[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 150 / GIUGNO 2020 (CLXXXI)


filosofia & religione

Il tabù deL sangue

ebraismo biblico e cristianesimo

di Andrea Filippini


“Non mangerete la carne con la sua vita,

cioè con il suo sangue”.

(Genesi 9, 3, CEI-08)

 

Fin dai tempi più remoti il sangue è avvolto da un’aura di mistero e sacralità. “In questo vermiglio brodo, cultuale prima che culturale, incubarono”, tra l’altro, “precetti etici, dottrine mediche, comandamenti e tabù” (Camporesi), il cui portato si riflette ancor oggi nelle scelte alimentari e mediche di milioni di persone e in alcuni riti religiosi: il consumo della sola carne da macellazione kāshēr (gli ebrei) o alāl (i musulmani), il rifiuto delle emotrasfusioni (i Testimoni di Geova), i penitenti che si flagellano credendo nella expiatio per sanguinem o la celebrazione eucaristica che prevede l’assunzione del vino transustanziato in sangue (i cattolici).

 

Nell’ebraismo biblico il tabù del sangue, quale “interdizione o divieto sacrale”, risale all’era antidiluviana. Il Genesi descrive le prime generazioni di uomini come vegetariani, con un’alimentazione prevalentemente fruttariana (1, 29). Nel passaggio dall’archeodieta frugivora a quella carnivora postdiluviana nasce il primo tabù del sangue. Secondo la narrazione, Dio concesse a Noè l’autorizzazione all’uccisione degli animali a fini alimentari con una condizione tassativa: “Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè con il suo sangue” (9, 3).

 

La ratio di questa proibizione non è da ricercare in ragioni sanitarie e igieniche, perlomeno non in via prioritaria. Nonostante Agostino pensasse che “la carne di animali morti” senza adeguato scannamento non fosse stata “ammessa come alimento” in quanto “non adatta alla salute del corpo” (Contra Faustum Manichaeum, XXXII, 13), idea questa condivisa anche da altri pensatori, in realtà sembra molto più plausibile che alla base di questo precetto risiedano convinzioni di matrice puramente religiosa.

 

Nella prospettiva emocentrica veterotestamentaria il sangue è “l’umore vitale per eccellenza” (Cosmacini), i termini “sangue” e “vita” sono ontologicamente sinonimi, e la scaturigine del tabù è divina in quanto è Dio stesso a usare l’endiadi sangue/vita e a dichiarare che “domander[à] conto” degli abusi (Genesi 9, 5). Il manducare sangue o carni non adeguatamente dissanguate, al pari dello spargimento di sangue umano (Genesi 9, 6), rappresenta un’esecrabile appropriazione indebita dell’essenza della vita che appartiene al Creatore. Il consumo di sangue è violazione della sfera divina, un’incursione nel sacro qualificabile come reato teologico.

 

La specificazione che la prescrizione relativa al sangue sia indirizzata a Noè e a suoi figli, i quali solo poche pagine dopo sono visti quali capostipiti di tutte le popolazioni del mondo (Genesi 10), consente di concludere che nella mentalità del redattore del Pentateuco essa possegga una valenza erga omnes, cioè che sia rivolta a tutta l’umanità, indistintamente.

 

Questo e altri sei imperativi sono tradizionalmente considerati come elementi fondanti di un sistema morale, il “noachismo” (Sanhedrin, 56b), che, precedendo la stesura della Torah, starebbe alla base dell’etica mondiale. Questo era l’intimo pensiero dello scienziato teologo Isaac Newton, il quale scrisse: «Questa Legge [di astenersi dal sangue] era più antica de’ giorni di Moisè, essendo ella data a Noè, ed a’ suoi Figli molto prima de’ giorni di Abraham: E perciò quando gli Apostoli, e i Seniori nel Concilio in Gerusalemme dichiararono che i Gentili non fossero obbligati a farsi circoncidere, e ad osservar le Mosaiche Leggi, n’eccettuarono quella d’astenersi dal sangue, e da strangolate bestie per cibo; come Legge di Dio antica non solamente a’ Figli d’Abraham, ma pur anche a tutte Nazioni, mentre insieme viveano in Shinar sotto il Dominio di Noè: Leggi di medesima specie sono lo astenersi dal cibar Carni di Vittime immolate a falsi Numi, & Idoli; e dalla Fornicazione».

