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N. 12 - Maggio 2006

LA CRISTIANIZZAZIONE DEL RITO FUNERARIO PAGANO

Attraverso la testimonianza di Cornus

di Laura Gasparri

 

Lo studio delle trasformazioni urbanistiche nel periodo di transito tra la tarda antichità e il medioevo risulta assai difficile per oggettiva carenza di fonti, sia letterarie che archeologiche. La portata del fenomeno, di cui va ribadita la lunga durata nel tempo e la molteplice varietà di manifestazioni da città a città, si riduce in questa sede a “generalizzazioni” di comodo, che, se pure semplicistiche, hanno l’indubbio pregio della sintesi storica e sono funzionali a mostrare le modifiche sostanziali che segnano il passaggio dalla città tardo-antica ad una città che può dirsi tipicamente medioevale.

 

Le radicali trasformazioni della struttura urbanistica si ripercuotono anche a livello della ritualità funeraria. L’impianto della città classica, sviluppato intorno al Foro, nell’antichità il fulcro per eccellenza di ogni attività urbana, entra definitivamente in crisi e lascia gradualmente il posto ad una nuova città in cui nuovo e decisivo fattore poleogenetico è il complesso episcopale. Inoltre l’inserimento nel tessuto urbano dei “nuovi” edifici cultuali cristiani funge da elemento catalizzatore e da polo di attrazione per le aree sepolcrali. Si delinea così una nuova fisionomia urbanistica in cui lo spazio per i vivi non risulta più nettamente distinto da quello destinato ai defunti, contrariamente a quanto aveva rigidamente imperato per secoli e che spesso è annoverato dai moderni fra gli elementi giudicati qualificanti il grado di civiltà raggiunto nell’antichità.

 

Per quanto riguarda più specificatamente le tipologie tombali la società medievale attinge ancora dal mondo romano, pur rimanendo sensibile alle tradizioni regionali e all'apporto consistente della cristianizzazione.

 

In queste brevi note l’attenzione è focalizzata ai riti di commiato e di commemorazione che certamente dovevano seguire la liturgia funeraria. Un'attenta e accurata lettura del documento archeologico, con o senza l'ausilio delle fonti scritte, permette di delineare le funzioni sociali del culto e le rappresentazioni della morte, di cogliere le differenze di attitudine e mentalità e di restituire gesti e modi di pensare che possono coesistere all'interno di una società.

 

Nel quadro rapidamente delineato gli scavi del suburbio di Cornus assumono un inestimabile valore di testimonianza.

 

La grande area cimiteriale cornuense, utilizzata dalla prima metà del IV sino a tutto il VII secolo d.C. seppure senza soluzione di continuità, permette proprio di seguire la nascita, la sopravvivenza e l’evoluzione dei riti legati alla morte.

 

Cornus (da kornos, trascrizione greca di una radice punica) è un'antica città sulla costa occidentale della Sardegna. La sua posizione geografica, incerta nelle fonti letterarie, è stata individuata dall'Angius nel 1831.

 

Fig. 1 - Carta di diffusione dei siti cristiani in Sardegna.

 

Uno stanziamento preistorico preesiste all'arrivo di coloni semiti che fondarono la città in età imprecisabile. A quella fenicia segue una fase di occupazione romana di cui ci fornisce importanti informazioni Tito Livio. Lo storico, infatti, annovera Cornus tra le città sardo-puniche ribelli a Roma durante il periodo di permanenza di Annibale in Italia.

 

La città di epoca romana dovette sovrapporsi all'insediamento preesistente, viste le scarse evidenze archeologiche rinvenute. Il suburbio della città era caratterizzato da un insediamento sparso: resti di villae sono stati individuati nelle località di Sisiddo, Lenàghe e Columbaris. In quest'ultima area è stata messa in evidenza la presenza di un quartiere tardoantico e altomedievale.

 

Le indagini archeologiche in regione Columbaris iniziate fin dal 1955 dal De Muro e dal Pes e proseguite negli anni 1962-1964 per iniziativa di Ovidio Addis, sono state riprese nel 1977 per volontà del Soprintendente Archeologo per le province di Cagliari e Oristano, Ferruccio Barreca, che ne ha affidato la direzione scientifica a Pasquale Testini e ad Letizia Pani Ermini. In particolare le analisi più recenti sono state condotte da Anna Maria Giuntella.

 

Sulle rovine di un impianto termale extraurbano, probabilmente pertinente a una villa, si installò un’area funeraria destinata sin dal IV sec. d.C. a una comunità cristiana che costituì inizialmente una basilica funeraria mononave. A partire dalla fine del IV sec. d.C. si sviluppa un polo cultuale costituito da due basiliche affiancate e orientate l’una con abside ad E, l'altra ad O. L'edificio meridionale, di dimensioni minori, ha funzioni di battistero e sostituisce il modesto impianto battesimale che prima si apriva su un cortile.

