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N. 4 - Aprile 2008 (XXXV)

LA CHIESA DI SANTA MARIA DEL POPOLO A ROMA
UN COMPENDIO DEI VARI SECOLI DELLA STORIA DELL’ARTE E DELL’ARCHITETTURA

di Ginevra Bentivoglio

 

La Chiesa di Santa Maria del Popolo si potrebbe definire, tra le chiese di Roma, quasi un compendio dei vari secoli della storia dell’arte e dell’architettura.

Nel luogo ove oggi sorge la chiesa fu realizzata da papa Pasquale II, nel 1099, una piccola chiesetta, in un luogo che era ritenuto infestato dai diavoli poiché nei pressi vi era la tomba dell’imperatore Nerone.

 

A metà del XIII secolo, all’antica chiesa fu annesso un convento affidato ai frati dell’Ordine Agostiniano.

 

Tra il 1471 e 1477 tutto il complesso venne rimodernato e ampliato, nell’ambito di quella estesa attività di rinnovamento della città, promossa da papa Sisto IV, e la chiesa e il monastero furono affidati ai frati agostiniani della Congregazione di Lombardia.

 

La chiesa, in virtù della presenza di una antica immagine miracolosa della Madonna, costituì un luogo di pronunciata attrazione di fedeli.

 

In quanto posta in adiacenza delle antiche mura di Roma - realizzate dall’imperatore Aureliano a partire dall’anno 273 - e contigua alla antica Porta Flaminea, la Chiesa di Santa Maria del Popolo rappresentò sempre, fin dalla sua fondazione, il primo luogo di devozione per chiunque, pellegrino o Re, religioso o artista, mercante o Papa, entrasse, provenendo da Nord, in Roma.

 

All’esterno il grande convento - già organizzato nel tempo attorno a due chiostri di cui uno, quello quattrocentesco era decorato con cicli pittorici della scuola del Pinturicchio - si estendeva fin verso la metà dell’attuale emiciclo. All’inizio del 1800 venne distrutto per realizzare l’attuale piazza. Il nuovo convento, sul quale svetta il campanile quattrocentesco con la caratteristica terminazione conica, è opera di Giuseppe Valadier.

 

La Chiesa si eleva al sommo di una alta scalinata che ha una duplice funzione: una funzione di protezione dai frequenti allagamenti del fiume Tevere e quella di dare maggiore monumentalità all’edificio, alla stregua di un antico tempio romano posto su un alto basamento.

La facciata si presenta realizzata con spesse lastre di travertino (il lapis tiburtinus dei romani, le cui cave principali si trovano, ancor oggi, a Tivoli) ricavate o estratte dagli antichi edifici.

L’intelaiatura di lesene definisce l’immagine architettonica della facciata la cui zona centrale, più alta, è coronata da un timpano triangolare all’interno del quale dominava il grande stemma con la rovere di Sisto IV, di cui oggi resta solo una porzione. Questa zona, in origine, era raccordata a quelle laterali, più basse, con due semplici cornici inclinate. Tutto ciò già indica la divisione interna della chiesa in tre navate, la centrale più alta e le laterali più basse, a cui si accede attraverso le tre porte.

 

L’immagine della facciata che vediamo oggi è quella derivata dagli interventi di Gian Lorenzo Bernini che l’ha modernizzata eliminando i diaframmi delle bifore e gli elementi interni che costituivano la “ruota” del rosone centrale: tutto ciò per convogliare maggiore luce all’interno. Ha inserito i mezzi timpani ricurvi ai lati coronando il timpano con i monti e le stelle, emblemi araldici della famiglia Chigi.

 

Entrando in chiesa dalla porta centrale possiamo cogliere una duplicità di espressione artistica: Rinascimento e Barocco sono armoniosamente congiunti, cui quella maggior quantità di luce, provenente dalle ricordate modifiche in facciata e da quelle sulle finestre lungo la navata, contribuisce a farla risaltare.

