[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

178 / OTTOBRE 2022 (CCIX)


attualità

SUL GASDOTTO NORD STREAM

QUAL FUTURO ENERGETICO PER L'EUROPA?

di Gian Marco Boellisi

 
Il dibattito sulla sicurezza energetica europea e sul prezzo che deve essere pagato per ottenerla è ormai cosa di tutti i giorni. Infatti dallo scoppio della guerra in Ucraina l’Europa e i suoi stati membri hanno visto messe in forse le proprie politiche energetiche e le proprie classiche fonti di approvigionamento, cercando così delle rotte alternative di fornitura.

Tuttavia i gasdotti che per anni hanno letteralmente scaldato il Vecchio Continente rimangono ancora in piedi e, sanzioni permettendo, sono ancora in grado di portare gas ai suoi clienti europei. O almeno questo era vero prima della fine di qualche settimana fa. Infatti tra il 26 e il 27 settembre 2022 alcune eplosioni ad alto potenziale hanno danneggiato forse in maniera irreparabile il gasdotto Nord Stream, arteria principale di fornitura di gas combustibile dalla Russia alla Germania.

Premettendo che i responsabili di questa azione non sono ancora stati individuati (e difficilmente verranno mai identificati), le conseguenze economiche e soprattutto politiche del danneggiamento non si sono fatte attendere. È quindi importante capire l’importanza che ricoprono queste vie di rifornimento tuttoggi esistenti e quali conseguenze avranno in futuro attacchi similari alle infrastrutture internazionali di approvvigionamento.

Il Nord Stream è uno tra i gasdotti più importanti, se non il più importante, tra quelli che trasportano gas combustile verso il Vecchio Continente. Nello specifico esso è composto da due linee, ognuna con una capacità di 27,5 miliardi di metri cubi, per un totale di 55 miliardi di metri cubi annui di gas. La sua lunghezza è di circa 1.220 km, partendo da Vyborg in Russia per giungere a Greifswald in Germania. Una volta arrivato qui esso si collega alla rete di distribuzione tedesca e quindi poi a quella europea.

Dei centinaia di km sopramenzionati solo pochi sono sulla terraferma, mentre la maggior parte si trovano sotto il mare, specialmente nel Mar Baltico. Qui il percorso della pipeline evita di proposito acque territoriali e ZEE (zona economica esclusiva) di Polonia, Lettonia, Lituania ed Estonia, stati che storicamente non sono molto vicini a Mosca. Nel corso degli anni il Nord Stream è stato oggetto di molte critiche sia da parte degli Stati Uniti sia da parte di vari esponenti politici europei. In particolare Washington affermava che l’importanza della fornitura di gas del Nord Stream rendeva de facto l’Europa dipendente dal gas russo, con tutto ciò che ne consegue a livello politico. Su questo punto tuttavia torneremo più avanti.

Quanto descritto sopra può far comprendere quindi la sorpresa generale all’indomani del 27 settembre 2022 quando tutte le testate internazionali hanno riportato i fatti avvenuti nel Mar Baltico. Da quanto si sa finora, tra il 26 e il 27 settembre, tre esplosioni di notevole entità sono state riportate a 80 m di profondità a largo dell’isola danese di Bornholm, proprio in corrispondenza del gasdotto Nord Stream. Per svariati giorni dopo l’attentato, perché di questo si è trattato, si è osservata un’enorme massa di gas fuoriuscire dalle profondità del mare, contaminando l’intera area con un’enorme bolla di metano.

I segni del sabotaggio sono stati scoperti il 27 settembre, quando gli strumenti hanno rilevato una repentina perdita di pressione lungo un particolare tratto della linea. A seguito di una prima analisi le falle registrate sono almeno quattro, causate da una detonazione che ha avuto un grado di magnitudine di 2,3 registrate da molte stazioni di monitoraggio a sud della Svezia.

Il gasdotto non era in funzione al momento delle esplosioni, tuttavia conteneva comunque grandi quantitativi di gas. Il Nord Stream era infatti chiuso per lavori di manutenzione da agosto del 2022 (si ricorderà il tira e molla sulla turbina inviata in Canada). Il fermo tuttavia si era tramutato in settembre in uno stop a tempo indeterminato delle forniture, causato a detta di Gazprom da “una perdita d’olio presso l’unica turbina in funzione presso la stazione di compressione di Portovaya”. Molti hanno visto questa comunicazione come una chiusura ufficiosa delle forniture di gas russo all’Europa in risposta alle sanzioni occidentali. La cosa comunque non è durata a lungo.

