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N. 7 - Luglio 2008 (XXXVIII)

un ponte sulla memoria

se la sicilia è un'isola

di Matteo Liberti

 

Al di là dei pro e dei contro che ne deriverebbero da un punto di vista economico e sociale. Al di là di giudizi etici o viziati da un approccio ideologico. Al di là degli interessi personali e delle zone d’ombra che vi possono essere dietro. E al di là pure di qualsiasi giudizio estetico, emotivo o vagamente artistico che si possa dare dell’opera architettonica in sé: al di là, o meglio prima di tutto ciò, vi è un aspetto legato alla costruzione prossima (se sarà) del Ponte sullo Stretto su cui è forse importante spendere due parole. L’aspetto in questione è un concetto, quello che per consuetudine intendiamo definito dalla parola memoria.

 

La memoria di un luogo è legata, come ormai riconosciuto da ogni storiografia che si rispetti, non solo ai grandi eventi che lì hanno avuto luogo, ma anche, e forse soprattutto, alle piccole dinamiche che quotidianamente, in quello spazio sincronico che corre silenzioso alle spalle della diacronia apparente del processo storico, vi si svolgono, sublimando ogni giorno il proprio ciclico destino. A queste dinamiche concorrono gli uomini, concorre la natura che li ospita, concorrono i rapporti che si instaurano con il territorio.

 

Tutto questo definisce, grossomodo, quel che si usa appellare paesaggio. E ogni paesaggio porta addosso, meglio di ogni cronistoria, i segni del tempo e della Storia: quel che per ogni buon archeologo è cosa data per scontata (la ricostruzione della storia anche attraverso le piccole cose), pare esser misconosciuta ad altri. Il paesaggio. Il luogo. Il territorio. Concetti che concetti non sono, trattandosi della base vitale per ognuno che su questo pianeta abbia trascorso un giorno o cento anni.

 

Ulisse tornava nella sua Itaca, così come Ettore difendeva la sua Troia. Luoghi composti da sottoluoghi: un albero, un particolare muro, una particolare ansa di un fiume. è tra queste immagini che la memoria si sviluppa. La bellezza riconosciuta di un luogo come la campagna toscana, simbolo per il mondo di dolci colline, di colorati terreni, di tipici muretti a secco, è la bellezza di un luogo che si è composto in un continuo scambio tra uomo e natura, ogni giorno. E questo vale ovunque. Per chiunque. La nostra camera di quando eravamo bambini è la nostra camera. Che poi vi possa essere la gioiosa celebrazione del cambiamento, l’ebbrezza dell’incontro con nuove possibili memorie, l’esperienza dell’ignoto, è fuori discussione. A Parigi negli anni ‘70 accolsero a malincuore, accettarono con sospetto e poi ostentarono con vanto il nuovo arrivato Centre Pompidou, così come altrove si va fieri di lunghi e immani ponti, simbolo di congiungimento dei luoghi, simbolo d’incontro e di modernità, se non di avanguardia architettonica.

 

Dall’America al Giappone, così van le cose. Dall’America al Giappone, hanno però memorie diverse dalla nostra. Qui, anzi lì, tra quelle sponde già violentate da abusivismi di ogni genere, lì dove soffiano i venti e dove gli uccelli di passo segnano da millenni il loro percorso più che altrove, dove le balene transitano e dove le correnti rimandano al Mito: un ponte, opera umana posta sul paesaggio e sulla Storia, quanta memoria uccide, lì, se ne uccide? E se così fosse, val la pena, per l’umana gloria, boria, seppellire qualcosa che sopravvisse per secoli, all’uomo o a Gaia appartenente, del Tempo o di Dio, lì, dove cent’anni fa un terremoto già la morte fece trionfare? Lì, tra le coste che furono di Scilla e Cariddi, un ponte che ruolo assumerebbe, nei confronti della memoria?

 

L’attraversamento dello Stretto di Messina ha da sempre presentato notevoli difficoltà, a volte reali e a volte presunte, rappresentando, nella storia, un valore simbolico: quello del superamento del noto in direzione dell’ignoto. Quelle acque così apparentemente ostili ospitavano, nel mito d’origine greca, una creatura chiamata Cariddi, figlia di Poseidone e trasformata da Zeus in mostro marino. Questa era nota per la sua voracità, così come eran noti per la loro forza i tanti vortici marini che, lungo lo Stretto, ostacolavano il transito delle imbarcazioni, a volte inghiottendole. Anche Ulisse, nel suo passaggio attraverso lo Stretto, non fu risparmiato dalla fame di Cariddi, dalla quale fu prima risucchiato e poi vomitato via.