 

Fig. 2 - Basilica cimiteriale, veduta da N/E della zona absidale

 

Tale basilica conserva la cisterna del preesistente impianto termale, utilizzata per alimentare il fonte battesimale. Quest’ultimo in origine era conformato a croce greca, ma fu successivamente modificata mediante la chiusura dei bracci per conferirgli forma ottagonale.

La basilica più grande presenta un nartece, un corpo diviso in tre navate di cui una absidata e due pastophoria laterali; è priva di transetto e la navata centrale rialzata ospita l’altare.

Nel pastophorio di destra è presente un altro altare del tipo “a cassa” e destinato ad accogliere le reliquie. Tale complesso assume dignità di cattedrale nel V sec. d.C., quando un vescovo Bonifacio sottoscrive al Concilio di Cartagine del 484 d.C. come appartenente alla diocesi di Sanaphar (= Cornus).

 

L'aula episcopale subì numerosi interventi di restauro. Uno di questi comportò il restringimento della basilica mediante la riedificazione dell'intera parete longitudinale nord, costruita in muratura cosiddetta “a telaio” di tipologia africana. L'iconografia dei due edifici di culto e l'articolazione dello spazio al loro interno mostrano evidenti affinità con il mondo africano, tanto da far ipotizzare una presenza di ecclesiastici esuli dall'Africa a Cornus durante le persecuzioni vandaliche.

 

Fig. 3 - Planimetria generale del complesso monumentale all’epoca degli scavi Addis.

 

Fig. 4 - Planimetria schematica del complesso con indicazione delle fasi e dei settori.

 

Nell'area attigua agli edifici cultuali si sviluppò un vasto cimitero utilizzato sicuramente sino al VII secolo d.C. Per quanto riguarda le tipologie delle sepolture è documentato l'uso di tombe a cappuccina, a enchytrismòs, a tumulo (di cui frequenti le attestazioni del tipo detto “a cupa”, ovvero con tumulo di forma ellittica, a sezione semicircolare) e in sarcofago.

  

All'interno della basilica episcopale sono state individuate anche delle sepolture interpretate come privilegiate per la presenza di lastre di copertura in marmo iscritte e di ricchi corredi personali.

 

L'orientamento predominante è quello consueto E/O e alcune inumazioni presentano la particolarità di essere poste su un letto di carboni vegetali.

 

I corredi personali (costituiti dagli oggetti appartenuti al defunto in vita, legati al suo ornamento personale e conseguentemente fortemente distintivi del suo status sociale) sono costituiti da vaghi di collana, pendenti, orecchini, aghi crinali e anelli digitali in diversi materiali nel caso delle tombe femminili; fibbie, placchette di cintura, coltelli e utensili di uso quotidiano in quelle maschili. In tombe infantili sono spesso presenti dei rametti di corallo per le sue virtù propiziatorie e in quanto simbolo della fertilità.

 

I corredi rituali sono costituiti, invece, dagli oggetti offerti al defunto al momento della deposizione e legati ai riti che accompagnavano la sepoltura.

 

La presenza di ceramica sigillata associata spesso a resti di pasto ed ad ossa combuste di animali, nonchè il rinvenimento di dispositivi interpretati come mensae (cioè piccole tavole poste davanti alle tombe per poggiare i pasti funerari) attestano che nel sito di Cornus fossero praticate i riti funerari della libagione e del refrigerium.

 

Si tratta di tradizioni ereditate dal mondo pagano, che sopravvivono arricchite di nuovi significati cristiani. La necessità di mantenere un legame tra vivi e defunti e il credere che la morte non segni l'annullamento della persona, ma il suo ingresso nella vita eterna (non a caso il giorno della morte corrisponde per i credenti cristiani al cosiddetto dies natalis ovvero il “giorno della nascita”), spiega l'abitudine di depositare alimenti davanti alla tomba o di introdurlii dentro la tomba attraverso un condotto. Per di più i cristiani legano il concetto di ristoro fisico a quello del refrigerio spirituale.

 

Se il valore della libagione è essenzialmente religioso in quanto nella mentalità comune i morti ai quali non è reso culto e fatto delle offerte possono essere pericolosi per i vivi, la pratica del ristoro presso la tomba dei propri defunti o dei martiri, in onore dei quali si compie il refrigerium, ha senza dubbio valore sociale. Inoltre non va trascurato l’aspetto pratico dei banchetti che recano immediato sollievo a coloro che si recano a visitare i cimiteri, talora molto lontani dalla città.

 

L'aspetto conviviale dei riti si desume dalle immagini di banchetto presenti nelle catacombe: si pensi al celebre convito dell'ipogeo degli Aureli (prima metà III sec. d.C.), alla scena di banchetto presente nell'ipogeo di Crispia Salvia a Lilibeo o in quello detto di Adamo ed Eva a Gargaresch in Tripolitania (dell' avanzato IV sec. d.C.).

 

Questo repertorio di immagini offre la concreta rappresentazione delle offerte e delle suppellettili adoperati per il refrigerium, a cui si aggiungono le notizie fornite dai frequenti richiami ed allusioni dei padri della chiesa, i quali si sforzarono di trasformare i conviti funebri dei cristiani, degenerati troppo spesso in vere e proprie gozzoviglie, in un momento di carità verso i più poveri.

