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N. 7 - Luglio 2008 (XXXVIII)

I Quaderni di Malte Laurids Brigge
Analogie e fusioni con l’espressionismo musicale di Arnold Schönberg

di Rosa Mazzei

 

Reiner Maria Rilke conduce la sua vita parallelamente alla crisi europea che porterà alla prima guerra mondiale.

Le radicali trasformazioni sociali che caratterizzano questo periodo storico sono riscontrabili anche nella cultura e nell’arte.

 

Il trapasso tra ottocento e novecento vede il Positivismo cedere il posto alla realtà psicologica, portata alla ribalta da correnti irrazionalistiche e relativiste.

Parole chiave per entrare nell’ottica di questo mutamento sono soggettività ed interiorità.

Il mondo oggettivo e nitido,così schiettamente dipinto dall’arte impressionista viene sostituito dalla visione deformata e drammatica dell’Espressionismo,affiancato da una frantumazione cubista dell’oggetto, metafora della scissione dell’io.

 

Se non è più la visione oggettiva a rappresentare il mondo e la realtà, rimane il soggetto che vi contrappone quella sua, interiorizzata e personale.

Questo tipo di realtà è però conoscibile solo tramite l’intuizione artistica, e solo per mezzo dell’arte le si può dar voce.

 

Questa esperienza Rilke la vive rappresentando letterariamente sé stesso ed il suo divenire “cosa tra le cose”, cioè cosa in quanto realtà esterna (materia) che però diviene cosa in quanto realtà interiore (visione, suono, immagine).

Riuscendo a soggettivizzare così tanto le esperienze, l’artista diviene strumento per sondare l’inconoscibile, e la sua poesia,la sua musica,la sua pittura,unico mezzo per esprimerlo.

 

Fu tra il 1904 ed il 1910 che R.M.Rilke scrisse I quaderni di Malte Laurids Brigge, opera difficilmente definibile e inquadrabile in un preciso schema di scrittura.

E’ un romanzo-non romanzo, un quaderno di visioni,racconti e memorie.

 

Vi si avverte il distacco del soggetto dal mondo, la solitudine dovuta alla sua chiusura verso il collettivo, il ripudio della sporcizia e degli orrori delle città rappresentate,nell’opera,da una Parigi “...che puzzava di iodoformio,di unto di pommes frites, di angoscia”.

 

Tuttavia è proprio il dolore per questo eccessivo distacco che porta Rilke a ricercare un’unità fondamentale dimenticata, una sorta di strada sotterranea che possa ricondurlo alla luce,illuminando gli angoli oscuri della sua vita.

Una di queste è il ritorno all’infanzia in quanto punto di partenza di una lunga serie di esperienze, momento della vita in cui si è stati a contatto col passato nelle vesti degli avi e dei nonni, delle loro storie, dei loro fantasmi.

 

Non è quindi dal sentimentalismo nostalgico che nascono i versi del Malte, ma dall’accumulo di vita vissuta. Ogni parola nasce da esperienze trascorse: luoghi visitati, amori passati, incontri e addii; nasce dall’aver visto morire e nascere persone, e dall’aver attraversato il mare e vissuto le notti.

E, continuando a parafrasare i versi del Malte,bisogna saper aspettare,se i ricordi svaniscono, che tornino in noi tramutati in sangue, sguardo e gesto così che ci appartengano in modo eterno.

 

Il tempo ha dunque un ruolo fondamentale nel Malte così come in tutto l’Espressionismo.

Tutto ciò che viene vissuto da Malte è in trasformazione dentro se stesso,in continua metamorfosi. Come scrive Rilke nelle prime pagine del romanzo “Ho un luogo interno che non conoscevo.Ora tutto va a finire la, non so cosa vi accada”.

 

Anche lo spazio gioca quindi un ruolo molto importante.Le distanze permettono infatti di vedere le cose da prospettive diverse, così che il vicino e il lontano possano provocare visioni differenti di una stessa cosa,dandoci un senso di appartenenza o al contrario di distacco da essa.

Malte osserva la Luna lontana e piccola, e avverte come le cose a noi più vicine siano,infondo, le più distanti perchè ci vengono mostrate ma non offerte. Ciò che ha rapporto con gli spazi lontani ,come “...una carrozza d’un verde lucente sul Pont-Neuf” porta con se tutto di quegli spazi come se vi fosse dipinto sopra.

 

Dalla singola cosa che si osserva lo sguardo spazia, e assapora le immagini nella loro perfetta interezza.

La particolarità dell’opera espressionista sta però nel non soffermarsi su un singolo oggetto o su una singola entità.

Ogni volta che l’attenzione si focalizza su qualcosa è tale la tensione narrativa da farla quasi apparire il simbolo del racconto, ma immediatamente le parole tornano a fluire in un ritmo incessante e nessuna cosa può immobilizzarsi stabilmente.

 

La stessa mutevolezza che troviamo nel ritmo narrativo dell’espressionismo letterario è presente anche in quello dell’espressionismo musicale.

A rappresentare questo movimento sono gli appartenenti alla cosiddetta Scuola viennese: Schönberg, Berg e Webern.