 

L’interdizione del sangue fu successivamente ribadita quando il popolo d’Israele si strutturò politicamente diventando una nazione libera. Nel Levitico, un testo giuridico riguardante la liturgia e il culto, ritroviamo le stesse norme sul sangue che avevano accompagnato gli adoratori di Geova/Yahweh fino ad allora. Rivolgendosi a “ogni uomo, Israelita o straniero dimorante in mezzo a loro” il Legislatore statuì quanto segue: «Non mangerete sangue di alcuna specie di essere vivente, perché il sangue è la vita di ogni carne; chiunque ne mangerà sarà eliminato» (17, 10-14). Può sorprendere, ma nella concezione ebraica il sangue aveva un valore simbolico talmente alto che la sua profanazione era considerata un reato capitale.

 

Una breve ricerca evenemenziale su tutto il Vecchio Testamento svela quanto la mentalità ebraica fosse impregnata dal tabù del sangue. Propongo due casi. Il re Davide rifiutò di bere della semplice acqua che i suoi uomini arditamente gli avevano procurato, dicendo: «È il sangue di questi uomini, che sono andati là a rischio della loro vita!» (2 Samuele 23, 13-17)

 

Secoli dopo, quattro giovani nobili ebrei esiliati a Babilonia, convocati alla corte del re Nabucodonosor per essere sottoposti a un triennio di acculturamento, rifiutarono di “contaminarsi con le vivande del re” perché includevano carni non dissanguate e chiesero “da mangiare verdure e da bere acqua” (Daniele 1, 3-16).

 

La letteratura ebraica extrabiblica posteriore alla redazione del Tanakh (Bibbia ebraica) attesta il permanere del divieto di mangiare il sangue. Tra i ritrovamenti nelle grotte di Qumran (1947-56) alcuni testi risalenti al II secolo a.C. rimarcano la cultura “no blood” del popolo ebraico. Nel Documento di Damasco leggiamo che “i figli di Giacobbe […] complottando contro gli ordini di Dio e facendo ciascuno ciò che pareva buono ai suoi occhi; essi mangiarono il sangue e furono recisi, nel deserto, i loro maschi” (III, 4-7a).

 

Il Libro dei Giubilei, parafrasando porzione del Pentateuco, scrive: “Tutti coloro che mangiano il sangue di ogni carne saranno tutti cancellati dalla terra […] Non siate come colui che mangia (carne) col sangue e adoperatevi con tutte le vostre forze affinché non mangino il sangue al vostro cospetto. Sotterrate il sangue nella terra perché così mi è stato comandato di dire a voi e ai vostri figli e a tutta l’umanità. E non mangiate l’anima con la carne affinché, in luogo di tutti gli esseri di carne che versano il (loro) sangue sulla terra, non sia richiesto il vostro sangue, che è la vostra anima” (VII, 28, 31-32).

 

Quando Gesù di Nazareth salì sul proscenio mediorientale trovò una nazione ebraica pienamente osservante del divieto di mangiar sangue. Giuseppe Flavio, storico ebreo del I secolo, lo testimoniò a chiare lettere: “A noi interdisse completamente l’uso del sangue come cibo, considerandolo anima e spirito” (Antichità Giudaiche, III, 2, 260). I primi discenti del Nazareno, tutti ebrei praticanti, non mangiavano sangue o carne non kāshēr.

 

Attorno alla metà del I secolo, quando le file del cristianesimo si stavano viepiù arricchendo di convertiti gentili, alla dirigenza gerosolimitana del movimento si presentò una sfida dirimente: questi neofiti erano tenuti all’osservanza della legge mosaica, ivi compresa la proibizione del sangue?

 

Il Nuovo Testamento tratteggia l’annosa e vivace diatriba che contrappose i giudeocristiani agli etnocristiani. La soluzione formale individuata, certamente compromissoria rispetto alle posizioni di partenza, è sintetizzata nella pericope del Concilio di Gerusalemme (Atti degli Apostoli 15, 4-29). Considerata l’evidenza della benedizione divina sui neoconvertiti pagani, venne realizzato che l’essere cristiani prescindesse dall’applicazione dei precetti mosaici tranne che per quattro capisaldi, riferibili comunque all’etica noachide: “Astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime” (15, 29). La delibera conciliare reputa questi divieti un “obbligo” per tutti i cristiani e li valuta come “cose necessarie” (15, 28).

 

Le testimonianze disponibili ci rendono edotti del fatto che i cristiani dei primi secoli presero questi precetti molto seriamente. Sul finire del II secolo, l’apologista Tertulliano asserì che i cristiani “non consider[avano] il sangue degli animali neppure come cibo ammesso nei pranzi, e per questa ragione [s]i asten[evano] dagli animali uccisi per soffocamento o morti naturalmente, per non essere in alcun modo contaminati dal sangue, anche se giace sepolto tra le viscere”, e aggiunse: “Per torturare i cristiani, voi presentate loro delle salsicce ripiene di sangue, ben sapendo che quei cibi non sono loro permessi, e che è questo un mezzo sicuro per farli deviare dalla loro fede. Come potete mai credere bevano sangue umano coloro che siete ben persuasi abbiamo orrore di quello degli animali, a meno che, per caso, voi non abbiate fatto l’esperienza che esso è più gradevole?” (Apologeticum, IX, 13-14).

