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> Storia e ambiente

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N. 9 - Febbraio 2006

IL RUOLO DELLA FORESTA NELLA STORIA

L’Europa e la Russia

di Aldo Marturano

 

Da qualche decennio esiste da noi una richiesta socio-politica sempre più generalizzata di alberi, di verde, di parchi.

 

Ovunque si possa, piani regolatori permettendo, nelle grandi città europee si creano giardini e nell’hinterland si delimitano aree di conservazione naturale con preferenza per le piante e gli alberi d’alto fusto (gli animali di una volta come leoni, linci o altre belve europee, sono invece ormai relegati negli zoo). Non solo. Persino in casa si creano piccoli angoli con piante ornamentali di tutti i tipi e importate da tutto il mondo.

 

Eppure nei secoli passati, negli anni del Medioevo, grandissima parte del nostro continente era coperto di foresta. Come mai oggi si è talmente ridotta?

 

Prima di rispondere a questa domanda in “modo storico”, rileggiamoci il nostro sommo poeta Dante e la sua Divina Commedia, per apprendere che ai suoi tempi, il XIII sec., la foresta c’era ancora qui in Italia dove quasi ogni estate i boschi diminuiscono di estensione poiché ne vanno a fuoco ettari ed ettari dolosamente.

Il primo Cantico, quello dell’Inferno, comincia infatti così (in caso l’aveste dimenticato.):

 

“Nel mezzo del cammin di nostra vita

“Mi ritrovai per una selva oscura

“Ché la diritta via era smarrita.

“Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

“Esta selva selvaggia ed aspra e forte

“Che nel pensier rinova la paura…”

 

E’ un uomo colto del Medioevo che parla, eppure notiamo subito che esprime delle sensazioni che la foresta suscita ancora oggi a chi l’attraversa o soltanto la guarda stando al di fuori, ma immaginando che cosa essa nasconde al suo fitto interno.

 

Dante è un uomo della città e la campagna appariva ancora come un mondo a sé, diverso e particolare, e, con la campagna, anche la foresta circostante restava aliena a chi viveva nelle città del Rinascimento.

 

Spavento, mistero, strano buio che mettono a disagio chiunque, all’imbrunire. La foresta appare come un mondo minaccioso, più che ostile, dove giustamente Dante non poteva che collocare il suo Inferno. In altre parole in Dante c’era già il concetto che nella foresta non potessero che nascondersi le forze del male e quindi il Demonio Sommo dei cristiani ossia Lucifero… E questo è anche un concetto medievale che svilupperemo nel prosieguo del nostro lavoro.

 

L’uomo e la foresta tuttavia è un binomio antichissimo e non solo nel mondo europeo. Dalle ricerche antropologiche più recenti comincia ad affermarsi meglio l’idea che la specie umana, come i primati scimmieschi più vicini a noi che ancor oggi si aggirano fra gli alberi del mondo, sia venuta anch’essa fuori dalla foresta dove viveva da raccoglitore.

 

L’uomo è dunque nato nell’ambiente della selva e quest’ultima rimane la parte più intima della sua natura e della sua cultura materiale e spirituale.

 

La letteratura sulle foreste è vastissima e si potrebbe cominciare dalla popolarissima Bibbia in cui ci viene presentata la coppia primeva che abita proprio in una foresta: Il Giardino dell’Eden. Con grande attenzione noi però faremo una cernita del materiale a disposizione per non appesantire la nostra ricerca, ma non dimenticando che da questo ambiente (biocenosi, si chiama scientificamente) proviene tutto quello che ci serve per vivere... ancora oggi.

Ed ecco come parla della foresta nordeuropea il silvologo francese G. Rougerie:

 

“…supera gli 8000 km d’estensione dall’ovest a est e i 1800 da nord a sud. Si tratta d’una foresta densa almeno a parte le marche settentrionali, ma non spettacolare, poiché i suoi alberi raggiungono raramente i 25 m d’altezza e si tengono più spesso intorno ai 15 m con tronchi di piccolo diametro e rami abitualmente corti. La grandiosità della foresta (europea) è dovuta piuttosto alla sua omogeneità d’aspetto che ossessiona. … non c’è al mondo altra foresta così semplice, così monotona di questa foresta a conifere.”

 

Certo è una descrizione sommaria che si attaglia allo stato attuale, in cui la selva europea si trova già depauperata della maggior parte delle sue querce e dei suoi faggi, abbattuti secoli fa, ma oltre a queste parole il nostro autore continua per dire che grosso modo la foresta europea si può dividere in due parti nel senso dei paralleli: Una parte occidentale a dominanza del faggio (Fagus, ted. Buche, ing. Beech, rus. Buk) ed un’altra a dominanza della quercia (Quercus, ted. Eiche, ing. Oak, rus. Dub), questa estendentesi dalla Polonia fino agli Urali.