 

La grotta della creatura aveva sede nei pressi della costa siciliana, mentre sulla sponda opposta vi era la dimora di un’altra mostruosità: Scilla. Un tempo splendida ninfa, Scilla divenne un mostro per vie che le leggende raccontano in maniera diversa. Quel che racconta Omero nell’Odissea è che della giovane si innamorò un giorno Glauco, rifiutando l’amore della maga Circe. Costei, per vendetta, avrebbe quindi trasformato il corpo di Scilla, facendone un mostro dal cui bacino spuntavano teste di cane.

 

I due mostri hanno sempre circondato le leggende fiorite attorno a questo luogo, minaccioso e impervio, ma anche affascinante e seducente. Non è un caso che lo stesso Ulisse vi dovette resistere, prima che alle violenze di Scilla e Cariddi, alla tentazione del canto delle sirene. Quel che accadde poi, fu che al mito si sostituì la Storia, e questa vide sorgere un ecosistema unico al mondo, proprio tra le acque dello Stretto, dove specie animali e vegetali uniche nel Mediterraneo hanno il loro habitat, e vide poi il più alto numero di uccelli transitare sopra quello specchio d’acqua, di ritorno dall’Africa o in partenza, e tutto ciò è memoria che rischia di diventare oblio, così come per la vicende umane: si è detto di piccole cose, piccole strutture che più non vi sarebbero, a scapito di un sola e imponente… si è detto del pericolo e della suggestione che queste acque hanno da sempre suggerito agli uomini… e va detto che queste sponde, questo retum Siculum nei pressi del quale presero dimora romani e bizantini, arabi e normanni, ancora oggi, definisce il concetto basilare della Sicilia: l’essere un’isola.

 

Se non per la parte calabrese, che attaccata allo stivale lo è da sempre, per la parte siciliana vi è un luogo della memoria unico: l’essere in mezzo al mare. Colmare un spazio geografico significherebbe eliminare una peculiarità, metafisica ancor prima che geografica, che nessun umano progresso potrà sopperire: la magia della scoperta, dell’arrivo nel luogo isola, nel luogo Sicilia, il raggiungimento, passato il Mito, di quello che da Federico II in poi è da molti considerato il cuore del Mediterraneo.

 

Raggiungere, ottenere, arrivare a… Gli stessi motivi per cui un ponte andrebbe a braccetto con un’idea di progresso, di velocità, son quelli che dovrebbero far lasciare le cose come son sempre state, e che un’isola resti un’isola.

 

Il filosofo Manlio Sgalambro così definisce l’essenza della Sicilia in quanto isola: “Là dove domina l’elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell’isola è segnata da questa certezza. Un’isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull’instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave: vi incombe il naufragio. Il sentimento insulare è un oscuro impulso verso l’estinzione. L’angoscia dello stare in un’isola come modo di vivere rivela l’impossibilità di sfuggirvi come sentimento primordiale. La volontà di sparire è l’essenza esoterica della Sicilia. Poiché ogni isolano non avrebbe voluto nascere, egli vive come chi non vorrebbe vivere: la storia gli passa accanto con i suoi odiosi rumori, ma dietro il tumulto dell’apparenza si cela una quiete profonda. Vanità delle vanità è ogni storia. La presenza della catastrofe nell’anima siciliana si esprime nei suoi ideali vegetali, nel suo taedium storico, fattispecie del nirvana. La Sicilia esiste solo come fenomeno estetico. Solo nel momento felice dell’arte quest’isola è vera”.

 

Questa Teoria dell’isola spiega quel che si andava dicendo: l’angoscia dello stare in un’isola come modo di vivere rivela l’impossibilità di sfuggirvi come sentimento primordiale… un ponte, una gettata di cemento da immolare al progresso, significherebbe raggiungere l’irraggiungibile: mettere in prosa i versi, donare la memoria del mito e della storia di una tecnologia che, come la televisione ha fatto nei salotti dell’Occidente, rischierebbe di uccidere quel dialogo metafisico che da sempre connota i tentativi di approcciarsi a questi luoghi.

 

Sicilia più vicina, col ponte, ma anche più lontana e, in parte, perduta.

 



 

 

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