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N. 140 - Agosto 2019 (CLXXI)

SULla scuola, dagli anni sessanta a oggi

provvedimenti e iter nelle scuole statali italiane

di Giovanna D'Arbitrio

 

 L’ignoranza è forza

G. Orwell

 

Viene in mente il suddetto slogan del Grande Fratello, personaggio immaginario creato da George Orwell nel suo libro 1984, costatando una crescente ignoranza “globalizzata” che sembra guidare l’ottundimento mentale di masse incapaci di comprendere i pericoli che minacciano l’Umanità, masse che sempre più si affidano a politici privi di spessore culturale ed etico.

 

Il fenomeno ovviamente investe anche l’Italia, in modo forse anche più grave in questo particolare momento storico. E poiché una parte degli italiani addebita la crescente decadenza della Scuola Statale alla Rivoluzione Giovanile del ‘68, sarebbe utile riepilogare l’iter della scuola statale, iniziando in particolare dagli anni ‘60-’70 con l’obiettivo di evidenziarne diversi lati positivi cancellati poi dalle riforme di governi successivi che gradualmente hanno apportato pesanti tagli all’Istruzione col risultato di contribuire all’odierna dilagante ignoranza.

 

Ritornando quindi agli anni ‘60, a partire dal 1962, evidenziamo che la legge N. 1859 istituì la Scuola Media Unica Obbligatoria e gratuita dagli 11 ai 14 anni, abolendo la Scuola Media di Avviamento professionale (di durata triennale, risalente alla Riforma Gentile del 1923) che prevalentemente favoriva l’inserimento nel mondo del lavoro.

 

Nel 1964 poi la legge N. 719 stabilì fornitura gratuita di libri di testo per elementari, mentre nel 1968 con la legge N. 444 venne istituita la Scuola Materna Statale di durata triennale.

 

La Scuola Media Unica, purtroppo, evidenziò gravi problemi per notevole aumento degli iscritti, mentre Don Lorenzo Milani sottolineava l’inutilità di bocciature ripetute più volte per carenti strategie di recupero, emarginazione culturale e sociale, da diverse parti della società arrivava la denuncia di incapacità a offrire istruzione, formazione, educazione per problemi legati a classi sovraffollate, doppi e tripli turni giornalieri per mancanza di edifici scolastici, programmi vecchi e inadeguati a un numero crescente di alunni con accentuato divario culturale nelle platee scolastiche per la presenza di diverse classi sociali.

 

Il tentativo di recuperare un corretto rapporto tra scuola e società si concretizzò alla fine con la legge 30 luglio 1973 n. 477, la cosiddetta “Legge Delega”. Il quadro complessivo del rinnovamento passò attraverso 5 D.P.R. (Decreti Delegati), ciascuno destinato a stabilire le nuove norme su un diverso settore: 1) decreto del presidente della Repubblica 31 maggio 1974 n. 416 su “istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna, elementare, secondaria e artistica”; 2) DPR 31 maggio 1974 n. 417 su “norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato”; 3) DPR 31 maggio 1974 n. 418 su “corresponsione di un compenso per lavoro straordinario al personale ispettivo e direttivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica”; 4) DPR 31 maggio 1974 n. 419 su “sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale e istituzione dei relativi istituti”; 5) DPR 31 maggio 1974 n. 420 su “norme sullo stato giuridico del personale non insegnante statale della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato”.

 

Il DPR 416 istituiva una serie di organi collegiali, attraverso tre tipi di organismi: 1) quelli di base, dai consigli di classe e di interclasse al collegio docenti, al comitato per la valutazione del servizio degli insegnanti, ai consigli di disciplina degli studenti medi; 2) quelli a livello di singola scuola, come consiglio di circolo per le elementari e consiglio di istituto per le secondarie; 3) quelli territoriali, come consiglio scolastico distrettuale, consiglio scolastico provinciale, consiglio nazionale della pubblica istruzione.

 

Gli organi collegiali erano, ad eccezione del collegio dei docenti e dei consigli di classe, almeno in parte elettivi, con la presenza di rappresentanti di genitori nei consigli di classe e di interclasse, nei consigli di circolo e di istituto, nei consigli scolastici distrettuali e provinciali, rappresentanti del mondo del lavoro, dell’associazionismo culturale e degli enti locali. Per la prima volta, negli istituti superiori compaiono anche gli studenti.

 

Il DPR 417 affermava che ai docenti era garantita la libertà d’insegnamento, intesa come dialogo e confronto aperto tra posizioni culturali per promuovere la piena formazione della personalità degli alunni, nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni stessi. L’ultimo capoverso rispecchia soprattutto le preoccupazioni dei genitori di area cattolica. La novità fondamentale consisteva nel nuovo profilo del docente che oltre al dialogo educativo con l’alunno, doveva svolgere il suo ruolo anche in un contesto sociale: partecipazione agli incontri con i genitori, riunioni degli organi collegiali, collaborazione a iniziative educative della scuola che implicavano un continuo aggiornamento culturale e professionale.