E giusto intorno a questo ambiente si è svolta la maggior parte degli eventi che la tradizione ci ha tramandato e che noi chiamiamo Storia d’Europa.

 

In special modo nel Grande Nord Europeo, dominato dai due grandi gruppi etnico-linguistici: I Germani e Gli Slavi, esiste forse una specie di collateralità esclusiva e particolare fra questi gruppi di popoli e la foresta circostante poiché nelle saghe nordiche e nel folclore slavo l’ambiente degli alberi, dei boschi, del fitto, del buio e dell’intricato etc. domina massicciamente ed è sempre possibile rintracciare quel certo sentimento di pauroso mistero che Dante ha così magistralmente messo in rima.

 

Com’era invece nel sud dell’Europa dove la civiltà era fiorita prima che in altre regioni? Anche qui c’era la foresta, ma già nella Grecia dei tempi storici essa era quasi totalmente scomparsa giacché notiamo che si importava legname e prodotti foresticoli dalle zone del Mar Nero già ai tempi di Erodoto. Ad esempio da Trapezunte (oggi Trabzon) in Anatolia che col suo nome denuncia l’importazione di assi di legno o da Pitsunda in Abchazia (il Paese del Vello d’Oro) che denuncia invece l’importazione di pece. Ecco, queste sono le prove lampanti e fissatesi nella toponomastica europea della necessità di trovare prodotti foresticoli fuori dei confini dell’Ellade classica ormai brulla.

Poi alla potenza dei greci si sostituì Roma e qui c’è un aspetto che va subito sottolineato per il suo grande peso storico.

 

Il Lazio, la regione dove nacque questo impero, era in origine coperto di foreste (si ricordino le opere di Virgilio o la leggenda di Romolo e Remo affidati ad una lupa, tipico animale silvicolo.), ma poi con lo sviluppo enorme successivo, le esigenze civili di costruzioni, riscaldamento, energia per la fusione dei metalli etc. gli alberi scomparvero rapidamente e vennero sostituiti dai campi coltivati, anche perché era diventato ora d’ordine primario nutrire una popolazione diventata numerosa.

 

Alcuni esempi ci basteranno a capire quale importantissima materia prima fosse il legno e perché ad esso non si poteva facilmente rinunciare:

                       

1. Roma costruì una sua flotta di navi da guerra e commerciali a partire dalle famose Guerre Puniche e continuò ad averne e a mantenerne per tutta la durata dell’Impero e queste navi erano fatte di legno.

 

2. Roma costruiva case, “valli” difensivi, carri, etc. tutti fatti di legno. Solo le costruzioni monumentali erano di pietra o di mattoni ed in particolare tutti i tetti dei monumenti comunque erano di legno.

 

3. Si facevano arnesi ed armi con manici di legno (si pensi alle decine di migliaia di lance, ad es. per figurarsi quanto legno andava perso dopo ogni battaglia).

 

4. Si bruciava legno per riscaldarsi, ma soprattutto per fondere e forgiare metalli.

 

Fu quindi giocoforza rivolgersi verso le altre regioni d’Europa dove la foresta sopravviveva al di là delle Alpi. Dapprima Roma sfruttò le risorse della regione più immediata da conquistare, e cioè la Gallia e la non tanto lontana Spagna, ma poi si volse verso est, oltre il Reno e oltre il Danubio.

 

E qui Roma incontrò popoli molto più bellicosi e difficili da sottomettere e dovette venire con essi a patti. Successivamente furono questi popoli a “conquistare” Roma e sopravvenne un nuovo rimescolamento di genti e di culture con una pausa nello sfruttamento intensivo del patrimonio forestale mitteleuropeo.

 

Giunge poi l’epoca del cosiddetto Medioevo e i consumi riprendono ed ora il legno deve essere importato persino da molto lontano, da luoghi dove il potere militare dell’Impero non arriva e cioè dallo sconosciuto e misterioso nordest europeo.

I consumi però si sono diversificati e, come diremo meglio avanti, la foresta non fornisce soltanto il legno, ma anche altri prodotti che in certi periodi del Medioevo salirono a livelli altissimi, come la cera ed il miele…

E tutto ciò fu possibile proprio perché la grande foresta del nord Europa era in grado di fornire quanto richiesto dalle grandi e scintillanti città del sud, Costantinopoli e Cordova in testa.

