeno di continuare a prosperare senza bisogno di diversificare i propri settori d’investimento: quando nel 1887 Pickering promosse una decisa campagna di sensibilizzazione per la soppressione del gioco d’azzardo, fu oggetto di un attentato in cui venne gravemente ferito al volto con un colpo d’ascia; l’attentatore, un carpentiere di etnia Teochew, aveva ricevuto istruzioni di eliminare l’ufficiale britannico in segno di rappresaglia.

A quel punto vista la violenta reazione dei leader criminali, risultava chiaro che non fosse né opportuno né effettivamente possibile il progressivo assorbimento delle società segrete nella struttura legale del governo di Singapore e che l’unica strada percorribile dovesse essere quella dello smantellamento e della repressione. Riferì in proposito il governatore generale Sir Cecil Clementi Smith “le società segrete sono una minaccia per le istituzioni e creano grande scandalo per l’amministrazione britannica; il governo deve essere il potere supremo e non è così agli occhi di molte migliaia di cinesi che lavorano e vivono negli Stabilimenti degli Stretti” (C.M. Turnbull).

Nel 1889 venne varata una legge che dichiarava illegali tutte le società segrete e stabiliva un comitato consultivo adibito ad organo di raccordo fra il governo della colonia e la comunità cinese. Da quel momento, l’attività delinquenziale delle cosche e la relativa gestione dei flussi migratori cessarono di essere un fenomeno diffuso e incontrollato e l’occupazione principale delle società segrete assunse i connotati di lotta fra bande rivali di quartiere per il controllo di settori criminali di spiccato modello mafioso, fra cui l’estorsione di denaro per la “protezione” di piccoli esercizi commerciali (il pizzo) e il commercio di oppiacei.

Dalla fine del XIX secolo dunque, l’immigrazione cinese a Singapore diventò, almeno nominalmente, di esclusiva pertinenza del governo coloniale. L’ordinanza sulle società segrete rappresentò un importante punto di riferimento per l’evoluzione di Singapore; l’istituzione del protettorato cinese e la lotta portata avanti contro i sindacati criminali costituirono quelle solide fondamenta che avrebbero garantito prosperità sociale e sviluppo economico alla Città del Leone lungo il corso del secolo successivo.

 


Riferimenti bibliografici:

 

N.S. Yoong, The Chinese Protectorate in Singapore, 1877-1900, Journal of Southeast Asian History Vol. 2, No. 1, The Chinese in Malaya, Cambridge University Press, 1961;
K.G. Tregonning, Papers on Malayan History, Journal of Southeast Asian History, Singapore, 1962;
C.M. Turnbull, A History of Singapore 1819-1988, Oxford University Press, London, 1989;
W. Gungwu, China and the Chinese Overseas, Times Academic Press, Singapore, 1991;
T.N. Harper, Globalism and the Pursuit of Authenticity: The Making of a Diasporic Public Sphere in Singapore, Sojourn: Journal of Social Issues in Southeast Asia Vol. 12, N°2, 1997;
C.C. Foon, Secret Societies in Singapore: Survival Strategies, 1930s to 1950s, National University of Singapore, Singapore, 2003;
M.R. Frost, Transcultural Diaspora: The Straits Chinese in Singapore, 1819-1918, Asia Research Institute, Working Paper Series N°10, 2003;
S. Swee-Hock, The Population of Singapore, Institute of Southeast Asian Studies, Singapore, 2012;
B.S.A. Yeoh, L. Weiqiang, Chinese Migration to Singapore: Discourses and Discontents in a Globalizing Nation-State in Asian and Pacific Migration Journal Vol. 22, N°1, 2013.



 

 

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