[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

177 / SETTEMBRE 2022 (CCVIII)


contemporanea

SULLA RUSSOFOBIA
STORIA DI UN TIMORE OGGI NUOVAMENTE DIFFUSO
di Francesco Biscardi


A causa del conflitto scoppiato in Ucraina nel febbraio 2022, triste epilogo di una crisi iniziata nel 2014, ma le cui cause affondano le radici in una complessa sequela di eventi susseguitisi al crollo dell’URSS, la cultura europea sembra essere ripiombata in un timore dalla lunga storia che possiamo riassumere come “russofobia”, oggi sostanzialmente coincidente con una sorta di “Putinofobia”. Se questa seconda paura per l’attuale Presidente della Federazione russa è relativa al tempo e alle vicende geopolitiche presenti, non così il sentimento commisto di ostilità e di apprensione per il colosso orientale.

Esso ha la sua origine in una determinata circostanza storica: la campagna napoleonica in Russia del 1812. In quel frangente Napoleone, per cercare di canalizzare il consenso nazionale nei suoi confronti, si premurò di anteporre all’inizio delle operazioni militari la circolazione di un vecchio documento, il cosiddetto Testamento di Pietro il Grande, un raccontino in cui venivano messi alla luce i presunti piani del celebre zar, scomparso nel 1725, di conquistare tutto il Vecchio Continente marciando dal Bassopiano Orientale fino alle coste ispano-lusitane. Nell’opera si denunciava altresì il pericolo rappresentato da questo paese sconfinato, asiatico e “barbaro”, il più assolutista fra quelli rimasti in Europa.

All’epoca di Napoleone non si sapeva ancora che il Testamento fosse in realtà un falso (probabilmente il più significativo falso storico dopo la Donazione di Costantino e i Protocolli dei Savi di Sion), redatto negli anni di Luigi XV, la cui inautenticità sarà provata solo nel 1879, ma tanto bastò per fomentare centinaia di migliaia di sudditi e militi della Grande Armée a considerare la guerra come necessaria.

La sconfitta francese, il ruolo da protagonista svolto dalla Russia nel corso della Restaurazione, l’adesione alla Santa Alleanza e la ferma posizione tenuta contro i moti rivoluzionari ottocenteschi (fatta eccezione per quello dell’indipendenza greca dall’Impero Ottomano, fortemente sostenuto proprio dallo zar), comportarono un’attenuazione delle diffuse diffidenze.

La principale potenza che non vedeva di buon occhio i russi era la Gran Bretagna, di cui ne paventava il dispotismo e la natura “asiatica”. Non è un caso che nel 1815 fu tradotto in inglese il Testamento e che due anni dopo il periodico “Morning Chronicle” pubblicò un articolo in cui veniva denunciata una segreta, quanto fantasiosa, trattativa fra Russia e Spagna, in cui la prima riceveva il beneplacito madrileno nelle sue aspirazioni a uno sbocco sul Mediterraneo, mentre la seconda supporto in Sudafrica, dove Londra aveva già avviato la sua penetrazione.

Fu il successivo scoppio della Guerra di Crimea fra 1853 e 1854 a far emergere nuovamente un diffuso sentimento di ostilità antirusso. La vittoria zarista a Sinope contro i turchi spinse Inghilterra e Francia, con un modesto sostegno sabaudo, a schierarsi a favore dell’Impero Ottomano, storico nemico delle potenze cristiane europee, ma ormai in totale declino.

Il conflitto comportò un rinfocolamento delle accuse alla Russia di oppressione, dispotismo e minaccia alla libertà dei popoli europei. La sua sconfitta fu salutata come la vittoria del mondo liberale, riuscito a tenere il nemico lontano dal Mare Nostrum, ricacciandolo nella sua barbarie asiatica, dove frattanto prendeva corpo fra quest’ultima e la Gran Bretagna quello che è stato definito Great Game: un “gioco” volto all’accaparramento del maggior numero possibile di terre nell’area compresa fra il Medio Oriente e il centro dell’Asia. Una contesa che non sfociò in una vera e propria guerra generale fra le due potenze, ma che contribuì a esacerbare odi e rivalità.