 

L’originario rigoroso sistema dei pilastri cruciformi, costituiti da semicolonne di un ordine maggiore, verso la nave centrale, su cui si innestano le grandi volte a crociera, e quelle di ordine minore, che raccolgono le arcate e le volte delle navi minori, viene accortamente trasformato da Gian Lorenzo Bernini. Sia a causa degli elementi delle singole membrature architettoniche che per la reciprocità della loro relazione – in quanto non più osservabili nella loro singola identità, ma fusi dall’introduzione di un apparato decorativo-scultoreo – si viene indirizzati, con un percorso visivo ondulato, verso il fondo della chiesa, ove si trova la miracolosa immagine della Madonna. Questa immagine, dopo la ricostruzione della chiesa promossa da papa Sisto IV, era stata collocata entro una grande pala marmorea - commissionata dal cardinale di origine spagnola Rodrigo Borgia, futuro papa Alessandro VI - realizzata da Andrea Bregno, il più grande scultore attivo in Roma negli ultimi decenni del XV. Una triste vicenda, come è ricordato in un’ iscrizione, si collega alla sua esecuzione: il giovane figlio cadde dal ponteggio e morì.

 

Agli inizi del XVI secolo la zona del coro, posta dietro l’altare del Bregno, ebbe una sistemazione architettonica più complessa a opera di Donato Bramante. Il celebre architetto terminò questa parte della chiesa con un’abside dal motivo a conchiglia, preceduta da un profondo arcone a lacunari, e la zona antistante, trasformata la volta a crociera in una volta a “vela”, accolse gli affreschi di Pinturicchio, eseguiti con una ricchezza di colori, motivi decorativi, precisione di dettaglio e lumeggiature d’oro da considerarsi quasi una estesissima “miniatura”. La complessa organizzazione a scomparti, con i quattro Evangelisti e le Sibille, separati da motivi a grottesca, contorna l’immagine della Madonna, mentre alle quattro imposte della volta, entro edicole architettoniche, sono assisi i Dottori della Chiesa.

 

Le originarie piccole finestre furono ampliate, sempre da Bramante, su commissione di papa Giulio II, nipote di Sisto IV, e accolgono due grandi serliane, ossia una apertura costituita da tre parti, separate da due colonne, la centrale ad arco e le laterali rettilinee. Il Marcillat, di origine francese, ha lasciato qui la più complessa e ricca esecuzione di vetrate figurate, probabilmente su disegno dello stesso Bramante.

Alle pareti si ergono i monumenti sepolcrali marmorei - dei cardinali Ascanio Sforza, fratello di Ludovico il Moro, duca di Milano, e del cardinale Girolamo Basso Della Rovere parente del papa - opera di Andrea Sansovino, fatti eseguire da papa Giulio II, identici nella forma e nella distribuzione degli elementi scultorei e decorativi. Quest’opere si pongono quali capolavori dello scultore sia per fattura che per l’introduzione di motivi formali nuovi.

In tale zona si può dunque osservare una compiuta sintesi, in ossequio ai dettami rinascimentali, tra le varie espressioni artistiche: architettura, pittura e scultura, nonché arte vetraria, realizzata entro i primissimi anni del 1500.

 

Nel 1627 l’altare del Bregno è rimosso e spostato (oggi è nella sagrestia) e al suo posto viene realizzata una più imponente e sfarzosa opera, promossa dal cardinale Antonio Sauli, ridondante di marmi policromi e decorazioni, mentre, contemporaneamente, il sovrastante arcone a lacunari, simile a quello che precede l’abside terminale, viene riempito di figurazioni a stucco dorato evocanti la vicenda collegata alla fondazione della chiesa. Tali interventi hanno annullato quella continuità spaziale e visiva che prima avveniva tra il coro, transetto e navi.

 

Posizionandoci al centro del transetto, sotto la cupola quattrocentesca a padiglione - la prima costruita a Roma dopo quelle dell’antichità - che si eleva su un tamburo a pianta ottagonale traforato, per ogni lato, da ampie finestre - si possono osservare gli affreschi del senese Raffaele Vanni fatti eseguire da papa Chigi. Il transetto, anche questo rinnovato per opera del Bernini, si conclude con due absidi contenenti gli altari con le tele di Bernardino Mei e Giovanni Battista Morandi. In questa zona si affacciavano, dall’alto, due grandi organi pregevoli per invenzione e decorazioni, di cui oggi resta solo uno, anche questi realizzati su disegno di Bernini. Le canne si presentano avvolte da i rami dell’albero rovere, alludente allo stemma di papa Giulio II che aveva concesso ai Chigi di fregiarsi anche del suo stemma.