 

Analogamente Minucio Felice, riferendo il punto di vista cristiano sul tabù del sangue, annotò: “Ci guardiamo dal sangue umano al punto di non ammettere nell’alimentazione neppure il sangue degli animali commestibili” (Octavius, XXX, 6). Tra gli scrittori cristiani del II-IV secolo che manifestarono la consapevolezza della base vetero e neotestamentaria del divieto di mangiar sangue e che ne riconobbero l’attualità, annoveriamo, tra gli altri: Clemente Alessandrino (Paedagogus, II, 1; II, 7), Clemente Romano (Homiliae, VII, 4, 8; Recognitiones, IV, 36), Origene (Contra Celsum, VIII, 29-30), Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica, V, 1, 26), Giovanni Crisostomo (Acta Apostolorum. Homilia, XXXIII).

 

Con il trascorrere del tempo la divaricazione tra la dottrina ufficiale e la prassi reale seguita dalla massa laica si accentuò, e gradualmente il consumo di sangue nell’alimentazione divenne consueto, accettato e giustificato. Come suaccennato, all’inizio del V secolo, scrivendo a proposito della ratio della proibizione apostolica del sangue (Atti 15), Agostino d’Ippona argomentò a favore della sua desuetudine e obsolescenza (Contra Faustum Manichaeum, XXXII, 13; Epistula, LXXXII, 2, 9).

 

Il divieto del sangue, tuttavia, rimase in vigore nella cristianità ancora per lungo tempo. Il Concilio di Gangra (340 d.C.), introdusse una “condanna con anatema” a “coloro che proibi[vano] di mangiare la carne anche quando ven[ivano] rispettate le direttive impartite dal concilio apostolico di Gerusalemme” (can. 2). Qualche decennio dopo, un “canone apostolico” incluso tra le Constitutiones Apostolorum stabilì che “se qualche vescovo, presbitero o diacono, o in effetti chiunque della lista sacerdotale, [avesse] mangia[to] carne con il sangue della sua vita, o ciò che è strappato dalle bestie o che è morto da solo, [sarebbe stato] degradato; poiché questo è vietato dalla legge stessa” (can. 63).

 

Le Novellae Constitutiones dell’imperatore Leone Augusto (floruit 457-474) stabilirono delle sanzioni penali per i trasgressori della proibizione cristiana del sangue: “La prescrizione fatta da Dio a Mosè di non cibarsi di sangue fu ripetuta dagli Apostoli. […] Quegli che facesse un cibo del sangue, sia comperandolo, sia vendendolo, sarà assoggettato alla confisca dei beni, alle percosse, a essere raso fino alla cute e perpetuamente esiliato dalla patria” (cost. 58).

 

Nella prima età medievale, l’attualità del divieto del sangue venne sostenuta sia al Concilio Aureliano II di Orlèans del 533 (cann. 19-20) che durante il Concilio Trullano del 692: “La divina Scrittura ci comanda di astenerci dal sangue, dalle cose strangolate e dall’immoralità sessuale. Noi, quindi, puniamo adeguatamente quelli che, con il pretesto di uno stomaco delicato, preparano in qualsivoglia maniera il sangue di qualsiasi animale come cibo e lo mangiano. Se da ora in poi qualcuno s’avventura a mangiare in alcun modo il sangue di un animale, se è un ecclesiastico, sia deposto; se è laico, sia scomunicato” (can. 67).

 

Tra parentesi, in questo stesso periodo Maometto incorporò il tabù del sangue tra le norme dell’Islam. Esprimendosi in modo del tutto simile alla Bibbia, il Profeta sentenziò: “Dio vi ha proibito gli animali morti da sé, il sangue, la carne del maiale e ogni altro animale su cui sia stato invocato altro nome che quello di Dio” (Corano, II, 168; vedi anche V, 4; VI, 146; XVI, 116).

