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N. 110 - Febbraio 2017 (CXLI)

UN PRESIDENTE DI NOME EDITH
il DECISIVO ruolo della consorte di Woodrow Wilson

di Giovanni Confalonieri

 

Gennaio 1919: le nazioni europee che hanno vinto la Grande Guerra accolgono trionfalmente il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson. Approfitta della conferenza di Versailles sulla pace per illustrare il suo progetto: creare la Società delle Nazioni. A quelli che si entusiasmano per una visione di un nuovo ordine mondiale dove regnerà pace e sicurezza, si contrappone chi lo ritiene un inguaribile sognatore. Ma c’è anche chi è convinto che abbia superato la soglia che divide il sogno dalla realtà, che sia qualcosa di più di un idealista. Cale Carr, in Terrorismo (Mondadori), sostiene che Wilson è animato da una «criminosa, narcisistica volontà di sacrificare pressoché ogni principio a causa del proprio Gral personale».

 

In effetti farà imporre alla sconfitta Germania condizioni di pace così umilianti da accendere i fuochi della rivalsa.

 

«Alla fine…», prosegue Carr «quella Società delle Nazioni per cui aveva venduto a Versailles non solo la propria anima ma quella di milioni di altri veniva spogliata dal senato americano che rifiuterà di mitigare l’autorità militare abbastanza da rendere possibile l’ingresso nel nuovo organismo».

 

È abituato agli applausi di benevoli amici, non sa che a Parigi lo aspetta uno spietato nemico. Nella notte del primo inverno dopo la Grande Guerra, il dottor José Germain mentre sistema alcune cartelle nella clinica del suo maestro, lo psichiatra spagnolo Alajuanine, è chiamato da due assistenti. Hanno ricoverato un uomo nudo che vagava sul lungo Senna urlando: «Sono il presidente degli Stati Uniti».

 

LA CONGIURA DEL SILENZIO

 

Woodrow Wilson si è distinto in ogni campo: accademico, sociale, politico. Rettore a Princeton, governatore del New Jersey, conquista la Casa Bianca nel 1912 garantendo che “il suo paese non avrebbe mai più tentato di annettersi un solo metro di un territorio altrui con la forza”. Lo rieleggono nel 1916 perché “ci ha tenuti fuori dalla guerra”.

 

Il mondo vive giorni difficili, l’America ha bisogno di un capo lucido e lungimirante. Fino ad allora Woodrow Wilson lo è stato. Ha fatto introdurre la legge sul proibizionismo, il voto alle donne, la giornata lavorativa di otto ore, il sostegno ai sindacati, all’agricoltura, alla causa della giustizia sociale. Ora non è più in grado di esercitare il suo ruolo.

 

Quando scende dal treno presidenziale che lo porta in vari stati americani per spiegare agli elettori il trattato di Versailles, lo sguardo vaga nel vuoto, non sa quello che dice, non riconosce gli interlocutori, ripete le stesse frasi.

 

Ha un collasso e tre giorni dopo, rientrato alla Casa Bianca, un ictus lo lascia emiplegico. Scatta la congiura del silenzio: nessuno deve sapere che il presidente, che resta in carica fino al 4 marzo 1921, è infermo. Il controllo dell’esecutivo, le iniziative governative e legislative, gli affari di Stato passano nelle mani della moglie.

 

IL PRESIDENTE SEGRETO

 

Edith Bolling Galt Wilson non ha percorsi scolastici o universitari di rilievo ma è una donna scaltra, risoluta e intelligente. Vedova dell’industriale Norman Galt sa scegliere un abile amministratore che le moltiplica il patrimonio. Incontra Wilson, anche lui vedovo, e lo convince a sposarla nel 1915. La coppia ha giorni sereni fino a quando l’arteriosclerosi e l’ictus irrompono nella vita di Wilson. Da quel momento Edith diventa a tutti gli effetti il “Presidente segreto”.

 

Il ruolo le piace e lo esercita con determinazione e senza clamore.

 

In Denial of presidential Disability: A Case Study of Woodrow Wilson di Edwin A. Weinstein c’è la descrizione di quello che succede alla Casa Bianca con il Presidente sulla sedia a rotelle e la moglie sulla sedia del potere.

 

Nella Storia degli Stati Uniti d’America (Bompiani) di Maldwyn A. Jones, ricostruzione di vicende sociali e politiche con centinaia di pagine, a Edith Bolling Galt Wilson non viene dedicata neppure una riga mentre la malattia del marito è appena accennata.

 

LA FIRST LADY DI FERRO

 

Senza mandato popolare Madame Edith decide quali dossier vanno presi in considerazione e suggerisce comportamenti e decisioni.

 

Nell’autobiografico In my memory confessa che il ruolo di «assistente e consigliera» gliel’avevano sollecitato i medici della Casa Bianca.

 

Nei due anni in cui Edith Bolling governa il paese, deve affrontare difficoltà quotidiane.

L’allarme per il “terrore rosso”, il successo della rivoluzione bolscevica, alimenta il timore di una minaccia esterna, gli scioperi sono ritenuti avvisaglie della rivoluzione.

Congresso e assemblea legislativa di New York mettono al bando esponenti che professano idee di sinistra.

 

Trentadue stati emanano leggi che proibiscono di appartenere ai sindacati. Wilson firma, anche se non decide; penna e idee gliele porge la moglie. C’era il problema dei diritti della gente di colore che non intendevano sopportare ancora discriminazioni sul lavoro, in campo politico, assistenziale, sociale. Li avevano mandati a combattere in paesi dove schiavitù e intolleranza non esistevano. Chiedevano al Presidente di intervenire.

 

Scoppiano disordini, i più gravi si verificarono a Chicago.

 

Agli scioperi dei minatori, Wilson, o meglio la “presidente Edith”, fa schierare truppe federali per proteggere i crumiri e contemporaneamente condanna l’astensione dal lavoro dei poliziotti di Boston definendo il loro comportamento “un crimine contro l’umanità”.

 

Edith Bolling Galt Wilson, vedova di un ricco uomo d’affari, ha una naturale simpatia per il mondo della finanza. Appoggia la scarsa determinazione con la quale il Ministro della Giustizia inizia azioni legali contro le concentrazioni industriali.

 

Non firmò leggi e decreti a nome Woodrow Wilson ma la sua mano c’è sui documenti che cambiarono il volto all’America. Tre anni dopo la fine del mandato, quando Wilson muore, lei gli è accanto, premurosa e partecipe come al solito.

 

Tempo dopo, le chiedono di aprire la parata inaugurale del presidente John F. Kennedy. Prima si schernisce poi accetta e si mette alla testa del corteo. Conosceva bene quella posizione perché era abituata a guidare i Presidenti.



 

 

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