[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

179 / NOVEMBRE 2022 (CCX)


contemporanea

ROSA PARKS
STORIA DI UNA SARTA DIVENUTA ICONA DEI DIRITTI CIVILI DEI NERI

di Matteo Liberti

 

Montgomery, Alabama, 1° dicembre 1955: terminata la giornata lavorativa, la quarantaduenne Rosa Parks, di pelle nera e di professione sarta, prende l’autobus 2857, diretta a casa. Si siede in una fila centrale, ma quando dopo poche fermate sale un passeggero bianco, il conducente le chiede di alzarsi per lasciargli il posto, come impongono le regole. Rosa le conosce bene: i neri siedono dietro, i bianchi davanti, mentre i posti centrali sono misti e si possono usare solo se tutti gli altri sono occupati, ma la precedenza spetta sempre ai bianchi. “Non stavolta”, pensa Rosa, e senza rifletterci troppo risponde che “no”, non intende alzarsi. Quel rifiuto la trasforma d’improvviso in un’eroina dei diritti dei neri, impegnati nella lotta contro la segregazione che opprimeva l’Alabama e altri stati del Sud, divenendo il propellente di una storica protesta che fu tanto rabbiosa quanto “non violenta”.

 

Segregati

 

La politica di segregazione nelle regioni meridionali degli Usa era un’eredità dello schiavismo in vigore nel Paese fino al 1865, anno in cui venne abolito dal XIII emendamento alla Costituzione. Dopo tale data, nel Sud connotato da forte impronta razzista (al contrario del Nord, i cui stati furono i paladini dell’abolizionismo) presero forma alcune norme locali, dette “leggi Jim Crow”, che diedero vita a un sistema in cui i neri erano considerati “separate but equal”, “separati ma uguali”. In breve, gli afroamericani erano tenuti confinati in appositi settori sui mezzi di trasporto e nel resto dei luoghi pubblici. Vittime di umiliazioni d’ogni sorta, erano inoltre tagliati fuori dalle scuole migliori e da molti mestieri, avendo inoltre salari inferiori a quelli dei bianchi. Non bastasse, ogni stato elaborava cavillosi espedienti per impedire loro di votare (il pieno diritto al voto giungerà solo nel 1965 con il Voting Rights Act, che assieme al contemporaneo Civil Rights Act mise in soffitta le Jim Crow laws). Nel contesto della segregazione, peraltro, la popolazione nera, godendo dell’uso esclusivo di molte chiese, bar e saloni di bellezza, poté pianificare importanti forme di resistenza al riparo dagli occhi dei bianchi. È questo il mondo in cui crebbe Rosa Parks, all’anagrafe Rosa Louise McCauley, nata il 4 febbraio 1913 in un’umile famiglia di confessione metodista nella cittadina di Tuskegee, poco distante da Montgomery.

 

Impegnata

 

A diciannove anni, nel 1932, Rosa sposò Raymond Parks, barbiere impegnato nel movimento per i diritti civili, dividendosi poi tra il lavoro come sarta e l’attivismo politico al fianco del consorte. Proprio nel 1932 si distinse per il supporto offerto a nove ragazzi afroamericani (gli “Scottsboro Boys”) accusati ingiustamente di aver violentato due prostitute bianche. La passione messa nella causa per i diritti dei neri le valse nel 1943 la nomina a segretaria della sezione locale della NAACP, “Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore” (“avevano bisogno di una segretaria, e io ero troppo timida per dire di no”, scherzerà poi Rosa). A supportare le battaglie della NAACP contribuirà dal 1954 un giovane pastore protestante sconosciuto ai più. Era Martin Luther King, destinato a divenire uno dei leader più celebri nella storia del movimento per i diritti degli afroamericani, ma al tempo ancora alle prese con il suo primo impiego, presso la chiesa battista Dexter Avenue di Montgomery.