 

Il transetto – ogniqualvolta che un pontefice presenziava alle cerimonie che avvenivano in chiesa – veniva adibito a “cappella papale” e adornato per l’occasione. Due tra i più famosi quadri di Raffaello, erano quindi installati in questa zona della Chiesa, fino alla fine del XVI secolo – così riporta il Vasari - durante “le feste solenni”: il Ritratto di Giulio II (ora alla National Gallery di Londra) e La Madonna del Velo (più ampiamente conosciuta come Madonna di Loreto, ora conservata al Musée Condé di Chantilly), venduti poi dai frati, nel 1591, al cardinale Paolo Emilio Sfondrato.

  

 

Sempre nel transetto possiamo trovare la testimonianza di due eventi di estrema importanza, il primo con una valenza storica, l’altro di valenza artistica: quello di valenza storica riguarda la cappella, dedicata a Santa Lucia, che aveva accolto due dei figli di Rodrigo Borgia e successivamente la loro madre, Vannozza; l’altra cappella, dedicata ai santi Pietro e Paolo fatta realizzare da Tiberio Cerasi, avvocato concistoriale, custodisce due tra le più importanti tele di Caravaggio, l’una rappresentante la Crocifissione di San Pietro e l’altra la Conversione di San Paolo.

 

La cappella in origine fu fondata dal cardinale veneziano Pietro Foscari il cui prezioso sarcofago marmoreo con la statua bronzea vi rimase fin verso la fine del XVI secolo, e poi nel corso dei secoli, è stato spostato più volte.

Accanto a questa vi è la cappella della famiglia Theodoli, dedicata a San Girolamo e a Santa Caterina del calice, che si caratterizza dalla esuberante decorazione pittorica e a stucco, opera eseguita dal 1569 dal piacentino Giulio Mazzoni.

 

Nella chiesa di Santa Maria del Popolo, pertinenze incluse, si trova la più estesa presenza di grandi monumenti sepolcrali marmorei realizzati tra la fine del XV secolo e la prima metà del XVI secolo. È da ricordare subito che molti di questi monumenti non occupano più il luogo originario e ciò a causa delle trasformazioni berniniane ma anche a causa di quelle dell’inizio del XIX secolo, seguite alla distruzione del grande convento, per realizzare la Piazza del Popolo a opera di Giuseppe Valadier.

 

Prima di inoltrarci nel giro delle due navi minori e nelle dieci cappelle che su queste si affacciano, gettiamo uno sguardo al pavimento della chiesa ove si possono scorgere una grande quantità di lapidi sepolcrali, molte con immagine a bassorilievo, altre con ricche decorazioni e altre ancora con eleganti iscrizioni.

 

Procedendo - con le spalle all’altare maggiore - verso la navata di sinistra, la prima cappella è dedicata a Santa Caterina della Ruota (Santa Caterina d’Alessandria, martirizzata con la ruota ad arpioni), già appartenuta al cardinale Domenico Della Rovere che la cedette al cardinale portoghese Giorgio Costa (+1508), il cui monumento si fronteggia con quello quattrocentesco di Marcantonio Albertoni (+1485).

 

La seconda cappella è dedicata a Sant’Agostino: vi si entra attraversando una raffinata balaustra marmorea. Gli affreschi del Pinturicchio e della sua scuola, del Pastura e gli apparati decorativi con i fregi a monocromo di Jacopo Ripanda, sono racchiusi e contenuti dalla simulazione di una intelaiatura architettonica di colonne su alti basamenti, anch’essa dipinta. Il sobrio monumento di Giovanni Della Rovere (+1483), eretto dal figlio, il cardinale Domenico, è riconducibile alla scuola del Bregno. In buona misura si conserva la pregevole pavimentazione quattrocentesca in elementi ceramici policromi.

 

La terza cappella non presenta più l’originario impianto quattrocentesco essendo stata completamente rifondata e ampliata, a partire dal 1680, dal cardinale Alderano Cybo, discendente da un ramo della famiglia di papa Innocenzo VIII, tramite il di lui nipote, il cardinale Lorenzo Cybo. Realizzata dall’architetto Carlo Fontana, l’allievo prediletto di Bernini, si caratterizza per una estrema linearità di elementi architettonici caratterizzati dall’uso di una grande quantità di marmi rari tra i quali risaltano le colonne realizzate in diaspro di Sicilia. Sul fondo, direttamente dipinta a olio sulla pietra, l’Immacolata Concezione di Carlo Maratta.

