[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

195 / MARZO 2024 (CCXXVI)


contemporanea

Sciascia e Matteotti
la passione per il diritto e un delitto di cent’anni fa

di Gaetano Cellura

 

Da tempo il “piccolo” giudice non pensava più al delitto Matteotti. E il rivederne la foto – tra le carte trovate dalla polizia in casa dell’imputato che doveva giudicare: un pluriomicida per il quale, come esemplare punizione, il regime pretendeva la pena di morte – lo riportò con la memoria a quell’estate del 1924 in cui “la sorte del fascismo parve vacillare”. Tanta fu, per l’omicidio del deputato socialista, la commozione, tanto lo sdegno nelle famiglie italiane.

Giacomo Matteotti venne ucciso dai sicari del fascismo il 10 giugno di cent’anni fa, probabilmente lo stesso giorno del suo sequestro. E i suoi resti ritrovati due mesi dopo.  Sandro Pertini, la mano tremante per l’ira e il dolore, prese carta e penna e scrisse al segretario socialista di Savona: “Non posso più stare fuori dal vostro partito. Ti chiedo di volermi rilasciare la tessera con la sacra data della scomparsa del povero Matteotti”.

 

Sulla rivista Rivoluzione Liberale Gobetti definisce Matteotti “una specie di guardiano della rettitudine politica e della resistenza dei caratteri”. Giovanni Amendola, in un momento così tragico per l’incolumità dei deputati e per le sorti del parlamento, chiese udienza al Re. Ma non fu ricevuto.

 

Un intervento di Vittorio Emanuele III poteva ancora fermare la svolta autoritaria e brutale di Mussolini. E fu dopo l’omicidio di Matteotti, per l’orrore che gli suscitò, che Carlo Rosselli, altra vittima del fascismo, sentì il dovere di fare politica.

 

Nell’opera di Sciascia, il nome del Martire compare due volte: ne Le parrocchie di Regalpetra e nel romanzo Porte Aperte. Quest’ultimo uno dei più struggenti dello scrittore siciliano.  Un romanzo che non è esagerato definire cristiano. Perché ha per tema la pena di morte (in vigore durante il fascismo) e la contrarietà del “piccolo” giudice ad applicarla. Per principio. Per l’idea che lui ha della giustizia, non solo un problema di applicazione della legge, ma “di interiore libertà, comunque dovuta a chi è chiamato a giudicare”. E per avversione al fascismo anche.

 

Sciascia lo chiama “piccolo” non perché fosse piccolo di statura. Ma per le cose tanto più grandi di lui che si trovò ad affrontare. Da solo e fino a rimetterci, per i propri principi, la carriera.

 

La lettura degli Avvertimenti cristiani di Argisto Giuffredi aveva contato molto nella sua formazione giuridica, nella sua passione per il diritto. Segretario del vescovo di Patti, maestro notaro della Corte Pretoriana e del Regio Portulano di Palermo, cariche (le ultime due) che ricopre presumibilmente tra il 1561 e il 1562, gli Avvertimenti o Ricordi sono l’eredità letteraria che Giuffredi lascia ai figli e ai posteri.

 

E proprio al figlio che aveva scelto gli studi giuridici nell’opera raccomanda di non dare mai ai colpevoli o presunti tali la pena della tortura e quella della morte. Avvertimenti che, due secoli prima di Beccaria e del suo Dei delitti e delle pene (“Se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità”), suonavamo indiscutibilmente e coraggiosamente rivoluzionari. Anticipavano l’Illuminismo.

 

Il regime vedeva nell’applicazione della pena capitale – e nei confronti di persona colpevole di orrendi omicidi – la forza dello Stato. La sicurezza per i cittadini di poter dormire “con le porte aperte” (come allora si diceva e come, dopo la fine del fascismo, i suoi nostalgici amavano ripetere).

 

Di qui le forti pressioni sulla magistratura. Sul giudice che aveva in mano il processo. Ciononostante dalla camera di consiglio uscì per l’imputato pluriomicida una sentenza, di colpevolezza senza dubbio, ma che di morte non era. Il “piccolo” giudice ne aveva fatto un punto d’onore della sua vita, “dell’onore di vivere”.

 

Ne Le parrocchie di Regalpetra Sciascia parla di Matteotti attraverso i suoi ricordi di bambino. Il ritratto del martire antifascista portato a casa da uno zio dello scrittore e prudentemente dalla famiglia tenuto nascosto nell’armadio per evitare spiacevoli conseguenze.

 

Il futuro scrittore domandava chi era l’uomo nel ritratto. E la zia gli faceva il segno del silenzio. L’ha fatto uccidere quello, diceva piano, e ci penserà il Signore. E quello si capiva chi era.

 

“Una volta – scrive Sciascia – mi portarono alla stazione per vederlo passare, ma non riuscii a vedere niente, ricordo un treno che arrivava, e avevo sete, mi diedero una gazzosa di colore rosa e macchiai il mio vestito bianco”.

 

Nel romanzo Porte Aperte (ma il “piccolo” giudice che ne è il protagonista diceva di tenere sempre chiuse le sue) Sciascia sull’omicidio di Matteotti lancia en passant un’ipotesi originale: che l’abbiano ucciso non in nome del socialismo ma in nome del diritto. Del diritto penale di cui era libero docente.

 

A tutt’oggi vago come movente. O del tutto letterario conoscendo Sciascia. Ma è storicamente inconfutabile che Matteotti non abbia risparmiato attacchi veementi al fascismo e alle autorità di governo che assistevano “impassibili e complici allo scempio della legge”, ai brogli elettorali, alle violenze politiche.

 

Quando Mussolini proclamò che il suo governo non aveva alcun obbligo verso il parlamento, perché ne era nato fuori, Matteotti fu il primo (se non il solo) a gridare: “Viva il Parlamento”; e a ribattere che non con la forza doveva essere guidata l’Italia. Il primo a rinfacciargli il suo passato socialista e di essersi battuto per quei principi che ora combatteva. Compreso il diritto di cui il fascismo devastava lettera e sostanza.

 

Romanzo incentrato contro la pena di morte – per Sciascia principio di tale forza che si può essere nel giusto anche se si resta soli a sostenerlo – Porte Aperte, attraverso i ricordi del “piccolo” giudice, il ricordo delle foto dei giornali che maggiormente ne fecero allora pubblicazione, dedica belle pagine ai funerali di Matteotti, ai deputati socialisti inginocchiati di fronte alla spalletta del ponte dove avvenne il suo sequestro, alla bara che ne conteneva i resti dopo il ritrovamento. E alla commozione degli italiani che, in quell’estate del 1924, avevano ancora sentimento.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]