 

I tre musicisti parteciparono alle attività del gruppo di pittori Der Blaue Reiter, e vi contribuirono con composizioni e, per quanto riguarda Schonberg, anche con un importante scritto sulla relazione tra musica e testo.

Questo sodalizio fece si che l’allontanamento dal dato naturalistico e dalla visione oggettiva della realtà nell’ambito della pittura e della letteratura conducesse la nuova musica al graduale abbandono della tonalità.

 

Schönberg parte da un cromatismo wagneriano, trascina ancora con se il lirismo di Mahler fino a voltare completamente le spalle all’armonia tradizionale.

Viene negata la presenza di una tonica cui gli altri suoni facessero riferimento, così da giungere alla eccezionalità di ognuno di loro.

 

Questa sorta di comunismo dei suoni è conosciuta col nome di Dodecafonia e l’aggettivo che le viene attribuito, respinto però dallo stesso Schoenberg, è atonale.

In questo periodo nascono i cinque pezzi op. 16 per orchestra all’interno dei quali si profila la Klangfarbenmelodie, ossia una svariata ricerca timbrica per mezzo dei continui avvicendamenti strumentali e delle trasformazioni melodiche.Ma mentre la melodia cambia e si evolve in cromatismi, l’accordo di base non muta e la configurazione degli intervalli armonici resta immobile.

 

L’impressione che si ha nell’ascoltarli è quella di un uomo che resta fermo e chiuso in se stesso ma raccoglie dentro se tutte le cose che vede e sente, e che sono dinanzi a lui in continuo movimento.L’accordo che non muta, accordo ovviamente dissonante, è il suono che giunge dal mondo interno del compositore, e le singole note che lo sovrastano, mutando in ritmo e timbrica, altro non sono che gli agenti esterni da lui stesso interiorizzati.

Capolavoro di allucinante espressività e carica emotiva è il Pierrot Lunaire op 21.Raccolta di 21 pezzi per pianoforte, flauto, clarinetto, violino violoncello.La sua particolarità sta nella recitazione cantata,Sprechgesang, di poesie di A.Giraud tradotte in tedesco. La voce non intona i suoni, ma li accenna, come lamenti sfumati ed oscilla in modo tale da rendere la recitazione una emanazione diretta del linguaggio interiore dell’artista.

 

Il Pierrot schönberghiano “grida alla luna la notturna disperazione di un incoscio terrore della natura”, a dimostrazione del fatto che solo l’artista ha in se la capacità di cogliere il dramma del mondo e di vivere in se il destino dell’umanità.

 

Per Schonberg non esiste che il rapporto dell’io con se stesso, e lo esaspera con un soggettivismo che fa da scudo all’imperante disordine sociale.

 

La solitudine individuale è il tema dominante di tutta l’opera di Schö nberg;l’angoscia dell’uomo deriva dall’incapacità a modificare la realtà esterna contro la quale continuamente cozza, e per evitare il doloroso scontro il soggetto tende ad isolarsi e a chiudersi in se stesso preferendo trasferire in se le esperienze e viverle nella propria interiorità.

 

Per quanto la tonalità e le rigide regole compositive della prassi musicale siano state eluse, e per quanto sia arduo entrare nell’ottica della continuità e del filo conduttore in questo genere di musica, la forma non è per nulla stata abbandonata. L’impiego di forme del passato non viene smentito neppure nei suoi ultimi lavori, cosicchè la presenza dodecafonica all’interno di una Suite appare contraddittoria e provocatoria.

Il linguaggio musicale non è quindi distaccato dal passato, ne lo rifiuta; vive anzi come sua evoluzione e trasformazione in direzione dell’avvenire.

 

La Verklärte Nacht,composizione giovanile datata 1899,scritta per sestetto e successivamente trascritta per orchestra d’archi rimanda ai modelli dei Poemi Sinfonici. Deve infatti il suo titolo ad una poesia di Richard Dehmel, in cui due amanti dialogano in una fredda e tersa notte sull’impossibilità di appartenersi poiché lei è già sposata con un uomo che non ama.

Il linguaggio musicale è a volte teso a volte rilassato, mentre le relazioni tonali e la timbrica  regalano magici giochi sonori di struggente intensità.

La musica,come disse lo stesso compositore,”non illustra nessuna azione ne dramma,ma si limita a descrivere la natura e ad esprimere sentimenti umani.

 

Sono molti, quindi, i punti in comune tra l’opera letteraria rilkiana e le composizioni musicali di Schönberg.

 

Abbiamo già lungamente parlato della neccessita, comune a tutti gli espressionisti, di alienarsi dal mondo, conservando in se le esperienze di vita per interiorizzarle e riesprimerle sotto forma d’arte.

Il mondo soggettivo di Rilke è descritto dalla deformità delle sue visioni, dalla struttura frammentaria del racconto e dal continuo mutamento di tensione narrativa e di luoghi.

Così, musicalmente, la mancanza di un appoggio tonale da l’idea del sogno, appannato e lento, ma con improvvisi momenti di forza sonora e cromatismi su accordi dissonanti che danno la sensazione del sospeso.

