N. 18 - Giugno 2009
(XLIX)
IL MADAGASCAR DELLA REALTà
Obiettivo sull’Africa
di Laura Novak
Sembra che nessuno lo sappia.
Eppure un paese è in piena guerra civile, lacerato dalle
personalità controverse di due nemici politici e non
solo.
Dal 2001 fino all’ultimo golpe scatenato
dall’opposizione politica del marzo 2009, Marc
Ravalomanana era il presidente del Madagascar.
Divenuto nel 1999 sindaco di Antananarivo, capitale
malgascia, si era candidato alle elezioni presidenziali
nel 2001, come avversario dell’uscente Ratsiraka.
Elezioni circondate, fin da subito, da ombre e sospetti
di brogli elettorali.
Entrambi i candidati sostennero di aver vinto, spaccando
letteralmente il paese a metà.
Il centro del paese, fu occupato militarmente dalle
forze private di Ravalomanana, mentre le coste, furono
asserragliate dai fedeli militari dell’ex presidente.
Il paese, in questo modo, rimase bloccato
geograficamente e politicamente, squarciato al suo
interno, per un intero anno.
Nel 2002 Ravalomanana si auto-dichiarò presidente,
supportato da oceaniche manifestazioni in suo favore, e
soprattutto dalla scelta finale operata dall’Alta Corte
Costituzionale, obbligando, di fatto, Ratsiraka
all’esilio forzato.
Il suo atteggiamento presidenziale è stato fonte, in
innumerevoli occasioni, di dissidi e polemiche.
La tattica politica di Ravalomanana, contraddistinta da
un notevole sforzo d’accentramento, del potere,
soprattutto economico, nelle sue mani, ha scosso le
istituzioni e la democrazia del paese, suscitando
malumori tra quel suo stesso popolo, che lo aveva
inneggiato a proprio rappresentante.
Il problema principale sussisteva nello squilibrio
incolmabile tra la positiva crescita economica degli
ultimi anni, e la pericolosa svalutazione della moneta,
attuata dal governo per far fronte alla possibilità di
esportazioni ed investimenti stranieri.
Con un nuovo sistema di serrata privatizzazione di molti
colossi pubblici del paese, ed investendo ingenti fondi
di denaro per l’incremento del settore minerario e
petrolifero, l’economia del paese iniziò un periodo di
fioritura costante, con una crescita annuale pari al 5%.
Una moneta debole, inoltre, poteva, apparire tassello
allettante per chi volesse investire fondi esteri nel
paese, diventata, in vent’anni, meta turistica in
ascesa.
I dati però hanno evidenziato lacune profonde nella
strategia economica del governo.
Il 70% dei malgasci vive da sempre con meno di un
dollaro statunitense al giorno.
I salari, aumentati del 10% nel 2008, sono stati
ridimensionati dopo pochi mesi, proprio a causa
dell’inarrestabile inflazione.
In un clima di estesa povertà e malcontento, l’unico che
sembra averne ricavato molto sembra essere proprio lui,
Marc Ravalomanana.
Seconde fonti giornalistiche libere internazionali, il
presidente, imprenditore di successo prima del mandato e
proprietario di varie aziende (dai settori di competenza
ambigui e variegati), avrebbe, con giochi normativi,
alterato le leggi governative a favore degli affari
delle sue imprese.
Al centro dello scandalo c’era, in particolare,
l’oscillazione dei dazi doganali avvenuta negli ultimi
anni; dazi che, a scadenza regolare, venivano alzati o
abbassati, in perfetta coordinazione con gli impegni di
importazione ed esportazioni delle sue aziende.
Questa manipolazione avrebbe condotto il paese sulla
banca rotta, formando un ammanco nelle casse dello Stato
di quasi 24 milioni di Euro.
La situazione, dopo lunghi mesi di limbo, è
definitivamente precipitata nel gennaio del 2009.
Forti, quindi, della sfiducia popolare che aveva
investito la figura di Ravalomanana, le forze politiche
dell’opposizione, guidate dalla carismatica e giovane
personalità di Andry Rajoelina, sindaco di Antananarivo,
iniziarono una dura battaglia propagandistica contro il
malgoverno del presidente-imprenditore.
Le varie accuse innalzate contro Ravalomanana, furono
pesantissime, nonostante spesso non fossero ben
supportate da documenti o prove tangibili.
Il meccanismo di calunnia serviva, oltre che a
screditare la capacità politica del presidente, a far
apparire gli ultimi anni di governo una silenziosa
dittatura, attuata da un affarista senza scrupolo o
senso di democrazia.
Alla diffamazione si è poi passati all’occupazione
fisica di uffici istituzionali e media locali.
Le manifestazioni degli oppositori, in maniera piuttosto
prevedibile, si sono velocemente trasformate in
guerriglie urbane, che, alla fine dei macabri conti
effettuati, hanno portato alla morte di 150 persone.
Il golpe è stato poi portato a termine da Rajoelina, nel
marzo del 2009.
Andry Rajoelina, ex deejay di 34 anni, convertitosi da
non molto alla causa malgascia, ha iniziato il suo
percorso politico candidandosi come sindaco della
capitale nel 2007, ottenendo il mandato senza molto
affanno.
Il fascino suscitato dalla figura di un giovane e
appassionato intenditore politico ha reso subito
complessa la vita del presidente Ravalomanana.
