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N. 103 - Luglio 2016 (CXXXIV)

Il poeta arabo al-Mutanabbi e la poesia musulmana del X secolo
biografia, sintesi e versi

di Vincenzo La Salandra

 

Lo pseudonimo al-Mutanabbī, indica una fase della vita di questo insigne poeta arabo (al-Kūfa 915 - Baghdād 965), che si sarebbe spacciato per profeta dopo un periodo di isolamento mistico-eremitico nel deserto: in effetti Mutannabi significa letteralmente “colui che si spaccia per profeta”.

 

Il suo vero nome era Ahmad ibn al-Husain, eminente poeta di corte, che passò il suo periodo migliore ad Aleppo, presso l’emiro hamdanide Saif ad-Dawla, di cui celebrò le imprese contro i Bizantini. Fu poi anche al Cairo, alla corte dell’ikhshidita Kāfūr, e infine ad Arragiān e a Shīrāz in Persia.

 

“La sua poesia, celebratissima (benché accusata di plagio da alcuni critici), magniloquente e talora di singolare efficacia, sebbene viziata da concettuosità, iperboli e artifici, ebbe grande influenza sulla poesia araba posteriore.” Così la Treccani e così il Gabrieli: “... il padre era un povero acquaiolo. Le umili origini contrastarono sempre in lui con una grande ambizione e un profondo senso di orgoglio e vanità personale, che guidò tutta la sua vita, e, secondo un aneddoto, determinò la sua stessa morte. [...] Cantò le imprese di Saif ad-Dawla, il campione dell’Islàm sulla marca di frontiera contro Bisanzio, con sincero entusiasmo di arabo e di musulmano”.

 

Il suo Divano è un classico della letteratura araba di corte prodotto nell’alveo siriano di Aleppo sotto l’emirato hamdanide: e si tratta di versi in puro stile arabo che descrivono le gesta contro i Bizantini nelle guerre di frontiera.

 

Dopo aver servito il sultano ikhshidita d’Egitto Kafùr, frequentò i dignitari e i principi buwaihidi di Persia e specialmente Adud ad-Dawla.

 

Nel suo viaggio di ritorno dalla Persia a Baghdàd fu assalito dai briganti: mentre era sul punto di scappare un compagno gli ricordò uno dei suoi famosi versi: “La spada e l’ospite e il deserto mi conoscono, la notte e il destriero, la carta e la penna”. Si narra che uditi i versi ritornò sui suoi passi affrontando il nemico e cadendo anche vittima della sua stessa musa poetica nel 965.

 

Molti versi di al-Mutannabì furono caratterizzati dal suo amore per il deserto e parlano dell’orgoglio e dell’arroganza tipica di questo poeta libero e romantico: pur elevandosi a modello di retorica le sue doti di artista e poeta sono notevoli.

 

Seppe infondere alla qasìdah tradizionale, o l’ode della poesia araba classica, uno sviluppo più completo, complesso e personale, tramandandoci uno stile in qualche misura neo-classico in cui riusciva a combinare gli elementi stilistici della tradizione irachena e siriana con gli aspetti tradizionali della poesia classica.

 

Schiere di arabisti europei e americani si sono cimentati nella traduzione dei versi di al-Mutannabì che circolano in tutte le maggiori lingue europee oltre che in arabo e persiano: il traduttore italiano e biografo del poeta è Francesco Gabrieli, grande orientalista e arabista italiano di origini pugliesi, che insegnò per anni a Roma e ci ha lasciato alcune delle migliori traduzioni in italiano delle poesie di al-Mutannabì.

 

Nelle collezioni antologiche e monografiche dedicate al poeta dal Gabrieli è possibile apprezzare i suoi versi in un italiano aulico e filologicamente elevato.

 

Si tratta di un poeta di difficile lettura ma nei suoi versi emerge il deserto arabo con i suoi simboli e i suoi spazi sconfinati, si respira l’epica delle battaglie medievali combattute nei territori di frontiera tra Bisanzio e Islàm, e possiamo scovare immagini classiche e di altissima poesia che ci fanno rivivere e comprendere l’ambiente arabo musulmano del secolo X.



 

 

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