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N. 120 - Dicembre 2017 (CLI)

Percy Bysshe Shelley

SULLA POESIA ROMANTICA INGLESE
di Vincenzo La Salandra

 

Quella di Percy Bysshe Shelley è una figura emblematica del Romanticismo inglese ed è il poeta idealista per eccellenza del suo secolo e della poesia inglese. Nacque a Field Place, presso Horsham nel Sussex, il 4 agosto 1792, morì a Lerici in uno sfortunato naufragio al largo del golfo di La Spezia l'8 luglio del 1822. Shelley manifestò fin dall'infanzia un temperamento indipendente e ribelle, insofferente alla disciplina e alle convenzioni sociali, piuttosto rigide nel suo secolo: era contro ogni forma di ipocrisia, naturalmente impetuoso e generoso, molto appassionato. Discendente di ricca famiglia aristocratica, ricevette la migliore educazione che un inglese del suo tempo potesse sperare: studiò alla Sion House Academy, ad Eton e a Oxford. La prima fase della sua vita di studio fu caratterizzata da un grande interesse per la scienza, anche se vista nei suoi aspetti più sensazionali, fantastici e alchemici, ma anche da forti sentimenti di ribellione intellettuale che condussero Shelley a scrivere e pubblicare un pericoloso libello, The Necessity of Atheism, che gli valse nel marzo del 1811 l'espulsione da Oxford e il biasimo familiare. Il libello di Shelley, nonostante il titolo, si limitava a conclusioni agnostiche, in quanto non negava la l'esistenza di Dio ma solo la possibilità di darne una spiegazione razionale.

 

In questo periodo di crisi spirituale il poeta sposò una giovane donna di oscura famiglia, Harriet Westbrook, dopo una fuga romantica ad Edinburgo. Fu un matrimonio infelice su cui pesò fin dall'inizio l'ombra di un'altra donna, Elizabeth Hitchner, della quale Shelley fu infatuato per oltre un anno, e che si concluse drammaticamente e nel disastro del suicidio di Harriet qualche tempo dopo che il poeta l'aveva abbandonata per fuggire con Mary Wollstonecraft Godwin, la donna con la quale sarebbe rimasto unito fino alla fine della sua vita in Italia. Dopo una tale tormentata giovinezza, culminata con la fuga con Mary in Italia e Svizzera, Shelley si affacciò sulla scena letteraria della sua epoca: aveva esordito giovanissimo con due romanzi neri o gotici, secondo la voga dell'epoca, Zastrozzi, del 1810, e St. Irvyne, nel 1811, poi tra il 1813 e il 1815 scrisse molte poesie interessanti particolarmente per lo studio della sua psicologia e della sua rapida maturazione intellettuale e artistica.

 

Qualche parola ancora per le sue opere. La Regina Mab, scritta nel parossismo della passione rivoluzionaria, è una protesta contro le istituzioni religiose, politiche e sociali dei suoi tempi. L'Insurrezione dell'Islam, malgrado il suo titolo, non è che una glorificazione delle idee della Rivoluzione francese. Nell'Alastor o lo spirito della solitudine, il poeta si mostra pieno di entusiasmo e di fede nell'avvenire dell'umanità. Hellas è un bellissimo inno drammatico scritto al primo scoppiare dell'insurrezione in Grecia. Adonais, è una pietosa elegia sulla morte del giovane poeta romantico Keats. I Cenci, tratto dalla storia italiana, è uno dei migliori drammi della letteratura inglese romantica. Giuliano e Maddalo, sono gli intimi colloqui tenuti con Byron nel loro soggiorno a Venezia; e Peter Bell è una satira piena di ironia contro l'apostasia politica di Wordsworth.

 

La poesia di Shelley, talvolta anche oscurata dalla novità del concetto filosofico, è sempre rivestita di forme d'una leggiadria inimitabile. Un profondo sentimento della Natura che si rivela sotto l'aspetto di un panteismo che a tratti è spirituale, e una fede illimitata, e forse anche esagerata, nei luminosi destini dell'umanità, una vaga intuizione infine delle scoperte della scienza moderna e dei trionfi popolari si manifesta quasi in ogni composizione di Shelley e del suo singolare intelletto romantico; egli si può a buon diritto annoverare ancora fra i poeti del futuro, e senza dubbio fra i poeti che parlano ancora oggi alle generazioni del futuro. La sua Ode al vento occidentale incarna più di ogni poesia del secolo l'ansia, il tormento, la passione, il fuoco e il movimento che il vento occidentale animava nella Natura e in Europa.