Nel contempo la formazione del Reich tedesco si veniva a costituire come il principale fattore destabilizzante degli equilibri usciti dal Congresso di Vienna: al vecchio “concerto” europeo dominato da Francia, Russia e Austria-Ungheria si venne ad affermare un equilibrio che aveva come centro Berlino. Il Grande Cancelliere Bismarck fece dell’isolamento della Francia, sconfitta nel 1870-1871 e amputata dell’Alsazia e della Lorena, il perno della sua politica estera. Allo scopo guardò alla Russia e, nel 1873, stipulò con questa e il sovrano asburgico la “Lega dei tre imperatori”, una sorta di intesa contro socialismo e anarchismo.

Se da un lato in questo frangente la Russia trovò un prezioso “amico” a ovest, dall’altro riprese le ostilità con gli ottomani: essendo scoppiata l’ennesima rivolta in Bosnia ed Erzegovina e volendo approfittare dell’inarrestabile declino turco, nel 1876, lo zar, innalzandosi a protettore dei popoli slavi, dichiarò guerra al sultano e lo sconfisse.

Di nuovo entrò in scena con la sua flotta l’Inghilterra intenzionata ad arrestare l’avanzata russa nel Mediterraneo. Si giunse al Trattato di Santo Stefano (1878) con cui i turchi furono costretti ad accettare la creazione di una grande Bulgaria filorussa, ma era un diktat che non poteva essere avallato dalle potenze occidentali. Bismarck offrì la sua mediazione e il successivo Congresso di Berlino dette una nuova sistemazione ai Balcani destinata sostanzialmente a durare fino al 1912-1913.

La Russia fu nell’occasione umiliata nelle sue aspirazioni e si trovò a essere politicamente sempre più isolata in Europa, mentre perdurava la sua rivalità con l’Inghilterra in Asia. Fu la caduta di Bismarck nel 1890 a rimettere sul tavolo la questione delle alleanze, giacché il suo successore, Leo von Caprivi, commise l’errore di non rinnovare l’intesa con lo zar. Si verificò ciò che il suo predecessore aveva scongiurato, ossia l’avvicinamento fra Russia e Francia, potenza che aveva tutto l’interesse a trovare un alleato a est allo scopo di accerchiare l’impero tedesco.

Russia che nel 1905 fu vinta dal Giappone in una guerra che aveva come principale contesa la Manciuria. La sua sconfitta ebbe un forte impatto simbolico: per la prima volta nell’epoca moderna una potenza “asiatica” sconfiggeva una “europea”, mostrando come il gigante russo non fosse dopotutto così temibile e pericoloso. L’esito indusse il governo londinese, che pure aveva appoggiato i nipponici, ad abbandonare l’antica inimicizia con Russia e Francia allo scopo di dare vita a una coalizione contro la Germania, i cui progressi economici e industriali rischiavano di mettere in discussione il primato planetario inglese. Questa alleanza, l’Intesa, fu realizzata fra 1904 e 1907, una volta appianate le non poche contese imperialiste.

Da allora fino alla Prima Guerra Mondiale si ebbe un’attenuazione della russofobia: pur senza rinnegare i mai sopiti timori, la Guerra di Crimea venne obliata e si cominciò a ritenere possibile un cambiamento nelle ferree istituzioni di questo paese, cui veniva offerta la grande occasione di emendarsi dalle sue passate colpe, ammodernarsi e avviarsi su quel cammino di occidentalizzazione che era già stato vagheggiato da Pietro il Grande. Ovviamente non così nelle terre nemiche, Austria e Germania, dove la Russia continuava a essere descritta come un terribile avversario illiberale bramoso di guerra. Ma questo non deve sorprendere: è tipico della propaganda politica, di ieri come di oggi, addossare colpe e accuse verso gli altri quando questi sono schierati nella fazione opposta o non sono in linea con la propria ideologia dominante, salvo poi mutare all’occorrenza.

La rivolta anti zarista e la Rivoluzione d’ottobre portarono nel 1922 alla proclamazione di una nuova realtà geopolitica: l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Fu allora che su Mosca si concentrarono le attenzioni del mondo intero: per quello di sinistra essa rappresentava la vittoria del socialismo, il segno che la rivoluzione poteva essere compiuta e che il capitalismo era entrato nella sua ultima morente fase, mentre per quelle avversarie la presa del potere dei bolscevichi, i “vampiri comunisti”, era l’incarnazione del male supremo.

Se i primi furono portati a gioire per le “mirabili conquiste socialiste” propagandate da Stalin, ignari spesso di quanto stava accadendo in termini di vite umane, internamenti, gulag e repressioni, le potenze occidentali tentarono di avversare da subito l’Urss appoggiando i Bianchi durante la guerra civile e isolando l’Unione sovietica il più possibile.