La stessa frammentarietà del Malte, in cui però ogni parte ha un tema, può essere inoltre accostata alla brevità dei poemetti che compongono il Pierrot Lunaire e che rappresentano innumerevoli situazioni espressive.

Nonostante ciò,la ricerca di un’unità formale appartiene ad ambo gli artisti.

Anche lo spazio ricopre un ruolo comune.

 

In Schönberg i suoni si susseguono, a volte,in uno spazio il più possibile ridotto ed esaltano il gesto espressivo con intervalli di settima e nona,veri e propri salti sonori, ma anche con cromatismi che toccano fuggevolmente ogni singola nota.

La lettura di una pagina del Malte,con continui cambiamenti emotivi,,passaggi dal trasognato al lucido, ambientazioni esterne ed interne, ricorda molto da vicino una partirura della Nuova Musica; lo spezzarsi di linee melodiche in sussulti e scatti, gli improvvisi momenti vocalici di malinconia e tristezza fino ad arrivare al più puro e semlice Sprechgesang. Un alternarsi di leggerezza e tensione, di peso e piuma che nel Malte è caratterizzanto dalla ricorrente coppia di contrari Leicht und Schwer.

 

Leggero è per Rilke il passo dell’uomo che “sorrideva a tutto”, incontrato in una mattina autunnale sugli Champs-Elysées;pesante il sonno umido delle cameriere di Ulsgaard.

La continua ricerca espressionista è volta a cercare le parole esatte per descrivere le cose come le si sentono e non solo come le si vedono.

Descrivere però, vuol dire spesso svuotare le cose della propria anima e renderle fisse ed immobili.

Ma i suoni e le parole sono rielaborazioni interiori dell’artista che dentro di se compie una sorta di processo alchemico fondendo momenti, sensazioni ed esperienze e trasformandoli in materia sonora o poetica.

Questa materia è sempre pronta a scindersi in piccoli atomi che reclamano la loro unicità pur non negando l’appartenenza al Tutto.

Le magie sonore e gli scambi timbrici della musica schönbergheriana, riportano al linguaggio chimico ed alchemico che permea il Malte.

 

Esemplari sono l’uso di verbi  come Auflösen, corrispondente al latino Solvere,.Sta ad indicare la fase alchemica del solve et coagula in cui il materiale viene separato in residui ed elemento volatile.

Durante questa fase il bianco sembra prevalere sul nero, così come la bianchezza del fantasma di Christine Brahe annienta il Maggiore, il cui volto è bruno e i cui capelli sono grigi.

Anche la fase della volatilizzazione è simboleggiata dal sedersi, privo di volontà e consapevolezza, dei  commensali “..ognuno di noi era come un posto vuoto”.

 

Nell’ultima parte del Malte, Rilke intona un tema a se molto caro,e presente, in seguito,anche nelle Duineser Elegien.

Si tratta della contrapposizione tra amati ed amanti.La sfortuna degli amati è quella di ampliare, con l’unione, la loro solitudine, e di spezzare il desiderio, di seppellirlo.

Fin quando si è amanti l’amore è una direzione, ed il fine è sempre e comunque l’attesa ed il desiderio; ma quando si è amati l’amore è un oggetto e si è oggetti dell’amore. Alla fine del manoscritto Rilke scriveva. "Essere amati significa ardere e consumarsi.Amare è: illuminare con olio inesauribile. Divenire amati è passare, amare è durare".

 

La donna che nella Verklärte Nacht di Schönberg dialoga col suo amante vorrebbe certo fuggire dall’amore ormai consumato per il marito , ed evadere quindi dalla sua condizione di amata.

Ma quando e se avesse potuto gettarsi in maniera incondizionata tra le braccia del suo amante, non sarebbe divenuta ai suoi occhi un’amata? Non sarebbe forse stata abbandonata?

 

In Erwartung op.17, monodramma per soprano ed orchestra (su testo della psicanalista Maria Pappenheim), una donna attende a lungo il suo uomo, ma finisce per trovarlo cadavere in un bosco.

Qui il tema dell’ amore e dell’attesa che amplifica il desiderio è bruscamente interrotto dalla morte.

 

Stavolta non viene data neanche la possibilità a questi amanti di divenire amati, ma la fine terrena della vita di uno dei due impedisce anche che la passione, l’olio inesauribile, continui a bruciare.

 

Trasferire in un verso o su di un pentagramma sentimenti così inquietanti e distruttivi come quello della morte, o inappagati e ardenti come quelli di un amante: questa è la prova cui Rilke e Schönberg si sono sottoposti.

Nei loro sforzi si riconosce la necessita di dare forma concreta al loro mondo interiore, ma anche la consapevolezza di un limite invalicabile che avrebbe ceduto solo al silenzio.

 

Forse è per questo che, in una pagina del Malte, uno dei più grandi geni musicali di tutti i tempi, Beethoven, è stato descritto così: “...colui al quale un Dio ha chiuso l’udito affinchè non ci fossero più suoni che i suoi (...), affinchè solo i sensi senza suono gli calassero dentro un mondo, senza suono, un mondo teso, che attende, non ancora maturo, prima della creazione del suono”.

 



 

 

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