Il pregio maggiore di Rajoelina è stato fin da subito
evidente a molti, compreso il governo in carica. Come
anni prima aveva fatto Ravalomanana, il giovane
candidato sindaco, aveva condotto una campagna
elettorale frizzante, giovanile, tesa al futuro del
paese, con l’entusiasmo di una politica svecchiata e
priva d’interessi personali.
La sua piacevole presenza scenica e la capacità
comunicativa lo hanno reso, in pochissimo tempo, un
beniamino della fascia più giovane dell’elettorato, che
vedeva in lui un nuovo e più degno rappresentante
politico.
A buona ragione, quindi, le forze politiche
dell’opposizione hanno indirizzato su di lui la scelta
di nuovo e carismatico leader.
Solo lui, secondo l’opposizione, poteva, infatti,
incrinare il consenso popolare di cui godeva ancora il
presidente.
Ed è proprio con l’investitura di Andry in qualità di
oppositore politico di Ravalomanana, che la battaglia
mediatica, politica e militare ha avuto il suo inizio.
Ma anche dietro la figura di Andry Rajoelina si sono
addensate spesso ombre oscure di malaffare: le fonti
parlano di appoggi economici consistenti donati dalle 50
famiglie più potenti del paese, che hanno visto
decrescere, durante il governo Ravalomanana, i loro
profitti del 70%; profitti deviati, invece, alle casse
delle imprese del presidente stesso.
Nel marzo del 2009 Ravalomanana, rinchiusosi nel suo
palazzo, con ai suoi ordini ancora pochi militari, si
dichiarava fermo sulle sue posizioni, incurante delle
ondate di manifestazioni, in atto in tutto il paese
contro di lui, spesso sedate anche con il sangue.
Il potere non sarebbe stato lasciato nelle mani di un
uomo inesperto.
A nulla è valso il tentativo dell’Unione Africana di
patteggiamento civile delle parti.
Il golpe allora ha avuto luogo alla fine di marzo, e
Ravalomanana è stato rovesciato dalla sua poltrona e
costretto alla fuga.
Ed è così che il Madagascar si è trovato ad avere due
governi opposti in carica, auto dichiaratosi unici e
insostituibili, con le cariche ufficiali pubblicate ed i
ministri all’azione. Nonostante la lontananza
geografica, a seguito della sua fuga, ancora oggi l’ex
presidente reclama a gran voce il suo ruolo politico,
denunciando come anticostituzionale la sua
delegittimazione.
Dal canto suo Rajoelina, approfittando del momento
caotico in cui versava il paese, ha ottenuto la carica
di formare un nuovo governo.
E mentre l’unione africana sospendeva il Madagascar, per
gravi infrazioni ai diritti sociali e civili, gli Stati
Uniti annunciavano in aprile la sospensione a data da
destinarsi, dei fondi umanitari inviati sull’Isola.
Sotto sollecitudine ancora una volta dell’Unione
Africana, si sta tentando in questi giorni una nuova
mediazione alla situazione, che ha visto un nuovo
aggravarsi alla fine di aprile.
Dopo numerose morti “accidentali” avvenute in alcune
manifestazioni contro il governo Rajoelina, e la
rabbiosa sequenza di arresti di illustri uomini politici
e ministri, fedeli al governo dell’ex presidente
Ravalomanana, la comunità Internazionale ha duramente
condannato l’attitudine poco democratica, manifestata
dal nuovo presidente Rajoelina.
La situazione ad oggi è immersa in un pantano
diplomatico senza possibilità di imminenti svolte. Non
sono valse a niente gli avvertimenti di possibili
sanzioni anche da parte del presidente dell’Onu, Ban
Ki-Moon.
Il ristagno politico attuale, che uccide economia e
giustizia sociale, schiaccia i diritti e i doveri, è
forse causa di interessi personali troppo complessi per
essere davvero compresi.
Le due personalità in lotta, istrioniche quanto basta,
non possono essere considerati solo come uomini
politici.
E’ proprio il loro passato di uomini non politici, un
imprenditore contro un ex deejay, a rendere percepibile
quanto questa lotta nasconda bene altro.
Nel loro non essere statisti puro sangue, afferrano la
politica come carne da spolpare, preda da ottenere e
divorare, in lotta contro un avversario altrettanto
potente, in una guerra per il territorio, cieca ed
animale.
L’intervento di chi ne ha competenza dovrebbe essere
arrivato da tempo, dopo i morti bruciati per strada,
calpestati dalle jeep della polizia, dopo la
manipolazione bieca dei mass media, la
strumentalizzazione della povertà e la disinformazione
della popolazione.
In tutto il lungo percorso che ho condotto per la
documentazione necessaria a compiere l’articolo, ho
constatato come nessuno, fra i protagonisti della
vicenda, si sia mai preoccupato della condizione della
popolazione.
Un popolo, annientato dalla fame, dove bambini, giovani
donne e ragazzi poco sopra la pubertà affrontano, ogni
giorno, il caldo ed il sole per compiere uno dei lavori
più degradanti della società contemporanea.
Sono gli spaccatori di pietra, i cosiddetti “mpamaki
vato”, che nella zona dei resort turistici di Nosy Be,
staccano dalle pareti rocciose, con attrezzi d’ogni
sorta, pietre più o meno grandi…senza sosta, dall’alba
al tramonto.
Fino al 6 giugno a Villa Recalcati (Varese), potrete
vederne gli struggenti volti, dal sudore denso e
gocciolante, immortalati dal fotoreporter Alfredo
Macchi.
Per poterci chiedere: e loro?