Subito dopo le esplosioni, il governo danese e quello svedese hanno chiaramente parlato di sabotaggio e di esplosioni generate da azioni umane, non da un incidente di funzionamento. Come era ovvio aspettarsi, uno scambio di accuse incrociate poteva essere l’unico risultato attendibile da un evento similare. Ucraina, Lituania e Polonia hanno accusato subito in blocco il Cremlino, colpevole a loro detta di voler ricattare ulteriormente l’Europa con l’assenza del proprio gas ora che si sta arrivando all’inverno. A queste affermazioni hanno fatto seguito gran parte dei paesi occidentali, i quali se non completamente d’accordo con questa versione quanto meno hanno aumentato ancora di più il grado di sospetto nei confronti di Mosca e hanno dichiarato di essere all’erta e di monitorare la situazione con attenzione. Dall’altro canto la Russia ha accusato i governi occidentali del vile attacco, chiedendo un intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e cercando di dimostrare come la volontà di un’escalation sia per lo più da parte occidentale e non russa.

Al netto di tutte queste parole vi è solo un enorme velo di ipocrisia che ricopre entrambe le versioni, tuttavia è interessante cercare di rispondere alla famosa domanda cui prodest per verificare quale parte potrebbe averci guadagnato maggiormente dalla distruzione di una simile risorsa energetica. Prima le cose ovvie.

Da un punto di vista meramente economico, ha molto poco senso che Mosca si sia distrutta da sola il proprio gasdotto. Infatti le fonti di introiti derivanti dai propri carburanti fossili sono ormai molto più limitate rispetto a un anno fa, quindi se Mosca vuol cercare di rientrare economicamente deve cercare di incassare ogni dollaro possibile dai propri partner internazionali, i quali ancora per svariato tempo avranno bisogno del gas russo. Sebbene il gasdotto fosse chiuso, esso comunque ha rappresentato fino a poco tempo fa e avrebbe ancora rappresentato in futuro un importante fonte di guadagno per lo stato russo, il quale ha un disperato bisogno di denaro per continuare quell’enorme insensatezza che è la guerra in Ucraina.

Molti analisti, all’indomani dell’attentato, hanno ricondiviso in massa delle vecchie affermazioni di Biden, il quale prima dell’inizio del conflitto avvisava Mosca di non attaccare l’Ucraina, altrimenti avrebbe visto il gasdotto Nord Stream distrutto. Per quanto queste affermazioni non provino di fatto nulla, fa sicuramente riflettere la casualità temporale dell’avvenimento. Ed è anche innegabile che, da quando è scoppiato il conflitto, i produttori di Gas Naturale Liquefatto statunitensi hanno visto crescere in maniera vertiginosa i propri profitti verso l’Europa.

È importante anche ricordare che gli Stati Uniti sono stati da sempre critici nei confronti della sistemica dipendenza da parte dell’Europa, e in particolare della Germania, nei confronti del gas russo. Il timore che ha turbato i sonni degli analisti americani per anni è stato che, in caso di crisi politica con la Russia, gli stati europei si sarebbero trovati di fronte all’incapacità di mantenere i propri patti con la N.A.T.O. e in generale con gli Stati Uniti proprio perché dipendenti sistemicamente da Mosca. Cosa che si è parzialmente verificata a seguito della guerra in Ucraina, anche se in maniera meno drastica rispetto a quanto inizialmente prospettato.

Poche ore dopo l’annuncio dell’esplosione si è tenuta in Polonia l’inaugurazione del Baltic Pipe, un nuovo gasdotto che trasporterà in futuro il gas dalla Norvegia alla Polonia attraverso la Danimarca, bypassando quindi in toto le forniture russe. Ovviamente neanche questo vuol dire nulla nei confronti dell’attentato al Nord Stream, tuttavia l’avvio di questa nuova infrastruttura avrà sicuramente un’influenza negli anni a venire verso l’equilibrio energetico del Vecchio Continente, e in particolare per i paesi dell’Est Europa. Paesi questi che hanno sempre sentito più di tutti il timore di un’invasione russa o comunque di azioni provocatorie del Cremlino nei loro confronti, e che oggi rappresentano quelli che sono considerati i “falchi” nelle politiche sanzionatorie europee verso Mosca.