 

Ci scusiamo col nostro lettore per aver condensato, persino con molta libertà e in poche parole, un processo storico molto variegato e lunghissimo nel tempo, ma ciò deve servirci a capire come mai ancora nel X sec. d.C. Slavi e Germani potevano considerarsi i popoli “più silvicoli” d’Europa, ma sicuramente indispensabili per l’economia di tutto il continente di quel periodo.

 

In altre parole la foresta ha dominato (e domina) pesantemente la storia europea.

Ed allora spostiamoci nella grande Pianura Russa e cerchiamo di immaginare come fosse distribuita quella foresta intorno al VIII - X sec.

 

Sarebbe facile prendere oggi un aereo e recarsi ad esempio in Polonia o in Bielorussia per visitare l’ambiente forestale della Bjalovjescia, la foresta polacco-bielorussa, ma saremmo ingenui a credere che quando si offre ai nostri occhi sia ancora il paesaggio di molti secoli fa. Molto è cambiato e non soltanto perché gli alberi si sono riprodotti e gran parte di essi non sono più quelli di mille anni fa, ma anche perché molte aree sono ormai decisamente mutate a causa del disboscamento di cui abbiamo detto sopra e qui forse meno che in altri luoghi.

 

Se tuttavia ci volgiamo a sud verso Kiev, lo spettacolo resterebbe comunque imponente e incontreremmo qui un ambiente ancora più fantastico: Le famose Paludi del Pripjat, localizzate nel bacino di un affluente di destra del Dnepr. Queste sono un mare paludoso di oltre 100 mila km quadrati che aveva già “spaventato” Erodoto tanti secoli prima. Si pensi soltanto che se l’acqua qui esistente elevasse il suo livello di un mezzo metro, il bacino del fiume diventerebbe un enorme lago. E siamo ormai al confine meridionale della foresta europea poiché, passata Kiev, il paesaggio diventa stepposo e cioè con rari alberi e con terreno sabbioso…

 

Siamo giunti cioè alla riva settentrionale del Mar Nero, nella Steppa Ucraina.

Vediamo un po' meglio.

 

Dal punto di vista fisico il Bassopiano Sarmatico, questo è il nome più tecnico-geografico di tutta la Pianura Russa, si estende praticamente dal bacino dell’Oder, oggi il fiume al confine fra Germania e Polonia, fino alla Catena dei Monti Urali lungo l’asse ovest-est. In questo enorme spazio ci sono, sì., delle alture, ma sono poca cosa (con un’altezza massima di 350 m nel Valdai appena sotto Novgorod la Grande.) sebbene in ogni caso costituiscano degli spartiacque per gli innumerevoli corsi d’acqua presenti.

 

Le alture più importanti sono invece il cosiddetto Rialzo Centrale Russo che segue in pratica il 35° meridiano latit. est e che divide il bacino del Volga (di Mosca) da quello del Dnepr e il cosiddetto Ripiano Podolico (con la Volynia, la Podolia, la Bessarabia e la Moldavia) ai piedi dei Carpazi a sudovest che è l’altro limite occidentale del bacino del Dnepr. Tutto questo territorio nei secoli VIII-X era fittamente coperto di alberi…

 

Qui, in questo ambiente, si incontrarono le varie genti con varie abitudini di vita e con varie mitologie che hanno dato vita alla diversissima  e ricchissima cultura slavo-orientale.

 

Dalle ricerche storiche e dai rilievi archeologici sappiamo che fu proprio il Bacino del Dnepr il luogo dove si costituì il primo e più antico nucleo organizzato degli Slavi Orientali che oggi si distinguono nelle tre etnìe bielorussa, ucraina e grande-russa, fra il VI e l’VIII sec. d.C. Gli Slavi migrarono dall’Europa Centrale verso la Pianura Russa e, benché non fossero autoctoni della regione,  facilmente trovarono un modus vivendi con chi c’era prima di loro poiché gli oggetti artistici portati alla luce negli scavi delle famose tombe a tumulo (kurgany e sopki) in tutta quest’area sono abbastanza mescolati e non facilmente attribuibili ad una cultura piuttosto che ad un’altra, in quanto a fattura artistica e a destinazione d’uso.

 

Ad ogni modo i primi popoli che gli Slavi incontrarono furono sicuramente i Balto-finnici. Con questo nome, è bene dirlo subito, intendiamo due etnìe molto diverse fra loro, oggi relegate sulle coste baltiche, ma che una volta vivevano nelle foreste del nord est da tempo a contatto, sebbene separati culturalmente.

 

I Balti inoltre dovevano essere da sempre dei vicini degli Slavi poiché le lingue slave e quelle baltiche sono molto affini e col metodo glottogenetico è possibile dire che esse si sono separate in due gruppi diversi solo due o tremila anni fa, al contrario dei Finni invece che fanno parte di un gruppo le cui radici probabilmente si trovano fra gli attuali popoli dell’Alto Volga.