 

“Ero stanca di subire”

 

Quando il primo dicembre 1955 si verificò l’episodio del bus, Rosa Parks era ormai giunta allo stremo della sopportazione per il trattamento riservato alla sua gente, tanto che anni dopo scriverà: “dicono sempre che non ho ceduto il posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca fisicamente, non più di quanto lo fossi di solito alla fine di una giornata di lavoro [...]. No, l’unica cosa di cui ero stanca era subire”. Dopo il rifiuto di alzarsi, l’autista fermò il veicolo e chiamò le forze dell’ordine per risolvere la faccenda. Rosa fu incarcerata per “condotta impropria”, ma poi, già a poche ore dall’arresto, venne rilasciata grazie alla cauzione pagata da Clifford Durr, avvocato bianco vicino alle posizioni dei neri. Nel frattempo la comunità afroamericana, informata sui fatti, aveva però iniziato a rumoreggiare e il nervosismo stava per sfociare in violenza, con il relativo rischio di rappresaglie bianche. Si decise allora che la reazione all’ingiustizia sarebbe stata sì netta, ma pacifica, e ancora una volta a prendere in mano la situazione fu una donna.

 

Boicotta l’autobus

 

Jo Ann Robinson, coetanea della Parks e presidente di un’associazione femminile afroamericana (Women’s Political Council) stampò in migliaia di copie un comunicato anonimo in cui si invitava la popolazione nera a boicottare i mezzi pubblici di Montgomery il 5 dicembre, giorno del processo a Rosa (che alla fine se la caverà con una multa). All’alba, l’attivista distribuì i volantini in scuole, negozi, chiese e beauty salon. Parrucchiere ed estetiste, più acculturate e indipendenti di altre lavoratrici, erano infatti attiviste pronte a fare proseliti tra le clienti, aiutandole nell’alfabetizzazione, spiegando loro le pratiche per votare e invitandole anche a non imitare le acconciature delle bianche... per sfoggiare invece i caratteristici ricci, simbolo del Black Power. In poche ore, tutta la comunità nera di Montgomery seppe del boicottaggio, che Martin Luther King e gli altri leader neri decisero tra l’altro di non limitare a un solo giorno: bisognava procedere a oltranza, finché non fossero state accettate determinate proposte “minime” come quella di poter prendere posto sui bus “secondo l’ordine di salita”. La rimostranza coinvolse migliaia di persone e durò fino al 26 dicembre 1956: un totale di 381 giorni, durante i quali i tassisti neri sostennero la protesta abbassando le tariffe al livello dei biglietti dei bus. Gli eventi di Montgomery ebbero visibilità in tutto il Paese, passando alle cronache come la più importante manifestazione non violenta del movimento per i diritti civili, espressione secondo King di una “bramosia infinita di dignità umana e libertà”.

 

Mai doma

 

Il boicottaggio funzionò: senza i ricavi dei biglietti dei neri (i maggiori utenti degli autobus), le casse dell’azienda dei trasporti andarono in rosso. Frattanto, del caso Parks si occupò la Corte Suprema degli Stati Uniti, che il 13 dicembre 1956, all’unanimità, dichiarò “incostituzionale” la segregazione sui mezzi pubblici. Neanche il tempo di festeggiare, e Rosa iniziò a subire le ritorsioni dagli ambienti bianchi, finché, perso il lavoro, si trasferì a Detroit, nel Nord del Paese. Nel 1965 divenne segretaria del democratico John Conyers, membro del Congresso, e nel 1987, in memoria del defunto marito, fondò il “Rosa and Raymond Parks Institute for Self Development”, istituto tuttora attivo e nato per “educare e stimolare i giovani e gli adulti, in particolare gli afroamericani, per il miglioramento di se stessi e dell’intera comunità”. Nel 1999 ottenne la medaglia d’oro del Congresso, massimo riconoscimento civile, in quanto, spiegò il presidente Bill Clinton, lei quel primo dicembre 1955, “mettendosi a sedere, [...] si alzò per difendere i diritti di tutti e la dignità dell’America”. La sua luce si spense il 24 ottobre 2005. Due anni prima, l’Henry Ford Museum di Dearborn, a poche miglia da Detroit, aveva acquisito il famigerato bus 2857. Al suo interno, nel 2012, verrà scattata una storica foto a Barack Obama, primo presidente americano di pelle nera, in ricordo di quando Rosa, con un semplice “no”, aveva contribuito a rendere il mondo un luogo migliore.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]