Da un punto di vista meramente tecnico, le tubazioni del Nord Stream si trovano a una profondità tra gli 80 e i 110 m sotto il livello del mare. Per effettuare il sabotaggio saranno stati necessari dei piccoli veicoli sommergibili, a pilotaggio remoto o comandati direttamente dall’uomo, disponibili al giorno d’oggi praticamente presso tutti i governi occidentali. Anche l’ipotesi di una piccola squadra di personale specializzato che abbia piazzato le cariche direttamente a quella profondità non è da escludere. Ciò ci fa comprendere quanto l’esecutore di questo sabotaggio possa essere stato chiunque all’interno del concerto degli Stati coinvolto nelle vicende europee o in generale dalla guerra in Ucraina.

Oltre alle prevedibili conseguenze politiche, le ripercussioni economiche di un simile attentato non si sono fatte attendere. Il prezzo del gas è subito volato alle stelle, mentre le borse sentendo una nuova ventata di crisi sono subito crollate. Il colpo è stato anche peggiore del previsto poiché, secondo quanto riporta Tagesspiegel, fonti del governo tedesco ritengono che l’azione dell’esplosione combinata all’azione corrosiva dell’acqua salata abbia danneggiato in maniera irreparabile le tubazioni del gasdotto.

Sebbene l’entità dei danni sia ancora da verificare, non è escluso che le riparazioni, se possibili, potrebbero impiegare anni per essere effettuate. Il maggiore stress economico è stato generato dalla crisi già in atto, ma ora accentuata della ridistribuzione sul mercato interno europeo delle forniture di gas russo che transitavano attraverso la Germania. Ciò infatti porterà molte aziende ad affrontare scenari ancora più incerti dal punto di vista energetico, aggravando le stime di recessione in primis per la Germania ma anche per svariati altri paesi europei.

Alcune previsioni degli economisti del Meccanismo Europeo di Stabilità hanno affermato che per la Germania senza gas russo la recessione raggiungerà un livello intorno al 2,5%, con un effetto contagio sugli altri paesi, Italia in primis. Sebbene questo possa essere il momento perfetto per il Baltic Pipeline appena inaugurato, esso sicuramente non riuscirebbe mai da solo a compensare le mancate importazioni russe, portando potenzialmente a un effetto domino in borsa e poi anche nell’economia reale di difficile stima.

Ciò ci può far capire come mentre ci siano dei ragionevoli dubbi sui responsabili o su chi potrebbe aver maggiori vantaggi a seguito di questo sabotaggio, la principale vittima di questa manovra non è altri che la Germania. Che sia per indebolire l’economia più forte d’Europa o per farla rientrare nei propri ranghi e renderla meno indipendente, si prospettano dei mesi molto difficili per il governo di Olaf Scholz, il quale ha già vacillato numerose volte nell’arco di tutta la crisi d’Ucraina.

In conclusione, il sabotaggio al gasdotto Nord Stream è stato un episodio gravissimo che alimenterà nei mesi a venire le tensioni tra la Russia e l’Europa. Certo è che questo atto deliberato ha rappresentato un precedente storico, dove si ammette l’utilizzo di tecniche di sabotaggio anche per grandi opere infrastrutturali a carattere internazionale. E qui non si parla di un ponte o di una raffineria, ma di una gasdotto che porta in ultima istanza al riscaldamento e alla produzione dell’energia elettrica di buona parte del continente europeo.

Che questo sia un episodio isolato o l’apertura del Vaso di Pandora, ancora non ci è dato saperlo. Tuttavia la situazione di stallo energetico in cui l’Europa imperversa è da imputare meramente all’Europa stessa. Infatti se in tempi non sospetti si fosse deciso di comune accordo di differenziare le proprie fonti di approvigionamento, a costo di un maggiore investimento iniziale, ovviamente, forse la situazione oggi sarebbe diversa.

Tuttavia numerosi sono stati gli elementi mancanti, assenti purtroppo ancora tuttoggi, che non hanno portato a simili decisioni lungimiranti: politiche comuni energetiche, differenziazione dei partner energetici, indipendenza decisionale nei confronti dei partner esteri. Quando verrà compreso che il miglior prezzo da pagare non è quello più basso ma quello che garantisce maggiore autonomia strategica, decisionale, economica e soprattutto politica, forse allora si potrà parlare veramente di un’unica e unita Europa.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]