 

Il DPR 419 poneva le basi di un rinnovamento didattico e strutturale della scuola ancora in gran parte legata alla riforma Gentile (1923), soprattutto per gli istituti superiori. I suoi obiettivi erano nuovi criteri per sperimentazione e aggiornamento culturale e professionale.

 

Si prevedevano due livelli di sperimentazione: 1) l’art. 2 regolava la sperimentazione didattica, che poteva essere autorizzata dal collegio dei docenti; 2) l’art. 3 riguardava gli aspetti della sperimentazione a livello di ordinamenti e strutture. Essa poteva essere attuata da programmi nazionali, ma anche nascere “dal basso”, dalle proposte dei collegi dei docenti o da altri organi collegiali ed essere approvate poi dal Ministero della Pubblica Istruzione.   

 

Dal DPR 419 scaturirono leggi successive come la 517/77 che regolava l’inserimento degli alunni portatori di handicap e nel 1979 i nuovi programmi della scuola media con forte accento sul carattere formativo e orientativo. L’altro aspetto normativo nel DPR 419 è l’aggiornamento culturale e professionale. Fondamentale è l’affermazione dell’aggiornamento come diritto-dovere (art. 7), inteso non solo come risposta a iniziative promosse dall’alto, ma anche come autoaggiornamento.

 

Per supportare la scuola nel rinnovamento si istituirono pertanto gli Istituti Regionali di Ricerca, Sperimentazione e Aggiornamento Educativi (gli IRRSAE, oggi IRRE). I loro compiti erano di promuovere la sperimentazione e l’aggiornamento, di condurre ricerche in campo educativo, di raccogliere, elaborare e diffondere la documentazione pedagogico-didattica e di offrire consulenza tecnica.

 

Al di là delle valutazioni negative che furono date sui limiti presenti nel Decreti Delegati da parte di chi voleva mettere in evidenza l’esiguità dei risultati rispetto alle aspettative di un vasto movimento che puntava al rinnovamento della società, si può senz’altro riconoscere che essi coinvolsero e misero in movimento forze consistenti intorno al tema di una nuova scuola, con iniziative degli organi collegiali che produssero anche risultati insperati (ad esempio alle battaglie culturali sui libri di testo e sulle biblioteche di classe).

 

Con il continuo mutare del quadro socio-politico generale, si indebolì l’entusiasmo che inizialmente aveva fatto superare tante difficoltà e anche gli organi collegiali assunsero sempre più un carattere burocratico. I Decreti Delegati subirono nel corso degli anni alcune modifiche legislative e con il Decreto Legislativo n. 297 del 16.04.1994 furono assorbiti nel nuovo Testo Unico della legislazione scolastica.

 

Queste in breve le riforme dei “famigerati” anni ‘60 e ‘70: non furono certo cattive riforme, almeno nelle intenzioni, ma poi cosa ne abbiamo fatto negli anni successivi?

 

Basta dare uno sguardo ai dati ISTAT e OCSE: analfabetismo ancora non debellato, dispersione scolastica in aumento, decrescente numero diplomati e laureati, insegnanti con gli stipendi più bassi d’Europa, scuole che crollano addosso agli alunni, cervelli in fuga dall’Italia.

 

E se riprendiamo il discorso dagli anni ‘80 a oggi rileviamo che costanti e pesanti tagli furono apportati da tutti i governi.

 

Ecco quanto si legge sul Manifesto nel 2013: «Dieci miliardi di tagli al bilancio di scuola e università tra il 2008 e il 2012. Otto miliardi e cinquecento milioni di tagli alla scuola (il 10,4 per cento del budget complessivo) e 1,3 miliardi di euro all’università (su un totale di 7,4 miliardi nel 2007, 9,2%), per la precisione. A tanto ammonta il salasso delle politiche dell’austerità volute dall’ex ministro dell’Economia Tremonti per rispondere all’imperativo del pareggio di bilancio. Questo tesoro espropriato all’istruzione è servito a finanziare i “capitani coraggiosi” che, secondo Berlusconi, avrebbero salvato l’Alitalia dall’acquisizione di Air France. Cosa avvenuta anni dopo. I francesi hanno già in mano il 25% della compagnia di bandiera che barcollerà ancora pochi mesi sull’orlo del fallimento. Per i tre anni e mezzo di governo Berlusconi il taglieggiamento operato da Tremonti è stato nascosto sull’altare dell’onor di patria, oppure nascosto dietro i fumogeni della meritocrazia o della riduzione degli sprechi sbandierati lanciati dall’ex ministro Gelmini. L’idea di finanziare il default delle aziende di stato decotte, insieme a quella di sostenere l’”austerità espansiva” (i tagli alla spesa pubblica per investimenti sono “risparmi” che finanziano la crescita) è stata sostenuta anche dal governo Monti che non è riuscito a salvare l’ultima tranche di 300 milioni di euro di tagli dall’ultima legge di stabilità. Decisione che oggi mette a rischio la sopravvivenza di 20 atenei, vissuta però come il naturale decorso di una malattia incurabile».