 

Alla fine del secolo VIII, papa Adriano I redarguì i vescovi spagnoli perché “alcuni di [loro] insegna[va]no che chi non mangia sangue di bestiame o porco, o animali soffocati, è rustico o ignorante”. Il pontefice puntualizzò piccatamente: “Noi, al contrario insegniamo che se qualcuno sorbisce sangue di bestiame o di porco, o animali soffocati, non solo è estraneo a ogni sapere ma è fuori dell’intelligenza comune, incatenato dal legame della scomunica, e in procinto di cadere nella rete del demonio” (Lettera ai vescovi spagnoli, PL 98, 373-386).

 

Nei libri penitenziali (VII-XI secolo), fonti normative cattoliche d’ambiente monastico europeo, “il sangue è elemento ricorrente nei divieti e ragione di molti di essi” (Muzzarelli). L’indicazione frequente è quella di non mangiare la carne di animali non scannati a motivo della presenza del sangue. “Nel caso di […] uccelli o altri animali strangolatisi in una rete, non è lecito mangiarli o consumarli perché così è comandato negli Atti degli Apostoli: Astenetevi da ciò che è strangolato e dal sangue e dalle cose immolate agli idoli” (Poenitentiale Valicellanum, I, 97; vedi anche Capitula Dacheriana, c. 168, Canones Gregorii, c. 143, Poenitentiale Theodori, I, XI, 2, Confessionale Pseudo-Ecgberti, c. 38, Poenitentiale Merseburgense, c. 119, Poenitentiale Cummeani, I, 21). Il richiamo agli Atti degli Apostoli (15, 20.29) intende invocare il supporto di una legittima auctoritas per dissuadere i recalcitranti.

 

Nel 1053 il patriarca greco Michele Cerulario rimbrottò un vescovo latino per il mancato rispetto del divieto del sangue tra cristiani della sua diocesi con queste parole: “Voi siete a metà pagani, poiché mangiate animali soffocati, nei quali si trova ancora il sangue. Non sapete che l’anima è nel sangue, e per conseguenza chi mangia il sangue di un’animale mangia anche la sua anima?” (Lettera al vescovo di Trani).

 

Dobbiamo arrivare al 1442 per riscontrare un radicale cambiamento ufficiale della posizione cattolica. “[La chiesa] afferma che la differenza tra cibi puri e impuri della legge mosaica deve considerarsi cerimoniale e che col sopravvenire del Vangelo è passata e ha perso efficacia. Anche la proibizione degli apostoli delle cose immolate ai simulacri, del sangue e delle carni soffocate era adatta al tempo in cui dai giudei e gentili, che prima vivevano praticando diversi riti e secondo diversi costumi, sorgeva una sola chiesa […] Ma quando la religione cristiana si fu talmente affermata da non esservi più in essa alcun Giudeo carnale […] venne meno la causa di quella proibizione, e perciò anche l’effetto. Essa dichiara, quindi, che nessun genere di cibo in uso tra gli uomini deve essere condannato, e che nessuno, uomo o donna, deve far differenza di animali, qualunque sia il genere di morte che abbiano incontrato, quantunque per riguardo alla salute del corpo, per l’esercizio della virtù, per la disciplina regolare ed ecclesiastica, molte cose, anche se permesse, possano e debbano non mangiarsi” (Concilio di Firenze, sessione XI).

 

Ciononostante in età moderna molti ecclesiastici e uomini di cultura rimarcarono nei loro scritti la consapevolezza della presenza nella Bibbia di una proibizione cogente riguardante il sangue. Il cardinal Baronio (XVI secolo) riconobbe che “il precetto di astenersi dalla carne con il sangue, che Giacomo aggiunse, fu imposto da Dio non solamente ai Giudei ma a tutte le genti subito dopo l’uscita di Noè dall’arca”.

 

Nel 1781 il gesuita Alfonso Niccolai sintetizzò così la storia del tabù del sangue nel cristianesimo: “Dalle quali parole manifesto appare, che nella più parte delle Chiese latine e occidentali l’astinenza dal sangue non osservavasi più all’età d’Agostino. Contuttociò i Greci e le Chiese orientali o per l’inveterata consuetudine, o per riverenza dell’apostolica autorità furono più tenaci di tale osservanza: in favor della quale vi sono canoni del Concilj de’ primi sette o otto secoli, e la tradizione insino all’undecimo. Tertulliano, Atenagora, Minuzio Felice, S. Giustino, e S. Biblida, che patì il martirio l’anno di Cristo 179. per difendere i Cristiani dalla falsa accusa data lor da’ pagani, che scannassero i bambini, e ne bevessero il sangue, rispondevano esser tanto lontani da questo delitto i Cristiani, che neppur lecito si facevano di gustare il sangue de’ bruti. I canoni degli antichi Concilj posson vedersi nella Dissertazione di Natale Alessandro sopra questa materia. A troppo s’impegna il Macri pretendendo, che i Greci abbiano intrusi que’ canoni ne’ detti Concilj, ed anche la parola suffocato negli Atti apostolici. Bastar dovrebbe l’autorità di Girolamo, il quale apertamente attesta, che al suo tempo da tutte le Chiese orientali e anche dalla Romana santamente era osservato il costume d’astenersi dal sangue e dal soffocato. Mossi da queste autorità alcuni moderni, e tragli altri il Grozio, il Salmasio, Gherardo Vossio, e lo Stackhouse han creduto, che la legge di tale astinenza abbia tuttora il suo vigore, e obblighi tutti i Cristiani”.