 

Questa documentazione fornisce la chiave di lettura per l’interpretazione  delle particolari strutture in uso nelle necropoli ed individuate nel corso delle indagini archeologiche. Gli scavi in contesti africani dimostrano il passaggio da un rito privato ad uno a carattere comunitario: nelle necropoli si riscontra l’aggiunta o la sostituzione della piccola tavola posta davanti alla tomba con veri e propri letti tricliniari che materializzano in modo permanente il pasto funerario previsto dalle cerimonie comunitarie. A Tipasa i letti sono disposti attorno ad una lastrone sui cui si poggiava il pasto e sono connessi spesso a pozzi o cisterne adatti a spandere acqua sulla mensa. Spesso le tavole stesse sono decorate con suppellettile ed elementi di pasto (pane, pesci come nel caso delle lastre di Timgdad).

 

I dispositivi cornuensi per il refrigerium ricalcano non solo i modelli presenti nelle aree cimiteriali africane, ma rimandano anche agli analoghi contesti mediterranei della penisola iberica (necropoli di S. Fruttuoso a Tarragona) e della Sicilia (necropoli sub divo di Agrigento).

 

Oltre alla presenza di cospicui resti di pasto e stoviglie e di mensae, fra cui menzioniamo il “seggio a dado” con duplice funzione di cattedra e di mensa rinvenuto dall’Addis, a Cornus si segnala soprattutto la presenza di un particolare dispositivo a grande tumulo, dotato di tavola per le offerte, e di uno spazio libero creato appositamente per l’organizzazione e lo svolgimento del rito comunitario. Dopo l’esodo africano nell’isola, l’area cimiteriale monumentale subisce una riorganizzazione che prevede l’articolazione di spazi nuovi. Tra l’area cimiteriale monumentale e il complesso episcopale si estende una zona intermedia dotata di pozzo e di forno da connettere con molta verosimiglianza alle necessità pratiche connesse all’espletamento del rito.

 

Un altro aspetto importante della ritualità funeraria, attestato anche a Cornus, è costituito dalla presenza delle monete nei cimiteri. Esse possono trovarsi all'interno della tomba ed essere usate come elementi del corredo personale oppure come “obolo viatico”, persistenza del rituale pagano dell'obolo a Caronte. Qualora le monete si trovino all'esterno della sepoltura, devono essere interpretate come “obolo offerta”, vale a dire legate al momento del rito del convito.

 

Se la pratica dei pasti funerari terminò a Roma con la costruzione delle basiliche a deambulatorio, pare che a Cornus, invece, il rito tardasse a morire e fosse attestato almeno sino agli inizi del VII sec. d.C.

 

In fondo il rito funerario del refrigerium, ereditato dal mondo pagano e rivitalizzato dalla nuova semantica cultuale dei cristiani, non è scomparso del tutto, ma ha lasciato tracce di sé anche in abitudini e consuetudini vive ai nostri giorni: è il caso, ad esempio, dei pasti comunitari svolti presso la famiglia del defunto e ancora in uso nell’Italia meridionale.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

R. M. Carra Bonacasa, Pagani e cristiani nei cimiteri tardo antichi della Sicilia. Aspetti del rituale funerario, in X CONGRESSO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA SICILIA ANTICA, Palermo - Siracusa 2001.

G. Farris, Le aree paleocristiane di Cornus, Oristano 1993.

P.A. Fevrier, Il culto dei morti nelle comunità cristiane durante il III secolo, in ATTI DEL X CONGRESSO DI ARCHEOLOGIA CRISTIANA, Roma 1978.

A.M. Giuntella - G. Borghetti - D. Stiaffini, Mensae e riti funerari in Sardegna, in MEDITERRANEO TARDOANTICO MEDIEVALE. SCAVI E RICERCHE, 1, Martina Franca 1985.

A. M. Giuntella, Cultura, materiali e fasi storiche del complesso archeologico di Cornus: primi risultati di una ricerca, in L’ARCHEOLOGIA ROMANA E ALTOMEDIEVALE NELL’ORISTANESE, ATTI DEL I CONVEGNO DI CUGLIERI (Cuglieri 22-23 giugno 1984) = in MEDITERRANEO TARDO ANTICO E MEDIEVALE. SCAVI E RICERCHE, 3, Taranto 1986, pp. 135-146.

A. M. Giuntella, Sepolture e rito: consuetudine e innovazioni, in ATTI DEL IV CONVEGNO DI CUGLIERI (Cuglieri 27-28 giugno 1987), pp. 215-229.

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A. M. Giuntella, Cornus I, L’area cimiteriale orientale, in MEDITERRANEO TARDOANTICO MEDIEVALE. SCAVI E RICERCHE , 13, 1, Oristano 1999.

A. M. Giuntella, Cornus I,2, L’area cimiteriale orientale. I materiali, in MEDITERRANEO TARDOANTICO MEDIEVALE. SCAVI E RICERCHE , 13, 2, Oristano 1999

 

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