 

Alla fine degli anni ‘90 il ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer (Governo Prodi), cominciò a parlare di Scuola Azienda introducendo riforme che rivoluzionarono la Scuola Statale.

 

Ci dispiace costatare che tali iniziative partirono proprio da un governo di sinistra che applicò alla scuola gli stessi criteri imposti alle aziende per ridurre i costi con i noti slogan Lean and Mean, Less is More: fusioni, tagli sul personale, aumento della precarietà, flessibilità, mobilità, non stipendi adeguati ma verticalizzazioni del personale (ad esempio “funzioni obiettivo”, cioè insegnanti con particolari incarichi) quindi contrasti e tensioni per accaparramento di posizioni e progetti, lotte intestine per guadagnare qualche soldo in più.

 

Alla cosiddetta autonomia scolastica con consequenziale supporto economico dello Stato, tra l’altro potevano aspirare solo le scuole statali con 500 alunni, pena l’accorpamento a un altro istituto. Ovviamente per non correre tale rischio i presidi accettarono molte iscrizioni, arrivando anche fino a 600 alunni, con classi sovraffollate in cui venivano penalizzati soprattutto gli allievi più deboli.

 

E così alla fine oggi siamo arrivati agli Istituti Comprensivi, sempre guidati dalla logica del risparmio e dei tagli sulla pelle degli alunni. In effetti un istituto comprensivo consente un grande riduzione dei costi, poiché esso consiste un complesso scolastico all’interno del quale coesistono più gradi di istruzione, quali, ad esempio, scuola materna, elementare e media, tutte raggruppato in un unico complesso, con una sola presidenza, un solo consiglio d’istituto, un collegio dei docenti unitario e un esiguo personale ATA.

 

Già alla fine degli anni ‘90 la “scuola azienda” suscitò critiche, proteste e inquietanti domande.

 

La scuola può essere considerata un’azienda, dal momento che non si occupa di merci ma di esseri umani? L’introduzione di sponsor cosa pretenderanno in cambio del loro denaro? Potranno modificare il POF (Piano dell’Offerta Formativa)? Si perderà la libertà di insegnamento? I presidi saranno in grado di trasformarsi in manager?

 

Con la riforma del Governo Renzi, definita la Buona Scuola, più o meno si ripropose tutto ciò. A dire il vero, inizialmente era sembrata molto positiva l’intenzione di risolvere urgenti problemi della scuola statale (in particolare edilizia scolastica e precariato), eppure sentendo parlare di nuovo di scuola-azienda, presidi-manager, verticalizzazione del personale, intervento di sponsor, ci sembrò che tale riforma fosse l’edizione “riveduta e corretta” di quella di Luigi Berlinguer e, in aggiunta, con essa si regalò ai dirigenti scolastici più potere, con la facoltà di scegliersi i docenti: non si sa ancora con quali criteri e se ci sarà almeno un controllo per garantire correttezza ed equità.

 

È evidente che la scuola statale ora è allo stremo, duramente provata da continue riforme che hanno creato un clima di instabilità, nervosismo e grave disagio anche negli alunni, Dopo il già citato Berlinguer, vari governi hanno di volta in volta nominato nuovi ministri della Pubblica Istruzione (De Mauro, Moratti, Fioroni, Gelmini, Profumo, Carrozza, Giannini, ecc.) e… naturalmente, ognuno ha preteso di cambiare qualcosa.

 

Davvero difficile seguire i più deboli in “classi pollaio” e in scuole fatiscenti! E mentre in alcune scuole con enorme spreco di denaro aumentano sempre più computer, lavagne e registri elettronici che molti docenti anziani non sanno nemmeno usare, in altre scarseggiano sedie, banchi e perfino carta igienica.

 

E che dire dei Test “Invalsi”? Non tutti sanno che sulla scheda di ciascun alunno c’è un codice a barre.

 

La prima volta che lo vidi, provai uno strano malessere mentre davanti ai miei occhi di insegnante sfilavano le schede, come le merci sul nastro scorrevole di un supermercato, registrate dalla cassa col codice a barre. Tutti schedati!