 

Dunque gli Slavi passarono dalla “loro” foresta intorno al bacino dell’Elba (più esattamente fra la Vistola e l’Oder) in questa più orientale. Ma perché?

Che cosa li spinse o li attrasse per intraprendere una tale faticosa migrazione?

 

Fu forse l’impoverimento della foresta mitteleuropea oppure l’intrusione di altre genti? Sappiamo che gli Slavi erano fondamentalmente degli agricoltori e quindi avevano bisogno di terreno libero da coltivare quasi periodicamente, a causa dell’agricoltura primitiva che conducevano. Sappiamo anche però che, vivendo in simbiosi stretta con l’ambiente silvicolo, erano anche raccoglitori e in questo dipendevano dall’ambiente forestale. Tuttavia, mentre il terreno si impoveriva con lo sfruttamento agricolo col passare di pochi anni, al contrario la foresta rimaneva una risorsa abbastanza solida. In più gli Slavi, essendo dei piccoli allevatori di bestiame minuto, la foresta rappresentava il pascolo più immediato, evitando di dover coltivare il foraggio per gli animali.

 

Certamente decisivo per decidere una migrazione di massa era l’impoverimento del terreno non appena si giungeva all’insufficienza delle messi per nutrire il gruppo famigliare e quindi ci si metteva alla ricerca di nuovi terreni vergini. La ragione non sempre era l’aumento di numero delle bocche da sfamare, quanto invece il modo di coltivare che gli Slavi mantennero ancora per qualche secolo.

 

Ritorneremo su questo punto più avanti perché è il più importante, ma per ora cerchiamo di capire meglio come lo Slavo agricoltore raccoglieva e sfruttava i prodotti che poteva trovare nel suo bosco.

Quasi tutte le piante coltivate dall’uomo provengono nelle regioni d’origine per accurata selezione dalle piante del sottobosco locale e perciò lo Slavo, erede di questa cultura antichissima, sapeva non solo coltivare i suoi cereali di base, ma anche cercare lungo le rive dei corsi d’acqua o presso certi alberi del fitto le piante e i frutti o altri prodotti che crescevano spontaneamente senza bisogno di interventi di mano umana in quantità sufficiente per rendere più piacevole e varia la dieta giornaliera o offrire la materia prima per altri bisogni materiali come fibre tessili o legname da ardere o per costruire e persino per lo scambio con altre comunità vicine o esterne.

 

Quindi, campi da lavorare nella stagione appropriata e contemporanea raccolta nella grande foresta, vivendo sempre ai suoi margini costituivano il mondo del lavoro dello Slavo primitivo… clima permettendo. 

Se questa fu l’attività più congeniale di un Polacco o di un Russo del Medioevo, l’inurbamento in grandi centri organizzati come le città dovette essere di conseguenza insignificante tanto che ancor oggi nel nord slavo risulta abbastanza più basso che in altre regioni d’Europa.

 

Oggi certamente è difficile concepire la vita come quella di tanti secoli fa, ma in realtà l’attività di raccolta non è mai cessata, salvo in quei luoghi dove la foresta non c’è più. Andare in vacanza in russo si dice “andare in dacia” e la dacia è proprio una capanna costruita nel fitto di un bosco. E un russo di oggi nel bosco con piacere riprende quell’attività di raccolta di funghi, bacche etc. che una volta era così importante per l’economia dei suoi antenati.

 

Vogliamo ricordare qui che alcune nostre regioni oggi sono diventate brulle e aride proprio a causa dell’uomo, più che per eventi o catastrofi naturali. E’ indubbio al contrario che l’ambiente silvicolo fu l’ideale (e l’unica risorsa in verità.) per trovare “da mangiare” senza troppa fatica, proprio durante l’ultima Guerra in tutta l’Europa. Quelle persone che davanti a loro vedevano solo campi abbandonati, devastati e incolti, si trovarono pressoché in pericolo di vita finché non si riscoprì il ruolo importante della foresta per riuscire a sopravvivere e combattere per la libertà.

Ci si dette alla macchia come il fuorilegge d’una volta da novelli Robin Hood o Brigante Usignolo (quest’ultimo è un famoso personaggio del folclore russo)…

 

La Resistenza Italiana, il maquis francese etc. ritrovarono nella foresta l’ambiente dove era possibile vivere senza diventare dei “selvaggi”… Allo stesso modo la Resistenza Russa ritrovò nelle Paludi del Pripjat il modo naturale per impedire l’avanzata nazista nel proprio paese.

 



 

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