 

La quarta cappella, dedicata a San Girolamo, presenta la decorazione pittorica di Pinturicchio e della sua bottega. Due pregevoli monumenti sepolcrali, uno dei cardinali Cristoforo (+1478) e Domenico Della Rovere (+1501) e l’altro, di più complessa composizione, del cardinale Giovanni Di Castro (+1506), testimoniano, fronteggiandosi, due diversi periodi artistici.

 

La struttura attuale della cappella Chigi – la seconda cappella a sinistra entrando in chiesa – è dovuta all’ampliamento della prima cappella quattrocentesca dedicata alla Madonna di Loreto.

Agostino Chigi il Magnifico – “il più grande mercante della Cristianità”, come a lui si rivolgeva il sultano di Costantinopoli - la ottenne da papa Giulio II nel 1507 è affidò il progetto e la decorazione a Raffaello Sanzio. Sia Agostino Chigi (+1519) che Raffaello (+1520) non videro il compimento della cappella che per ricerca architettonica, pittorica, scultorea e decorativa rappresenta la più complessa invenzione simbolica e formale dell’urbinate.

 

Un’esecuzione raffinatissima dei capitelli lavora il marmo con la morbidezza del fogliame d’acanto, mentre in alto la cupola semisferica accoglie il sorprendente ciclo della creazione del mondo, con i pianeti, i segni dello zodiaco e al centro Dio creatore. Tutto ciò è realizzato in mosaico da Luigin da Pace, un mosaicista fatto giungere da Venezia che mise in opera i disegni - ancora oggi conservati - di Raffaello e che terminò il lavoro nel 1516, come scrisse nello scomparto con la figurazione di Venere. La pittura sull’altare, rappresentante la Natività è di Sebastiano dal Piombo (artista cresciuto in casa di Agostino Chigi) è eseguita a olio direttamente su una parete di blocchetti di pietra (peperino).

 

Intorno alla metà del XVII, il cardinale Fabio Chigi, discendente diretto da parte di Sigismondo, intraprese lavori di restauro della cappella e in particolar modo la riconfigurazione in una forma più austera dei due monumenti sepolcrali, progettati da Raffaello in forma piramidale, rimasti imperfetti o danneggiati. Aggiunse, per opera di Bernini e Algardi le statue di altri due profeti, Abacuc e Daniele.

 

Tutta la concezione simbolica della cappella si basa sulla Redenzione e la Resurrezione, incentrata sulla figura di Maria e si collega ad altri complessi strati simbolici di matrice neoplatonica. Al centro il pregevole disco a intarsio marmoreo (forse su disegno di Bernini) con raffigurata la Morte, chiude l’accesso al sepolcreto, ove era collocata un’altra semplice piramide che probabilmente, come alcuni studiosi hanno messo in evidenza, veniva raggiunta, dai raggi del sole attraversanti la finestra del tamburo e una apertura nel pavimento.

Esternamente la cappella si presenta in forme estremamente semplici in adesione a un simbolismo di natura platonica: cubo, cilindro e sfera.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

E. BENTIVOGLIO, S. VALTIERI, Santa Maria del Popolo a Roma. Con una appendice di documenti inediti sulla chiesa e su Roma, Roma 1976.

E. BENTIVOGLIO, S. VALTIERI, Le incisioni di Francesco Giangiacomo delle lunette dipinte dal Pinturicchio e altri artisti di scuola umbra nel chiostro grande del convento agostiniano di S.Maria del Popolo demolite nel 1811 per la realizzazione della attuale piazza del Popolo in “Biblioteca di Giano” n.2, Gangemi Editore, Roma 1999.

La Madone de Lorette, catalogo della mostra Chantilly 1979-1980 a cura di S. Beguin, Paris 1979.

C. GOULD  Raphael’s portrait of Pope Julius II. The re-emergence of the original, London 1970.

M. SANUDO, I Diarii, vol. XVII, Venezia 1887.

C.L. Frommel, Giulio II e il coro di Santa Maria del Popolo, in “Bollettino d’Arte”, n. 112, aprile-giugno 2000, pp. 1-34.

G. VASARI, Le Vite de’più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, 1568, ed. Milanesi, Sansoni, Firenze 1906.

 



 

 

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