 

Immaginai i grandi data base, moderni mostri, mentre ingoiavano i dati dei miei amati alunni, soprattutto di quelli più deboli, i portatori di handicap, quelli meno intelligenti, gli svantaggiati, i figli degli immigrati e così via.

 

Un sistema senz’altro inadeguato ad approfondire i numerosi e complessi problemi degli alunni esseri umani dotati di capacità non sempre misurabili e per di più suscettibili di continui cambiamenti. Perché allora imprimere un “marchio” indelebile su creature che potrebbero migliorare in futuro?

 

E passiamo ora ai registri elettronici: introdotti già in molte scuole, reclamizzati per celerità, maggiore efficienza, risparmio, trasparenza, cooperazione scuola-famiglia, per convincere docenti, genitori e alunni sull’utilità di adottare le nuove tecnologie digitali che sostituiranno anche nelle segreterie documenti cartacei, raccoglitori d’archivio, timbri e quant’altro.

 

Voti, giudizi, presenze e assenze degli alunni viaggeranno in rete col registro elettronico, una sorta di “Grande Fratello” di orwelliana memoria, che informerà i genitori tempestivamente su risultati scolastici e comportamenti dei figli: scrutini, certificati, scambi di dati tra le varie scuole, saranno online.

 

Nell’ambito del Sistema Pubblico di Connettività i dati saranno resi accessibili a soggetti pubblici addetti a compiti istituzionali, con diritto quindi all’accesso e invio di documenti, a effettuare pagamenti, a ottenere moduli e formulari aggiornati, posta elettronica certificata, firma digitale ecc...

 

I progressi tecnologici digitali, insomma, possono offrire al cittadino una pubblica amministrazione più efficiente e produttiva e, pertanto, sembra logico introdurre tali strumenti anche nelle scuole che potranno raccogliere tutti i dati relativi ad alunni (e insegnanti) in fascicoli elettronici comunicando alle famiglie e agli utenti interessati come accedervi, secondo la legge L.241/90 sulla trasparenza.

 

Pare che la privacy sia garantita all’interno di un vero e proprio Codice dell’Amministrazione Digitale, una sorta di Costituzione con diversi articoli su diritti e doveri. E qui cominciano i dubbi, poiché questa valanga di dati comunque finisce in un database e, come ormai tutti sanno, per hackers ed esperti in materia nessuna password o sistema criptato può rappresentare un ostacolo insormontabile. Oggi poi i giovani ne sanno più degli adulti in tal campo. Basti pensare all’inventore di Facebook, Mark Zuckerberg.

 

Con una certa apprensione di nuovo ci chiediamo, come per i Test Invalsi, cosa avverrà a quei ragazzi che hanno gravi problemi a livello fisico e psichico o caratteriale, svantaggiati, dei quartieri a rischio, alunni che di solito non fanno registrare risultati scolastici brillanti.

 

Cosa ne sarà di tali dati quando questi giovani dovranno inserirsi nel mondo del lavoro? E cosa accadrà anche a tutti i ragazzi che oggi non sono bravi a scuola, ma che potrebbero evidenziare notevoli progressi o altre capacità dopo aver concluso i loro studi?

 

Se Einstein, alunno mediocre, fosse nato in quest’epoca, sarebbe diventato un grande scienziato comunque, o sarebbe stato bloccato dai suoi scarsi risultati scolastici inseriti in un computer? Come sarà gestito il curriculum di ogni alunno e da chi?

 

Questo è un importante punto che deve essere chiarito. Il sistema digitale potrebbe forse essere uno strumento valido solo se limitato a normali operazioni amministrative, non certo esteso a informazioni che potrebbero ledere alunni e famiglie. Ci dispiace infine che ancora una volta i rapporti umani vengano sacrificati in nome dell’efficienza e della celerità.

 

Possibile che un genitore non abbia qualche ora di tempo da dedicare a suo figlio per parlare con gli insegnanti? Stabilire un rapporto scuola-famiglia dovrebbe essere un prioritario obiettivo educativo proprio per la “crescita spirituale”, non solo “scolastica”, dei ragazzi che sono persone, non macchine controllabili con altre macchine.

 

Pensiamo pertanto che Cultura, Democrazia, Libertà siano senz’altro tappe inscindibili di un percorso verso un livello evolutivo più alto dell’Umanità. Il punto di partenza è senza dubbio la “Cultura” che non è soltanto istruzione, cioè acquisizione di conoscenze in varie discipline, ma anche Educazione, intesa nel senso più alto come la socratica ars maieutica (arte della levatrice), ovvero abilità educativa nel “far venire alla luce” conoscenza e verità attraverso il dialogo docente-discente, favorendo un processo di crescita spirituale.  



 

 

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