 

Uno dei ritratti migliori del poeta è forse quello di Joseph Severn, Shelley che scrive il 'Prometeo' alle Terme di Caracalla, conservato a Roma, alla Keats and Shelley Memorial House. Ma quello letterario più vivo resta nelle pagine del suo primo biografo Thomas Medwin, che raggiunse il poeta a Pisa nel 1820, e così lo descriveva emozionato: “Era davvero sempre occupato a scrivere o a leggere, e si concedeva appena il tempo per fare un po' di moto e prender aria; aveva sempre per compagno un libro: la prima cosa cui pensava al mattino e l'ultima la sera. Mi disse che leggeva sempre fino ad addormentarsi. Leggeva persino quando camminava sull'argine, e questa era la sua passeggiata invernale preferita; talvolta leggeva per la strada e generalmente aveva un libro accanto a sé sulla tavola durante i pranzi, se così si possono chiamare i suoi modesti pasti. Come è stato detto di un teologo, si alzava fresco per il suo lavoro la mattina, il silenzio della notte lo invitava a proseguirlo ed egli poteva veramente affermare di non preferire ad esso né cibo né riposo. Nulla lo angustiava se non quest'ultimo, perché allora egli si lamentava che il lavoro fosse finito. Era davvero uno studioso infaticabile. Ciò che costituisce per i comuni mortali uno dei principali piaceri, aveva così poca importanza per lui che talvolta chiedeva: 'Mary, ho cenato?'”.

 

è bello ricordare una sua pagina sul ruolo dei poeti, piccolo manifesto di idealismo romantico e pregevole brano di prosa, estratto dalla Difesa della Poesia. Quest'opera è un'appassionata e lucida difesa della poesi ascritta in prosa e in risposta al saggio Le quattro età della poesia, The Four Ages of Poetry, del 1820 e del suo amico T. L. Peacock: essa è stata definita da G. Tomasi di Lampedusa una “altissima affermazione della primarietà della poesia su tutte le attività umane, e altissima opera di critica”. Le persone che detengono questo potere, per quanto riguarda molti aspetti della loro natura, spesso possono avere un rapporto all'apparenza limitato con lo spirito del bene di cui sono ministri. Ma anche quando essi lo negano e lo abiurano, sono tuttavia costretti a servire il potere che si è installato sul trono della loro anima. E' impossibile leggere le composizioni dei più celebri scrittori contemporanei senza sobbalzare per l'energia elettrica che brucia nello loro parole. Essi misurano la circonferenza e scandagliano le profondità della natura umana con uno spirito pregnante e penetrante, e forse sono loro che restano più sinceramente stupiti delle sue manifestazioni; poiché non è il loro spirito ma lo spirito della loro epoca. I poeti sono i gerofanti di un'ispirazione non percepita, gli specchi delle ombre gigantesche che il futuro getta sul presente, le parole che esprimono ciò che non capiscono, le trombe che chiamano a battaglia e non sentono ciò che ispirano, l'influenza che non è mossa, ma muove. I poeti sono i legislatori non riconosciuti del mondo”.

 

Giuseppe Tomasi di Lampedusa si espresse sul poeta inglese, con una proverbiale ed incisiva frase: “Shelley: Un angelo autentico, ma con le ali forse nere”. E non si può non concludere con una delle classiche citazioni in memoria di Shelley. Pochi giorni prima della sua morte, in una lettera a Horace Smith, il poeta scriveva alcune parole che forse meglio di ogni dichiarazione di pessimismo e di sfiducia ci restituiscono il cammino ideale della sua vita, breve, tormentata ma ricchissima: “è difficile credere che il destino dell'uomo sia così basso ch'egli nasca solo per morire...”.



 

 

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