Tornò in auge la figura mitica del cosacco selvaggio e sanguinario, nemico della proprietà privata, pronto a requisire ricchezze, terre, finanche donne e bambini. Nemmeno l’ascesa al potere di Hitler inizialmente mutò più di tanto l’ostilità verso i russi che, soprattutto per gli inglesi, apparivano più pericolosi dei nazisti. Diverso il discorso per i francesi, i quali, secondo l’antica consuetudine, avevano tutto da guadagnare da un’intesa atta ad accerchiare la Germania (nel 1935 fu stipulato un trattato di mutua assistenza).

La politica di appeasement del premier Chamberlain, la neutralità nella guerra civile spagnola e l’accondiscendenza mostrata verso il führer preoccuparono Stalin al punto da fargli immaginare un Occidente eventualmente disposto ad avallare un attacco tedesco al suo paese. Si sganciò così dall’intesa con la Francia e si alleò con Berlino (patto Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939).

La rottura della collaborazione e l’hitleriana Operazione Barbarossa collocarono l’Urss a fianco di Gran Bretagna e Stati Uniti. A guerra vinta i russi, che avevano pagato un prezzo altissimo in termini di distruzioni materiali e perdite di vite umane, pretendevano la punizione degli aggressori, adeguate riparazioni e garanzie territoriali contro ogni possibile attacco da ovest (come accaduto con Napoleone e i tedeschi nei due conflitti mondiali), mentre gli americani puntavano a una ricostruzione nel segno dell’economia di mercato e della libertà negli scambi internazionali.

I progetti di Churchill, Stalin e Roosevelt erano tesi a creare un nuovo ordine in cui, ferma restando l’egemonia di Washinton, Mosca sarebbe stata adeguata deuteragonista.

Tuttavia nel 1945 Roosevelt morì e con lui tramontò questo disegno di collaborazione fra Est e Ovest. Non sono mancate e non mancano ancora oggi le accuse fra russi e americani su chi sia stato il principale responsabile della divisione dell’Europa prima e del mondo poi in due blocchi contrapposti: per i russi le colpe vanno ricercate nella scellerata politica di aggressività e “contenimento” portata avanti dagli Stati Uniti, che sventolarono la minaccia della bomba atomica (almeno fino al 1949 quando i sovietici sperimentarono con successo la loro) per precludere ogni possibile apertura alle richieste di Mosca, riducendo in propria sudditanza le economie europee con il Piano Marshall; per gli statunitensi si trattava di porre un argine al dilagare del comunismo, dell’economia pianificata e dell’oppressione nel mondo occidentale uscito devastato dal conflitto.

La Russia tornò così a essere vista come l’incarnazione del dispotismo e fino alla fine degli anni Ottanta l’Occidente rimase ermeticamente chiuso a qualsiasi attenuazione, salvo alcune eccezioni, come, ad esempio, nella Francia della Quarta Repubblica, quando De Gaulle cercò di svincolare il suo paese dai rapporti troppo stretti con gli Usa (nel 1966 ritirò persino le sue truppe dalla NATO) e si fece portavoce della necessità di aprire delle brecce nella Cortina di ferro.

La fine della Guerra Fredda poteva inaugurare una nuova era di distensione, ma, come accaduto alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’idea di condominio pacifico delle due potenze si ruppe: l’Urss crollò e importanti profferte furono disattese (come la promessa di non spostare a est di Berlino le frontiere della NATO).

Nel groviglio caotico dei vari avvenimenti geopolitici che si sono avvicendati una cosa è certa: quando la Russia risulta utile, come accaduto contro i tedeschi, allora viene ritenuta “compatibile” con l’Occidente, mentre quando essa appare sgradevole o nemica, come durante la Guerra di Crimea o oggi, allora essa incarna dispotismo e barbarie.


Riferimenti bibliografici:

C. Aydin, Il lungo Ottocento. Una storia politica internazionale, Einaudi, Torino 2019.
AA.VV., Ucraina 2022. La storia in pericolo, a cura di F. Cardini F., F. Mini, m. Montesano, La Vela, Lucca 2022.
R. Bartlett, Storia della Russia. Dalle origini agli anni di Putin, Oscar Mondadori, Milano 2014.
M. Ferretti, La memoria spezzata. La Russia e la guerra, in "Italia Contemporanea", CCXLV, dicembre 2006, pp. 525-565.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]