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N. 14 - Febbraio 2009 (XLV)

IL RE è MORTO
Leggende e miti intorno alla morte di un uomo-icona

di Laura Novak

 

Memphis, 16 agosto 1977. 80.000 persone riunite, in una folla di lacrime e furore emotivo, davanti ad un cancello di una meravigliosa villa.

Da quando la notizia aveva iniziato il suo tam tam, lungo migliaia di miglia da est ad ovest degli Stati Uniti, una ressa pacifica ed eterogenea si era presentata per omaggiare la fine di un mito.
Il re del rock and roll era morto.

Le circostanze del decesso di Elvis Presley sono risultate fin dall’inizio poco chiare: molti i tagli a particolari imbarazzanti. Ma ad oggi la versione confermata risulta essere la stessa da 30anni: attacco cardiaco.

Subito dopo la fastosa veglia funebre organizzata dalla famiglia, ma soprattutto dal suo staff, dubbi e fantasiose soluzioni alternative immaginate dal suo popolo adorante, hanno donato alla vicenda un’aurea di mistero.

Per la gente tutto era immaginabile, tranne proprio il decesso del loro Re.
Nonostante i lunghi 30 anni che ci dividono da quel 1977, i miti a riguardo aumentano, si alimentano, supportati da teorie al limite della follia e prove fotografiche oscure, bizzarre e spesso imbarazzanti.

La nascita di leggende eclatanti su eventi così tristemente umani, è però fenomeno affascinante.

Elvis è stato ed è, ancora nei tempi moderni, un icona inconfondibile. Pochi personaggi sono riusciti a rendere le proprie attitudini, simbolo di un periodo storico, di un’intera generazione.

L’imitazione ossessiva di movenze, abbigliamento e peculiarità, derivante dalla mitomania pura, con lui ha toccato l’apice della perfezione.
Il mondo è popolato da migliaia di Elvis, feticisti incalliti del suo personaggio, specchi deformati della sua immagine che nei suoi 20 anni di carriera ha subito notevoli trasformazioni.

Le leggende nate subito dopo la scomparsa visiva del Re sono state innumerevoli.
Testimonianze, foto, scatti rubati di fantomatici uomini invecchiati ma fisicamente somiglianti, ma soprattutto teorie complesse che potevano spiegare la fine di un mito, considerato inossidabile, all’età di 42 anni: dal rapimento da parte di alieni, alla necessità di scomparire dalla vita pubblica per riabilitarsi da droga e alcool, fino alla custodia governativa in un programma di protezione testimoni da parte dell’FBI.

Il ruolo politico di Elvis, è aspetto non da sottovalutare. Il suo carisma popolare poteva essere all’epoca fonte inesauribile di voti per il potere. Le foto della sua celebre visita a sorpresa alla casa bianca di Nixon sono emblema della congiunzione necessaria del pubblico e del politico.
Probabilmente solo Elvis Presley poteva essere lì, nella stanza dei bottoni più importante al mondo, da protagonista, in quel momento della storia, con il Nixon ambiguo del 1970, probabilmente alterato dall’effetto di barbiturici e alcool.
Ma Elvis è molto di più.

Non esiste tramonto per la luce che circonda la sua persona.

Migliaia i siti internet nelle rete, popolati da fans suggestionati ed invasati, che si impongono la missione di svelare la verità sulla “fuga” di Elvis da quel palcoscenico, che era la sua vita.

La sua vena eroica di sovvertitore di regole e di pudore degli anni ’50 e ’60 lo hanno reso immortale, nel senso letterale del termine.

E nonostante, non sia l’unico esempio di mitomania compulsiva verso personaggi celebri del XX secolo (da James Dean a Marilyn Monroe, da Jim Morrison fino al nostro meraviglioso Luigi Tenco), ne è forse l’esempio più prepotente.

Le linee giuda del fenomeno sono in realtà sempre le se stesse, per ognuno dei personaggi sopra citati: la popolarità, il fascino ombroso e travagliato e le varianti sociali, ricchezza e bagaglio umano fondamentale, che ognuno di loro portava negl’ occhi.

Se razionalmente deve esiste la necessità di distinzione tra persona e personaggio, le icone sono questo: immedesimazione totale, senza possibilità di conversione, nel personaggio che il pubblico idolatra.

Per Elvis l’immedesimazione forzata aveva condotto, molto probabilmente alla disistima e fragilità, fino a diventare caricatura di se stesso.
Per paradosso umano è il processo di mitizzazione che crea il meccanismo di annientamento.

Se la formula, “il successo distrugge”, può sembrare banalità, spesso continua a risultare a conti fatti vera ed abituale, tanto da divenire, appunto, banalità.
La rivoluzione che un icona può portare nella società diventa, nella Pop Art di Warhol, concetto d’arte semplice, netto, consumistico e assolutamente ripetibile, di massa.

Il mito diventa quindi un soggetto ad uso ed abuso del pubblico antropofago.
Nella mente del fan non possono quindi essere concesse imperfezioni o deviazioni umane per un personaggio come Il Re: la dipendenza da farmaci o droghe, la riconosciuta mediocrità di musicista, o la morte assolutamente prevedibile, diventano montature orchestrate da poteri occulti.

Il decadimento fisico ed emotivo del mito trascina inevitabilmente al decadimento della missione di vita del fan.

Non esistono quindi foto del corpo di Elvis deposto nella bara o certificati di morte abbastanza reali da assicurarne il decesso e l’assenza da questo mondo.
Elvis è vivo, no anzi è morto, no anzi è vivo, per sempre… lo dice anche Joe Lansdale…

 

 

 

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