 

Nel contesto storico della prima sperimentazione delle trasfusioni di sangue umano, l’anatomista Thomas Bartholin nel 1676 dichiarò: “Coloro che sostengono si debba usare sangue umano come rimedio interno per le malattie evidentemente ne abusano e peccano in modo grave. I cannibali sono condannati. Non aborriamo forse coloro che bevono sangue umano? […] È una cosa simile ricevere, o per bocca o con strumenti atti a trasfonderlo, sangue altrui da una vena incisa. Chi compie questa operazione vive nel terrore della legge divina, secondo la quale è proibito mangiare sangue” (De sanguinis abusu disputatio, parr. 4-5).

 

L’indagine qui abbozzata consente di spiegare sufficientemente perché il sangue – l’organo liquido che sorregge la vita animale e umana – continua a generare una riverenza speciale tra le genti della Christianitas e nel mondo semitico. In sintesi, nelle religioni monoteiste – ebraismo, cristianesimo, islamismo – “il sangue è qualcosa di sacro; appartiene a Dio” e, secondo il dettato biblico, dovrebbe essere “assolutamente vietato che l’uomo se ne serva di cibo oppure in qualsiasi altra maniera” (Penna).

 

La nostra cultura è così intimamente plasmata dalle Sacre Scritture che l’influsso del tabù del sangue sulle scelte alimentari, pratiche cultuali e mediche di milioni di persone non dovrebbe meravigliarci.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Alberigo Giuseppe (a cura di), Decisioni dei concili ecumenici, UTET, Torino 1978.

Bonelli Luigi (a cura di), Il Corano, Editore Ulderico Hoepli, Milano 1990.

Camporesi Piero, Il sugo della vita. Simbolismo e magia del sangue, Garzanti Editore, Milano 1997.

Cesare Baronio, “Annales ecclesiastici a Christo nato ad annum 1198’, ‘Petri annus 7. – Christi 51.’” (§§ 13, 15), in Annales Ecclesiastici, a cura di A. Theiner, Barri-Ducis & Ludovicus Guerin Editor, Parigi 1864, tomo I.

Cosmacini Giorgio, La religiosità nella medicina. Dall’antichità a oggi, Editori Laterza, Roma-Bari 2007.

Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, a cura di L. Moraldi, UTET, Torino 1998.

Minucio Felice, Ottavio, Oscar Mondadori, Milano 1992.

Montanari Massimo, Mangiare da cristiani. Diete, digiuni, banchetti. Storie di una cultura, Rizzoli, Milano 2016.

Muzzarelli Maria Giuseppina, “Norme di comportamento alimentare nei libri penitenziali”, in Quaderni Medievali, n. 13, giugno 1982, pp. 45-80, Edizioni Dedalo, Bari 1982.

Newton Isaac, La cronologia degli antichi regni emendata, trad. di P. Rolli, Venezia 1757.

Niccolai Alfonso, Dissertazioni e lezioni di sacra scrittura, “Libro della Genesi”, tomo IV, lezione VIII, Venezia 1781.

Libro dei Giubilei, in Apocrifi dell’Antico Testamento, a cura di P. Sacchi, UTET, Torino 1981, pp. 179-412.

Penna Angelo, “Il sangue nell’Antico Testamento”, in Sangue e Antropologia Biblica, a cura di F. Vattioni, Edizioni Pia Unione Preziosissimo Sangue, Roma 1981, vol. II, pp. 379-402.

 “Sanhedrin”, in The William Davidson Talmud (www.sefaria.org/Sanhedrin.56b.1)

Tertulliano, Apologia del cristianesimo, a cura di L. Rusca, BUR, Milano 1984.

Thomas Bartholin, De sanguinis abusu disputatio, in Christiani Theohili, De Sanguine Vetito Disquisitio uberioe pro Th. Bartholino, Francoforte 1676.

Wasserschleben Hermann, Die Bussordnungen der abendländischen Kirche, Verlag von Ch. Graeger, Halle 1851.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]